Valutare l’impatto calcolando anche la CO2 evitata grazie ai prodotti delle aziende è la novità su cui punta Raj Shant di Jennison Associates (PGIM). Un approccio che promette unire alpha e sostenibilità. E che ora trova espressione in un fondo dedicato
Raj Shant, managing director e client portfolio manager di Jennison Associates
Con gli effetti del cambiamento climatico che si fanno sempre più evidenti, la transizione verso il Net Zero sembra pronta a imporsi tra le priorità della finanza internazionale oltre che dei regolatori. Eppure, il modo in cui molti operatori finanziari approcciano questo tema non sembra idoneo a garantire che gli obiettivi di abbattimento delle emissioni vengano effettivamente raggiunti nei prossimi decenni. Raj Shant, managing director e client portfolio manager di Jennison Associates, ne è fermamente convinto. E ritiene che la causa principale vada ricercata nella posizione eccessivamente rigorosa che in fondi tradizionali sulla decarbonizzazione impongono rispetto all’esposizione ai combustibili fossili, confondendo quelli ‘sporchi’ come il carbone con i loro corrispettivi a minore intensità di carbonio. Ecco perché il gestore dell’affiliata di PGIM ha di recente lanciato PGIM Jennison Carbon Solutions Equity, fondo azionario globale che non guarda solo alle energie rinnovabili ma amplia l’universo investibile secondo criteri non convenzionali. Un approccio che, includendo anche le emissioni Scope 4, promette di rendere più tangibile l’impatto ambientale ma anche generare alpha in un’ottica di lungo periodo.
È un fondo tematico globale incentrato sulla decarbonizzazione. In apparenza potrebbe non sembrare una grande novità ma abbiamo deciso di lanciarlo perché siamo convinti che l’attuale approccio al problema del surriscaldamento globale non stia funzionando: nonostante miliardi di dollari vengano investiti ogni anno nella transizione energetica, le temperature del pianeta hanno infatti raggiunto livelli mai visti e le emissioni globali si avvicinano al record storico. Un cortocircuito che deriva essenzialmente da una circostanza: tanto i regolatori quanto gli operatori finanziari pensano alla decarbonizzazione quasi solo in termini di industria energetica ma la realtà è che non possono coesistere un’economia low carbon e la conservazione dei nostri standard di vita senza che nel processo di mutamento sia coinvolto anche il restante 90% dei settori. Ecco perché, con questo nuovo prodotto, promuoviamo un approccio diversificato e orientato all’alpha ma anche olistico: in questo modo non solo l’universo investibile si allarga ma crescono anche le opportunità, tanto in termini di impatto sulle emissioni di carbonio nel mondo reale che a livello di ritorno finanziario.
Com’è costruito il fondo?
Vogliamo essere esposti al tema di riferimento in maniera diretta. Questo impone di focalizzarci su aziende che siano coinvolte nel cambiamento del paradigma produttivo tanto oggi quanto in futuro: ecco perché consideriamo solo realtà che traggono da attività di decarbonizzazione il 30% dei loro ricavi e utili ma anche del loro Capex. Partiamo da un universo di investimento molto ampio, circa 8mila società, e scegliamo quelle strettamente legate alle emissioni. Questo include un secondo gruppo composto dalle imprese sulle quali le prime possano agire da abilitatori in termini di riduzione della carbon footprint, tanto attraverso la ricerca quando mediante la tecnologia o anche la consulenza. Questo ci porta a un portafoglio formato da 45-55 titoli: si tratta di un mix di posizioni che oggi è contraddistinto da una sottoesposizione verso i mercati emergenti ma che probabilmente aumenterà sempre di più l’allocazione verso questo gruppo, in particolare verso Cina e India.
Il fondo si concentra sulle emissioni Scope 4. Di cosa si tratta e perché sono così importanti?
