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Tra il 2016 e il 2020 il risparmio degli italiani è aumentato del 40%. Il 91% delle famiglie ha attività finanziarie: +7% rispetto al 2016. L’indagine Bankitalia
Consumi al palo e risparmio che aumenta in maniera consistente. Un sempre maggiore interesse per fondi comuni e previdenza integrativa. Reddito in crescita, ma ancora lontano dai livelli del 2006 (prima della crisi finanziaria globale). È questa, in estrema sintesi, la fotografia delle famiglie italiane alla fine del 2020 scattata dalla Banca d’Italia, secondo cui al termine del primo anno dell’era Covid la ricchezza media dei nuclei era pari a 341mila euro e il 91% possedeva attività finanziarie.
Nel 2020 risparmio su del 40%. Reddito sotto i livelli del 2006
Stando all’indagine sui bilanci delle famiglie redatto dalla Banca d’Italia su oltre 6.000 nuclei familiari intervistati (e che ha subito quest’anno una profonda revisione metodologica), tra il 2016 e il 2020 si è assistito a un forte aumento del risparmio familiare medio, cresciuto di oltre il 40%, associato a una frenata dei consumi. Nel 2020 la spesa media familiare si è ridotta in termini reali del 9,7% rispetto al 2016, proseguendo la flessione già e attestandosi sul valore più basso dal 1980, cioè da quando l’indagine rileva questa variabile. Colpa, naturalmente, soprattutto delle misure di contenimento del Covid, oltre che di una maggiore incertezza sul futuro e, per alcuni beni durevoli, dei vincoli dal lato dell’offerta.
Quanto al reddito annuo delle famiglie, i numeri sono in crescita ma resta ancora lontano dai livelli pre 2006, prima quindi delle recessioni che hanno colpito il Paese. Come si ricava dall’indagine, nel 2020 il reddito annuo familiare, in termini reali e al netto delle imposte sul reddito e dei contributi sociali, è stato superiore di circa il 3% rispetto a quello rilevato nell’indagine sul 2016 ma ancora inferiore di oltre il 12% a quello registrato nel 2006, prima della crisi finanziaria globale. Tra il 2016 e il 2020 l’indice di Gini del reddito equivalente, una misura sintetica del grado di disuguaglianza della distribuzione, è rimasto sostanzialmente invariato mentre la quota di individui a basso reddito, quelli il cui reddito equivalente è inferiore al 60% di quello mediano, è diminuita.
La ricchezza media cresce grazie alla componente finanziaria
La ricchezza netta media, valutata a prezzi costanti, è aumentata dell’1,7% tra il 2016 e il 2020, principalmente grazie alla componente finanziaria, sostenuta sia dalla crescita del risparmio sia dal più elevato valore delle attività. Si è ampliato il divario tra la ricchezza netta media e quella mediana, cioè quelle occupa esattamente la posizione centrale, un indicatore del grado di diseguaglianza nella relativa distribuzione. L’indice di Gini della ricchezza netta familiare è cresciuto di 3 punti percentuali. Secondo l’indagine, il 50% meno ricco delle famiglie possedeva solo l’8% del patrimonio netto complessivo mentre la metà di quest’ultimo era detenuta dal 7% più ricco.
Alla fine del 2020, le famiglie italiane disponevano in media di una ricchezza netta, costituita dalla somma delle attività reali e finanziarie al netto delle passività finanziarie, di circa 341.000 euro; il valore mediano, che separa la metà meno abbiente delle famiglie da quella più ricca, era significativamente inferiore (poco meno di 151.000 euro).
Il 91% delle famiglie ha attività finanziarie: +7% rispetto al 2016
La quota di famiglie che detenevano attività finanziarie, sempre alla fine del 2020, era pari al 91%, circa 7 punti percentuali in più rispetto al 2016. Una crescita trainata dall’aumento del numero di nuclei in possesso di almeno un conto di deposito, anche in connessione con una maggiore diffusione nella popolazione dell’utilizzo degli strumenti di pagamento alternativi al contante.
Il valore medio familiare delle attività finanziarie era pari, tra chi le possedeva, a 69.000 euro. Solo il 23% deteneva almeno un’attività finanziaria diversa dai depositi bancari o postali, per la maggiore parte nella forma di investimenti gestiti (fondi comuni e gestioni patrimoniali). Il valore medio della ricchezza finanziaria di queste famiglie era circa 219.000 euro.
La distribuzione delle attività finanziarie è più concentrata di quella della ricchezza netta: la metà delle famiglie con patrimonio netto più basso deteneva solo il 7% della ricchezza finanziaria lorda complessiva mentre quasi la metà delle attività finanziarie era posseduta dai nuclei appartenenti al 3% più ricco. La concentrazione è inoltre aumentata rispetto al 2016 riflettendo sia il maggiore risparmio in termini assoluti delle famiglie più abbienti sia il maggiore peso nei loro portafogli delle attività finanziarie che hanno beneficiato della dinamica complessivamente positiva dei mercati nel quadriennio.
Aumentano gli investimenti in fondi comuni
Ai divari nella quota di ricchezza finanziaria detenuta si associano portafogli con composizione molto diversa. Le famiglie appartenenti al quinto più povero detengono principalmente depositi. Nelle classi centrali di ricchezza netta cresce invece progressivamente la quota di titoli di Stato italiani, obbligazioni private e investimenti gestiti. Sono soprattutto le famiglie appartenenti al 20% più abbiente a detenere direttamente azioni e ad affidare la gestione di una parte cospicua delle loro attività finanziarie a operatori professionali.
Complessivamente, tra il 2016 e il 2020, è cresciuta la quota di famiglie che detengono attività liquide o diversificate: il possesso di depositi è aumentato di circa 7 punti percentuali mentre quello di investimenti in fondi comuni o in gestioni patrimoniali di quasi 4. È invece proseguita la tendenza alla diminuzione della percentuale di nuclei che detengono titoli di Stato, che si è attestata su un nuovo minimo storico (meno del 6% delle famiglie nel 2020). L’insieme delle attività finanziarie incluse nella definizione di ricchezza finanziaria non comprende il trattamento di fine rapporto maturato, il risparmio investito nella previdenza complementare, in piani pensionistici personali e nelle assicurazioni vita.
Previdenza integrativa per il 19% della famiglie
In quasi il 19% delle famiglie almeno un componente familiare ha dichiarato di aderire a fondi pensione o assicurazioni vita per integrare la pensione pubblica, oltre 2 punti percentuali in più del 2016 tenendo conto del cambiamento metodologico. La quota è più elevata tra le famiglie del Centro Nord (23% a fronte del 10% nel Mezzogiorno) e tra le fasce più abbienti della popolazione, variando dal 4% del quinto di reddito inferiore al 40% del quinto superiore.
Tra i lavoratori dipendenti, queste forme di previdenza integrativa sono più diffuse tra i dirigenti (49%; circa il 28 e il 15, rispettivamente, tra gli impiegati e gli operai), mentre il divario tra classi d’età è più contenuto (circa il 21% nella fascia tra i 20 e i 45 anni, quasi il 29% tra i 46 e i 55 anni e circa il 25% tra i 56 e i 65 anni). Tra i lavoratori indipendenti vi aderisce il 21%, con un tasso lievemente inferiore tra gli individui più giovani (circa il 16% nella classe di età fino a 45 anni contro il 26% delle restanti classi).
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