L’indice che porta il nome del fondatore di Berkshire Hathaway vola oltre il 200%, segnalando un rischio di sopravvalutazione senza precedenti a Wall Street. Ma c’è chi contesta la previsione. Intanto il ceo strige per l’acquisto di OxyChem da Occidental Petroleum: un affare da 10 miliardi
Warren Buffett, fondatore di Berkshire Hathaway
Dopo quello di Ray Dalio, torna a suonare l’allarme per i mercati finanziari americani. E a lanciarlo, anche se indirettamente, è un altro guru della finanza internazionale: Warren Buffet. Il celebre indicatore ideato dal fondatore di Berkshire Hathaway, e che porta inevitabilmente il suo nome, ha infatti sentenziato: complici il boom dei titoli tech e la situazione di ipercomprato che da tempo caratterizza i listini di Wall Street, l’azionario USA rischia una bolla in stile Dotcom. Un monito che riaccende il dibattito sull’affidabilità dell’intelligenza artificiale come tema di investimento e spinge lo stesso oracolo a ripiegare su altri lidi: petrolchimica in testa.
Nello specifico, l’indicatore Buffett ha superato ampiamente quota cento e si è attestato a un livello in corrispondenza del quale il suo stesso autore ritiene la minaccia di un crack concreta. In un articolo pubblicato su Fortune nel 2001, Buffet definì infatti questa metrica “la migliore misura singola per stimare la posizione delle valutazioni in un dato momento”, aggiungendo che il mercato stava “giocando con il fuoco”: ma se allora la misura si era portata sul 150%, oggi viaggia intorno al 218%. In altre parole, Wall Street non ha mai oltrepassato questa soglia prima d’ora e perfino in occasione dello scoppio della bolla delle Dotcom si è fermato al 190%.
Come si calcola e cosa significa
L’indicatore misura il valore totale del mercato azionario statunitense rispetto al prodotto nazionale lordo, segnalando quando si raggiungono valutazioni estreme. Viene ottenuto dividendo la somma della capitalizzazione di tutte le società quotate in un paniere rappresentativo, ad esempio l’indice Wilshire 5000, per il PIL nazionale: un quoziente attorno al 70-80% sta a indicare che c’è ancora spazio per acquistare, mentre la convenienza si riduce man mano che ci si allontana da quella soglia e si raggiungono livelli più alti. Risultati oltre il 200% sono quindi estremamente pericolosi e certificano l’alta probabilità che scoppi una bolla, perché indicano che le Borse crescono più velocemente dell’economia reale senza rispecchiarne i fondamentali.
A innescare la corsa dei listini americani sono stati soprattutto i giganti della tecnologia, e in particolare quelli attivi nel settore dell’intelligenza artificiale, che hanno toccato ripetutamente nuovi record di capitalizzazione. È il caso del colosso dei chip Nvidia oppure di OpenAI, reduce proprio in questi giorni dalla pubblicazione di un bilancio semestrale in cui si evidenziano ricavi per 4,3 miliardi di dollari. Tutti rally che hanno portato su livelli preoccupanti anche altri indicatori: come riportato da Borsa Italiana, ad esempio, il rapporto prezzo-fatturato dell’S&P500 ha raggiunto quota 3,33 e si è portato ben oltre il 3,27 raggiunto ai tempi della pandemia o il 2,27 della parentesi DotCom.
Le obiezioni e la virata strategica del guru
In realtà, secondo alcuni esperti, indicatori come quello di Buffett non hanno più il valore di un tempo in quanto riflettono una visione dell’economia americana poco aderente alle sue caratteristiche attuali. In altre parole: se una volta dipendeva molto dalle fabbriche e dai mezzi pesanti, quindi da industria e manifattura, oggi vede nella tecnologia e nei software il suo perno. I dati sul PIL potrebbero dunque non cogliere appieno questo cambiamento e far apparire le valutazioni non giustificate quando, invece, lo sarebbero in considerazione dell’enorme mole di proprietà intellettuale sottostante. Sta di fatto che le ultime mosse dell’Oracolo di Omaha lasciano intendere che sia convinto delle previsioni della sua ‘creatura’: indiscrezioni pubblicate dal Wall Street Journal parlano infatti di una trattativa per acquistare la divisione petrolchimica di Occidental Petroleum, OxyChem in un affare da circa dieci miliardi di dollari. Se così fosse, si tratterebbe dell’operazione più importante per Berkshire da quella di Alleghany nel 2022 (13,7 miliardi) e della seconda maggior scommessa nel settore chimico di sempre. Un deal che consentirebbe al guru di mettere le mani su un business interessante a un prezzo considerato ragionevole, approfittando del calo degli utili del settore.
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