Secondo la casa di gestione, le imprese di media dimensione saranno la categoria più impegnata nella riduzione delle emissioni. E l’asset migliore per trarre beneficio dai loro sforzi sarà il credito privato. La ricetta della società per cavalcare un trend che promette di dominare il prossimo decennio
Con la Cop28 di Dubai approdata a un accordo di massima, la decarbonizzazione si prepara a imporsi definitivamente come il megatrend di investimento del decennio. Ma c’è un gruppo di soggetti che più di tutti pare destinato a giocare un ruolo chiave nella lotta al climate change: le aziende mid-market. Nonostante la Commissione Europea imputi loro ben il 63% delle emissioni totali di CO2 in Europa, diversi enti di ricerca hanno infatti mostrato come solo l’11% della categoria stia investendo seriamente per ridimensionare il proprio impatto ambientale.
Tikehau Capital punta proprio su questo bacino per cavalcare la rivoluzione verde. E lo fa attraverso il credito privato, un mercato che promette di abbinare all’impatto ottimi ritorni finanziari. Ne sono convinti in particolare Lindee Wong e Vincent Lemaitre, rispettivamente director of climate and biodiversity e head of Esg for private debt della società di gestione, secondo i quali i finanziatori non istituzionali possono fare da catalizzatori del cambiamento e agire come consulenti aiutare realtà poco strutturate a costruire un piano di finanza etica.
Perché il private debt può giocare un ruolo chiave nella transizione energetica? Quali settori promettono di maggiore soddisfazione?
Grazie alla sua intrinseca visione a lungo termine e alla capacità di incorporare incentivi alle imprese basati sulla riduzione delle emissioni nelle offerte di finanziamento, il private debt può rappresentare un’allocazione chiave per gli investitori che cercano di costruire portafogli a zero emissioni. Inoltre, le società della categoria possono utilizzare i ratchet Esg per garantire la transizione del portafoglio verso il net zero. Quanto alle opportunità, concentrarsi su settori specifici non è l’approccio più efficace per ottenere un impatto maggiore. Promuoverà importanti innovazioni, che però non risolveranno tutti i problemi. Riteniamo che per massimizzare l’impatto sia necessario posizionare gli investimenti su vari settori verticali, riconoscendo la molteplicità della sfida climatica. Siamo favorevoli a una strategia che preveda investimenti in aziende cosiddette enabler, ovvero quelle che offrono soluzioni alle nostre sfide, ma è altrettanto importante puntare sulla transizione del più ampio panorama economico.
Cosa vi attendete dal quadro macro e come potrebbe riflettersi sul segmento?
Il settore del private credit sta affrontando sfide legate all’inflazione ma soprattutto all’aumento dei tassi d’interesse, un fenomeno al quale abbiamo assistito nell’ultimo periodo e i cui effetti iniziano a farsi sentire. Le imprese, vincolate da costi del denaro più alti, sono costrette a ridurre la leva finanziaria o ritardare il rifinanziamento. E ciò causa un calo del volume dei deal, con una conseguente contrazione dei prezzi e una maggiore concorrenza tra i fondi. Sebbene tali sfide rappresentino un ostacolo significativo, l’intrinseca adattabilità del settore e l’uso di covenant consentono di avere un certo grado di resilienza. Così come le dimensioni delle operazioni, che tendono a essere più ridotte rispetto ai mercati più tradizionali. Ci aspettiamo quindi che i gestori adattino rapidamente le proprie strategie, mitigando i rischi e fornendo un cuscinetto.
I dati sull’incidenza del mid market nella generazione di emissioni stupiscono. Così come stupiscono quelli elativi alla percentuale di società impegnata a ridurle. Quali sono gli ostacoli che rischiano di inibire questo sforzo e come gli investitori possono esercitare uno stimolo?
Nelle nostre conversazioni con il senior management sul tema della decarbonizzazione, emergono due sfide chiave: la mancanza di competenze interne e la consapevolezza che la crescita è incompatibile con la decarbonizzazione. Il gap di know-how riguarda in modo particolare proprio le aziende del mid-market, con capacità amministrative più ridotte e meno risorse destinate alle normative sulla finanza sostenibile o alle iniziative di decarbonizzazione. Quanto al tema dei profitti, sebbene la metodologia SBTi consenta alle imprese di definire le traiettorie di riduzione delle emissioni Scope 3 attraverso una metrica che è basata sull’intensità e quindi tiene conto anche della redditività, molti dirigenti continuano a pensare che sostenibilità e utili non vadano di pari passo. È un peccato, perché oggi disponiamo di una maggiore comprensione delle politiche e delle azioni necessarie per accelerare una transizione reale verso un’economia a basse emissioni di carbonio.
