Il presidente dell’associazione degli analisti finanziari (Aiaf) Davide Grignani racconta la professione e le sfide del futuro
Davide Grignani, presidente di Aiaf
Per gestire la crescente complessità del mondo economico e finanziario sono necessarie competenze sempre più specializzate e al contempo trasversali. Tenere conto di rischi nuovi, che un tempo non venivano considerati nei principali modelli di valutazione è uno dei compiti degli analisti finanziari, anello di congiunzione fra la domanda e offerta di capitali, vale a dire fra risparmiatori ed emittenti.
Ce ne parla Davide Grignani, presidente di Aiaf, l’associazione che riunisce circa 900 analisti finanziari e prestigiosi soci sostenitori, sia finanziari che industriali quali Terna e A2A, che oggi festeggia la cinquantesima ricorrenza dalla sua istituzione.
Grignagni traccia una prospettiva su quale sarà il futuro della professione e le competenze richieste dal mercato, e non manca di fornire alcuni spunti su come la normativa comunitaria può supportare il settore della ricerca in campo finanziario citando due punti cardine del progetto europeo: la Capital Markets Union (Cmu) e la Borsa valori unica per tutto il continente europeo.
Non a caso fra gli speaker invitati all’evento online organizzato per celebrare i 50 anni di Aiaf sono stati invitati Fabio Panetta, membro del comitato esecutivo della Bce (qui il riassunto del suo intervento), e Andrea Sironi, presidente di Borsa Italiana.
Dottor Grignani, chi è l’analista finanziario oggi?
L’analista finanziario è una figura in forte evoluzione. Oggi nulla è apparentemente cambiato rispetto all’impostazione tradizionale-accademica della professione, con la differenza che l’analista finanziario, così come la maggior parte di tutti i professionisti in ogni settore, si trova a lavorare in un contesto caratterizzato da maggior globalizzazione, complessità e velocità. Il paradigma è quindi lo stesso, ma nel definirlo oggi sono necessari molti più strumenti rispetto al passato per gestire rischi nuovi e interrelati.
Questo cosa significa per chi vuole avviare una carriera da analista finanziario?
Significa aver a che fare con dinamiche più complesse rispetto al passato perché le tre forze cui ho accennato hanno introdotto nuove variabili più correlate fra loro che creano nuovi rischi sistemici, più invasivi e difficili da valutare. Pensiamo alla pandemia: non esisteva in nessun protocollo un modello che inglobasse tale tipo di rischio. Oggi va considerato ed ha valore sistemico enorme. Ecco, quindi, la differenza principale con il passato: oggi la cassetta degli attrezzi di un analista si è arricchita di nuovi paradigmi (basti pensare agli Esg), nuovi rating, modelli di rischio econometrici e statistici, che convergono tutti in una modellistica molto più complessa da gestire, di cui l’analista si serve per analizzare e interpretare la sostenibilità delle imprese.
Una figura più trasversale. Ci sarà una convergenza delle specializzazioni fra analisti fondamentali puri, quantitativi, tecnici e quant’altro?
A mio parere no. Semmai la convergenza può riguardare la strumentazione, i modelli e i parametri che vengono usati, ma le professionalità rimarranno specializzate. Un analista quantitativo continuerà a formulare proiezioni studiando serie storiche e algoritmi; il fondamentale continuerà ad analizzare financial statement e così via.
Cosa fa Aiaf per promuovere progetti in tal senso?
Abbiamo la nostra alta formazione attraverso l’Aiaf Financial School con corsi ad hoc specializzati per preparare i nuovi analisti ad affrontare gli esami per le grandi certificazioni internazionali come EFFAS e ACIIA. Il nostro obiettivo è quello di restare al passo con i tempi assicurando al contempo un livello di formazione altamente specializzato per continuare a dotare gli associati degli strumenti per comporre la cassetta degli attrezzi dell’analista finanziario del futuro.
Dal punto di vista normativo come viene o come può essere valorizzata la professione?
La categoria è stata molto penalizzata dalla norma sull’unbundling dei costi della ricerca contenuta in Mifid 2. Oggi siamo di fronte a due opportunità uniche; la prima è costituita dalla possibilità di rivedere quelle norme su Mifid 2, parzialmente modificate ma a nostro parere in una direzione che non risolve i molti problemi che penalizzano sia le Pmi sia i titoli più liquidi; la seconda – ancora più importante – quella di dar vita a un mercato unico dei capitali, la Cmu, e soprattutto ad un’unica borsa valori continentale.
Perché è così importante il mercato unico dei capitali e come può servire al rilancio del nostro sistema finanziario?
Oggi la disgregazione dei paesi Ue è un dato di fatto sotto diversi punti di vista. una veloce approvazione della Cmu è la cosa più urgente da farsi in Europa. Creare un campo da gioco dove tutti possano operare con maggiori opportunità farebbe bene a tutti: alle imprese che avrebbero una platea più ampia di investitori per crescere, agli investitori che avrebbero una base più ampia per investire i loro risparmi, non ultimi a noi analisti che troveremmo nuovamente la nostra giusta collocazione nel mercato.
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