Private market, bond e gestione attiva: i family office rivoluzionano l’asset allocation
Per l’Ubs Global Family Office Report 2023, tensioni geopolitiche, tassi e inflazione stanno causando nei portafogli “il più grande cambiamento mai registrato”
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Più azionario emergente, meno reddito fisso. Sì a Treasury e dollari, no a Bund, Gilt, sterlina ed euro. Convinti che la cautela resti necessaria nonostante un’inflazione globale apparentemente vicina al picco, fondi sovrani e grandi investitori istituzionali hanno messo mano all’asset allocation introducendo alcune modifiche. E così, mentre molti pensano di aumentare la protezione dai ribassi e i programmi di hedging attivo, cresce anche il numero di chi si dice pronto ad abbandonare i bond per passare all’equity emergente aumentando le riserve di liquidità oltre all’esposizione in valuta estera verso monete più alto rendimento come quelle nordamericane.
Lo rivela ‘Post-Inflation Realities: Evidence from institutional investor and sovereign wealth fund activity’, un rapporto con cui State Street Corporation e International Forum of Sovereign Wealth Fund hanno analizzato flussi di capitale e portafogli di intermediari finanziari e veicoli di Stato gettando un sguardo alle strategie future.
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Tutti i membri dell’Ifswf (network globale di fondi sovrani di cui fanno parte circa 40 Paesi) sono convinti che negli Stati Uniti l’inflazione abbia raggiunto il picco. In molti, tuttavia, ritengono che resterà ostinatamente elevata o volatile: un rischio significativo per i portafogli. Non solo. Prezzi alle stelle potrebbero anche avere ripercussioni sull’economia globale, con prospettive di recessione o bassa crescita: da questo punto di vista, c’è chi pensa che gli Usa se la caverebbero meglio dell’Unione Europea mentre il Regno Unito si troverebbe “nella situazione peggiore tra le economie sviluppate”. Uno scenario al quale si sommano le preoccupazioni per l’impatto delle mosse di Fed e Bce: un nuovo regime di politica monetaria più restrittiva – è il pensiero dei soggetti analizzati – rappresenta un rischio significativo da prendere in considerazione quando si valutano le necessità in termini di liquidità, specie nei mercati sviluppati.
Migliori le prospettive per l’Asia, che sembra in vantaggio nel percorso per portare l’inflazione verso il target e che dovrebbe continuare a operare in un contesto di prezzi bassi. L’Europa sarà invece ancora influenzata dal caro energia e dal fatto che la Bce non sembra “disposta a proseguire il ciclo di inasprimento monetario quanto gli Stati Uniti”. Tuttavia, alcuni hanno rilevato problemi strutturali nel Vecchio Continente: “Struttura demografica più debole, transizione energetica e la ridistribuzione della quota di reddito dal capitale al lavoro sono elementi che possono contribuire a una maggiore inflazione strutturale”. Sulle previsioni del carovita pesa, poi, anche un altro rischio significativo: la questione geopolitica. Sebbene il conflitto in Ucraina sia stato ovviamente menzionato, l’impatto del disgelo o dell’irrigidimento delle relazioni di Usa ed Europa con Cina e Russia è risultato più rilevante, perché continuerà a influenzare i mercati energetici e le catene di approvvigionamento.
In questo contesto, stanno emergendo nuove narrazioni che hanno il potenziale di avere un impatto sui mercati. Utilizzando la Narrative Map di State Street MediaStats, sviluppata per determinare i temi rilevanti per i mercati, gli analisti della società hanno individuato tre variabili chiave che continueranno a influenzare gli investitori a causa dell’elevata copertura mediatica: mercato del lavoro, finanziamento e redditività delle imprese, liquidità dei mercati. Al contrario, la crescita economica degli Usa e della Cina, così come la Brexit, hanno minore rilievo tanto per i media quanto per gli addetti ai lavori. Restano i temi legati alla Fed e ai tassi di interesse: sebbene siano ampiamente protagonisti delle cronache finanziarie, attualmente la loro capacità di influenzare i mercati è relativamente più neutrale rispetto al 2022. Nei radar degli investitori non restano, quindi, che i conflitti internazionali.
