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Il 16% dei gestori cesserà l’attività o verrà acquistato da gruppi più grandi. E i primi 10 player controlleranno la metà degli asset
Entro il 2027 il 16% dei gestori patrimoniali cesserà l’attività o verrà acquistato da un gruppo più grande. Una società su sei a livello globale. Lo rivela un sondaggio condotto da PwC su 500 asset manager e investitori istituzionali, da cui emerge che nei prossimi quattro anni il settore dovrà affrontare un duro consolidamento, dovuto a un mix di volatilità di mercato, tassi di interesse elevati e pressione sulle commissioni. Prova ne è che quasi tre quarti dei gestori stanno attualmente prendendo in considerazione l’acquisizione o la fusione con un concorrente, proprio per la pressione sui modelli di business causata dal difficile contesto di mercato.
“I grandi gestori stanno diventando più grandi”, spiega Olwyn Alexander, global asset e wealth management leader di PwC, che fa notare come attualmente ci sia una grande pressione sui costi e sui margini. Tutto ciò, per l’esperto, sta costringendo le società a guardare alla propria massa critica e, soprattutto, a chiedersi se si sia in grado di resistere alle pressioni da parte dei giganti del settore, e mantenere il margine.
Un quadro piuttosto fosco, che arriva proprio quando gli asset manager cominciavano a riprendersi da un 2022 che ha fatto registrare la più grande contrazione di asset del decennio. Il patrimonio in gestione si è infatti ridotto del 10% rispetto alla fine del 2021, da 127,5 trilioni di dollari a 115,1 trilioni, con i cali generalizzati dei mercati che hanno colpito le commissioni di gestione e di performance. Per i gestori, inflazione, volatilità e stretta monetaria sono le principali cause della flessione, mentre per circa la metà delle società ora sono i rischi ambientali e geopolitici a minacciare il patrimonio.
Fusioni e acquisizioni sono già iniziate
La conseguenza di tale contesto è stata una serie di fusioni e acquisizioni di alto profilo: l’industria globale della gestione patrimoniale ha infatti rapidamente stretto accordi per resistere alle pressioni e avere accesso a nuovi clienti o aree di crescita. L’ultimo esempio è Franklin Templeton che il mese scorso ha acquisito la rivale Putnam Investments per oltre 1 miliardo di dollari, mentre porta aventi l’espansione nei prodotti alternativi e piani pensionistici. Lo scorso maggio Brookfield Asset Management, che gestisce un patrimonio di 834 miliardi di dollari, ha previsto che il difficile contesto economico costringerà gli asset manager al consolidamento e che rimarranno solo “10 attori leader”.
Stessa tendenza si sta verificando anche nel wealth management. Ad aprile il gestore patrimoniale Rathbones ha sborsato 839 milioni di sterline per il rivale Investec Wealth & Investment, creando una società con oltre 100 miliardi di sterline di asset in gestione. Il mese scorso, Chris Woodhouse, amministratore delegato di Evelyn Partners che quest’anno ha effettuato piccole acquisizioni, ha affermato che a breve nel Regno Unito resteranno “una manciata di wealth manager a gestire oltre 100 miliardi di sterline”.
I primi 10 player controlleranno la metà degli asset
Secondo PwC entro il 2027 i primi 10 asset manager controlleranno la metà di tutte le attività destinate ai fondi comuni, rispetto al 42,5% del 2020. E gli asset gestiti dai robo-advisor raggiungeranno quota 6 trilioni di dollari, grazie a un servizio di consulenza personalizzata a basso costo. Non è un caso se nel 2021 Jp Morgan ha acquistato il robo-advisor britannico Nutmeg per 700 milioni di dollari.
Inoltre, stando al sondaggio, 9 gestori su 10 ritengono le tecnologie dirompenti come l’IA generativa e la blockchain aumenteranno i rendimenti e attireranno giovani investitori, la cui importanza dovrebbe crescere ulteriormente man mano che erediteranno i 68 trilioni di dollari in mano alla generazione precedente. Le commissioni, già calate tra un quinto e un quarto per i fondi di investimento attivi e passivi tra il 2017 e il 2022, sono invece previste in ulteriore flessione, a vantaggio dei player più grandi, la cui dimensione consente loro di assorbire commissioni inferiori. “C’è una vera corsa in termini di raccolta di aum, e questo sta esercitando nuove e significative pressioni sulle commissioni. Una competizione che per molti sarà a vantaggio degli investitori”, conclude Alexander.
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