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A breve le grandi società e le Pmi quotate saranno tenute alla rendicontazione di sostenibilità. Nel frattempo si procede anche sulla direttiva sulla due diligence (Csdd), sulle quali gli stati membri chiedono una responsabilità più “light” per le imprese
Il puzzle regolamentare sulla finanza sostenibile procede spedito verso il suo completamento con l’aggiunta di un fondamentale tassello, cioè la Corporate sustainability reporting directive o Csrd. Il Consiglio dell’Unione europea, infatti, ha approvato in via definitiva la direttiva. Questo significa che numerose società saranno presto tenute a pubblicare informazioni dettagliate e standardizzate sulle questioni di sostenibilità, aumentando la responsabilizzazione delle imprese su questo fronte, prevenendo la diffusione di criteri divergenti e facilitando dunque la vita anche agli investitori. In questo modo, si amplia il numero di soggetti che saranno coinvolti nella transizione verso un’economia sostenibile.
Dopo Tassonomia – la “Bibbia” degli investimenti sostenibili – e Sfdr (che disciplina gli obblighi di reporting degli operatori finanziari), il pezzo mancante era infatti la parte sulla rendicontazione da parte delle imprese, oggetto finora di una direttiva (la Nfrd o Non financial reporting directive) datata e con un ambito di applicazione circoscritto. Lo scopo degli sforzi regolatori portati avanti dalle istituzioni Ue, come ha recentemente commentato Mairead McGuinness, commissario per i servizi finanziari, è quello di mettere il reporting di sostenibilità sullo stesso piano di quello finanziario.
Secondo Jozef Síkela, ministro dell’Industria e del Commercio della Repubblica Ceca (che fino a fine anno detiene la presidenza del Consiglio Ue, per il quale è previsto un sistema di rotazione tra tutti gli stati membri, prima di passare il testimone alla Svezia), “le nuove norme renderanno un maggior numero di imprese responsabili del loro impatto sulla società e le guideranno verso un’economia che porterà benefici alle persone e all’ambiente. I dati sull’impronta ambientale e sociale saranno disponibili al pubblico, ossia di chiunque sia interessato a tale impronta. Allo stesso tempo, i nuovi requisiti ampliati sono adattati alle varie dimensioni delle imprese e forniscono loro un periodo transitorio sufficiente per prepararsi”.
Cosa prevede la nuova direttiva
La Csrd di fatto rafforza le norme esistenti sulla rendicontazione non finanziaria introdotte nella Nfrd del 2014, non più adeguate alla transizione dell’UE verso un’economia sostenibile, introducendo requisiti più dettagliati e imponendo che sia le grandi imprese sia le Pmi quotate in Borsa siano tenute a riferire su questioni di sostenibilità come i diritti ambientali, i diritti sociali, i diritti umani e i fattori di governance. Le nuove regole di rendicontazione della sostenibilità si applicheranno a tutte le grandi imprese e a tutte le società quotate sui mercati regolamentati, ad eccezione delle microimprese. Le società sottoposte all’obbligo di reporting dovranno anche valutare le informazioni applicabili alle loro controllate.
Per le Pmi quotate, alle quali le regole si applicheranno tenendo conto delle loro caratteristiche specifich, sarà possibile un opt-out durante un periodo transitorio, che le esenterà dall’applicazione della direttiva fino al 2028.
Per le società non europee, l’obbligo di fornire un rapporto di sostenibilità si applicherà nel caso in cui generino un fatturato netto di 150 milioni di euro nell’Ue e abbiano almeno una filiale o una succursale nel territorio Ue che superi determinate soglie. Queste società devono fornire un rapporto sugli impatti ambientali, sociali e di governance (ESG), come definito nella direttiva.
Lo sviluppo degli standard da applicare per la rendicontazione spetta allo European Financial Reporting Advisory Group (Efrag), un’organismo indipendente di consulenza composto da diversi tipi di stakeholder Ue. L’Efrag nei giorni scorsi ha già inviato in tempi record una prima bozza degli standard di rendicontazione di sostenibilità. Una volta adottati, questi standard di rendicontazione saranno utilizzati dalle imprese soggette alla Csrd, garantendo che le aziende siano pienamente trasparenti riguardo al loro impatto sulle persone e sull’ambiente, nonché ai rischi che corrono a causa del cambiamento climatico e di altre questioni legate alla sostenibilità.
La Commissione consulterà ora altri organismi dell’Ue (come l’Agenzia europea dell’ambiente e la Bce) e gli Stati membri sui progetti di standard, prima di adottare gli standard definitivi mediante atti delegati nel giugno 2023, seguiti da un periodo di controllo da parte del Parlamento europeo e del Consiglio. Gli obblighi di rendicontazione saranno introdotti gradualmente per le diverse imprese.
Csdd, si procede anche sulla due diligence
Intanto, dopo una raffica di negoziati dell’ultimo minuto tra gli Stati membri, ieri (1° dicembre) i ministri dell’Ue hanno concordato una posizione negoziale comune per la Direttiva sulla due diligence in materia di sostenibilità delle imprese (Csdd), rendendo facoltativa per gli Stati membri l’inclusione dei servizi finanziari nell’ambito dei requisiti di dovuta diligenza.
Proposta per la prima volta dalla Commissione europea nel febbraio di quest’anno, la Corporate Sustainability Due Diligence Directive mira a rendere le aziende responsabili delle violazioni dei diritti umani e degli standard ambientali internazionali nelle loro catene del valore.
Mentre il Parlamento europeo sta ancora discutendo la propria posizione, gli Stati membri sono riusciti a raggiungere un accordo sulla loro posizione comune, o “approccio generale”, in una riunione dei ministri dell’Ue. Rispetto alla proposta della Commissione, i ministri degli stati membri vogliono disposizioni di responsabilità meno ampie per i danni che si verificano lungo la catena del valore di un’azienda. Inoltre, dopo una spinta da parte di Francia, Spagna, Italia e altri Paesi, la nozione di “catena del valore” è stata scartata a favore di una più ristretta definizione di “catena di attività” che comprende principalmente la supply chain delle aziende e solo una parte molto limitata della parte a valle della catena del valore.
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