Si parla sempre più spesso di emissioni Scope 4. Che ruolo possono avere nella transizione al Net Zero e come incorporarle nelle scelte di investimento?
Incorporare il concetto di ‘emissioni evitate’ o Scope 4 nelle scelte di investimento comporta diverse sfide. Tra queste, una delle prime è che attualmente non esiste un approccio standardizzato per la loro quantificazione. Inoltre, anche se gli sforzi per lo sviluppo di approcci condivisi andranno in porto, le emissioni evitate e lo scenario di riferimento rispetto al quale calcolarle resteranno costrutti teorici. Da qui gli inevitabili dibattiti che sono emersi nel mercato volontario del carbonio, a partire da quelli sui progetti REDD. Si tratta di iniziative incentrate sulla riduzione delle emissioni da deforestazione o degrado forestale e che vengono finanziate tramite carbon credit derivanti proprio dalle emissioni evitate prevenendo il disboscamento. Dopo due decenni di esperienza, le analisi ex-ante condotte dai ricercatori stanno mostrando che alcuni di essi sono stati significativamente sovrastimati e che i relativi crediti potrebbero non avere impatto sul clima. Una stortura che ha creato problemi reputazionali all’interno mercato.
In che modo investire sui fattori Esg può aiutare a proteggere i portafogli da eventuali ribassi?
Privilegiare un approccio incentrato sull’Esg consente agli investitori di ridurre il rischio dei portafogli e di capitalizzare le opportunità emergenti in un panorama economico in transizione. Inoltre, le aziende che adottano pratiche di finanza etica tendono a posizionarsi al meglio per avere successo nelle attività attuali quanto in quelle future: godono di vantaggi in termini di attrazione di talenti, nella fidelizzazione dei clienti, nell’acquisizione di capitali. Senza dimenticare una migliore protezione contro eventuali danni reputazione o la vigilanza normativa.
Il mondo degli investimenti sostenibili non è facile da esplorare, a maggior ragione se si assumono come riferimento i mercati privati. Come operare una corretta selezione delle società?
Nello scenario attuale, caratterizzato da normative in costante evoluzione, ma anche da mancanza di standardizzazione dei processi e assenza di metriche coerenti, lo sviluppo di un processo completo di integrazione non può prescindere dall’acquisizione del know-how specialistico necessario a navigare nel panorama degli investimenti sostenibili e garantire una valutazione accurata.
Un qualsiasi processo di integrazione Esg, dall’esclusione allo scoring fino all’analisi di materialità e all’engagement, richiede infatti un’ampia gamma di competenze in ambito Esg perché i fund manager non commettano l’errore di causare un disallineamento del portafoglio e perdite economiche.
Qual è l’approccio di Tikehau al Net Zero e al private debt quale mezzo per raggiungerlo?
Tikehau Capital è firmatario della Net Zero Asset Managers Initiative e, in questo contesto, si è impegnata a definire traiettorie di decarbonizzazione in linea con l’Accordo di Parigi per limitare l’innalzamento delle temperature globali entro gli 1,5 °C mediante obiettivi intermedi delle proprie linee di business. Il target iniziale prevede di gestire il 39% degli AuM in linea con il raggiungimento del Net Zero entro il 2050, un traguardo che verrà avvicinato con l’introduzione di nuovi fondi dedicati.
Per quanto riguarda i portafogli di private debt e private equity di Tikehau Capital, questo impegno si traduce in un target intermedio per il 2030, ovvero una riduzione del 50% del WACI (Weighted Average Carbon Intensity, media ponderata dell’intensità di carbonio) degli asset che rientrano nell’ambito di riferimento, rispetto al valore di base del 2021. Ciò equivale a una riduzione dell’8,3% su base annua Inoltre, la società punta a sviluppare una piattaforma da 5 miliardi di euro entro il 2025 che sarà dedicata all’azione per il clima e alla tutela della biodiversità attraverso le sue diverse linee di business: al 30 giugno 2023, gli asset in gestione del portale ammontavano a 3 miliardi di euro e 2,4 di questi erano dedicati espressamente al clima e alla biodiversità.
In Tikehau Capital, per garantire che i nostri fondi in gestione siano in linea con il nostro impegno verso il net zero, intendiamo allineare l’obiettivo di decarbonizzazione di una parte significativa delle nostre società in portafoglio all’Accordo di Parigi. Includeremo nei nostri ratchet ESG un KPI che incentiverà la società a ridurre le proprie emissioni annuali di gas serra utilizzando la metodologia SBTI. È contrattualizzato e le società in portafoglio potrebbero beneficiare di un costo del capitale più basso se raggiungeranno i propri target annuali, ma, in caso contrario, si impegnano anche a subire potenziali sanzioni più elevate.
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