Ma i fondi sovrani continuano a guardare oltre i temi di breve termine trattati da giornali e televisioni: nessuno ha indicato la redditività delle imprese o di finanziamento come dei rischi, e solo uno degli intervistati ha menzionato il mercato del lavoro, anche se in un contesto relativo all’aumento dell’inflazione. Nessuno dei fondi ha ribilanciato i propri portafogli in risposta alle turbolente condizioni di mercato del 2022 ma, al contrario, molti hanno lasciato invariati i propri benchmark e, in molti casi, anche la strategia pluriennale volta a incrementare l’allocation agli alternativi e le strategie di asset allocation dinamica.
Dalla fine dello scorso anno, quando l’ottimismo era tornato a crescere, la propensione al rischio degli istituzionali si è ridotta a livelli relativamente più neutrali, se non leggermente avversi. La lettura complessivamente neutra degli investitori multi-asset fa però emergere una divergenza nel sentiment tra le varie asset class, che risulta evidente dall’asset allocation. Aumentano infatti le esposizioni all’azionario, alimentato da una diminuzione degli asset a reddito fisso, mentre si mantengono le riserve di liquidità precedentemente accumulate, dato che i tassi di interesse a breve salgono in scia ai tassi di policy delle banche centrali. Inoltre, sempre in ambito equity, gli investitori hanno invertito le loro preferenze nell’ultimo anno: a partire dallo scorso giugno si è assistito ad acquisti netti di azioni degli emergenti e a vendite nette di quelle dei mercati sviluppati.
Da notare poi come i fondi sovrani che hanno contribuito a questo studio sembrino più pessimisti rispetto al mercato. Oltre la metà degli intervistati ha dichiarato di aver “incrementato la protezione ai rischi di downside” o di aver implementato “programmi di hedging più attivi rispetto agli anni precedenti”. Solo due dei nove membri dell’Ifswf sondati hanno detto di non avere attualmente “alcun piano in merito”. Nel reddito fisso, gli investitori hanno continuato a preferire il debito sovrano dei mercati sviluppati, mantenendo posizioni sovrappesate negli Stati Uniti e nell’Eurozona e continuando a essere sottopesati su Gilt, titoli di Stato giapponesi e bund tedeschi. Per quanto riguarda i mercati valutari, invece, gli investitori hanno mostrato una preferenza per il dollaro statunitense e canadese, mentre hanno scarsa esposizione o una posizione selling su sterlina, dollaro neozelandese ed euro.
Dopo una forte attività di raccolta fondi da parte dei general partner nel 2021, nel 2022 si è registrato un notevole rallentamento sui mercati privati. Dai dati del Private Equity Index di State Street si evince come nel primo trimestre dell’anno scorso i fondi di buyout e venture capital abbiano raccolto rispettivamente 211 e 78 miliardi di dollari mentre i quelli private debt 43 miliardi: valori che attestano una frenata generalizzata. A livello regionale, lo stesso periodo ha visto i fondi statunitensi e del resto del mondo raccogliere 229 e 93 miliardi di dollari, mentre quelli europei hanno rallentato a 11 miliardi di dollari.
Diversi membri dell’Ifswf hanno evidenziato un minor ritmo del fundraising, mentre altri ritengono che il trend sia rimasto costante. Un fondo sovrano ha sottolineato come l’aumento dei tassi di interesse abbia fatto sì che “l’uso della leva finanziaria diventasse più costoso, rallentando in modo sostanziale la crescita complessiva”. Lo stesso fondo ha anche aggiunto che, dopo anni di allocation crescenti, gli investitori hanno iniziato “ad aspettarsi maggiori attività di realizzazione e di ricevere un ritorno degli investimenti nei fondi vintage”.
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