Le aziende più avanzate stanno iniziando a quantificare l’impatto considerando non solo le proprie emissioni o quelle della propria catena di fornitura o ancora quelle indirette che si verificano nell’ambito della loro catena del valore (Scope 3), ma anche quelle che sono state risparmiate e/o evitate dai loro clienti grazie ai prodotti o servizi che hanno fornito loro. In quest’ottica, la dicitura ‘Scope 4’ sta ad indicare un calcolo teorico che consente di internalizzare il potenziale di decarbonizzazione e la qualità dell’innovazione dell’impresa. I beni che offrono risparmi di emissioni Scope 4 offrono soluzioni più efficienti dal punto di vista di emissioni di carbonio per i beni e servizi esistenti rispetto all’eventualità di generarla. Si tratta di un concetto che ha senso anche dal punto di vista finanziario, in quanto evidenzia il valore aggiunto dell’offerta di un’organizzazione per i consumatori nell’ottica di ridurre la loro carbon footprint.
Ha parlato di opportunità finanziarie. Cosa intende nello specifico?
Mi riferisco a tutte quelle aziende che, pur contribuendo ad accelerare la decarbonizzazione, non beneficiano del green premium perché operano secondo schemi che la maggior parte degli investitori non è ancora in grado di capire. Investendo in tali realtà quando si trovano ancora nella fase iniziale del loro sviluppo e approfittando delle sottovalutazioni da parte del mercato, è possibile accumulare un potenziale alpha a mano a mano che i ricavi e i profitti crescono a un ritmo più veloce della media. Affrontiamo la sfida di individuarle attraverso l’analisi fondamentale, bottom-up, titolo per titolo.
Come avviene, nel dettaglio, il processo di selezione?
Utilizziamo dati di aziende, concorrenti, fornitori, clienti, consulenti, agenzie ambientali e istituzioni per confermare o perfezionare le stime interne. Questo permette di espandere la gamma di opportunità a più settori e aziende. Alla base resta sempre e comunque l’impegno a conoscere il contesto, cogliere le sfumature e comprendere tutte le implicazioni. Un’impresa che spende un miliardo di dollari per costruire una centrale elettrica a gas apporta o meno benefici in termini di Scope 4? Per verificarlo occorre sapere se l’intervento va a sostituire una centrale elettrica a carbone o se è in competizione con l’energia rinnovabile, che ha un’impronta di carbonio pari a zero. Quanto al resto dei criteri Esg, escludiamo i titoli riferibili a settori non in linea con gli standard articolo 8 della Sfdr e teniamo in considerazione i Principal Adverse Impact. Uno sforzo cui segue un’intensa attività di engagement soprattutto nei confronti di quelle realtà che non sono eccezionalmente virtuose ma hanno significativi margini di miglioramento.
Com’è l’allocazione di portafoglio?
La strategia PGIM Jennison Carbon Solutions Equity è molto più diversificata rispetto ad altri prodotti che si pongono gli stessi obiettivi. Nel nostro caso, infatti, anche se stiamo parlando di un tema azionario globale, gestiamo un portafoglio piuttosto concentrato che intende focalizzarsi su idee ad alta convinzione. Prediligiamo poi l’esposizione ad aziende direttamente collegate al tema anziché ad aree quali la tecnologia, che spesso solo indirettamente beneficia delle molteplici applicazioni di decarbonizzazione. Pensiamo che questo megatema sia così forte da essere abbastanza potente per guidare l’alpha a lungo termine senza la necessità di inseguire le mode del mercato a breve.
Come approcciate l’Intelligenza Artificiale? In che modo questa tecnologia può influenzare la transizione al net-zero?
Dal punto di vista dei processi, l’AI aiuterà sicuramente molte aziende a migliorare i loro modelli di business e quindi i loro risultati economici. Dinamica che renderà più profittevoli gli investimenti nei loro titoli. I dirigenti stessi, probabilmente, saranno impattati dalla diffusione di questa innovazione. D’altro canto, si tratta di una rivoluzione che potrà avere risvolti ecologicamente sostenibili solo in un’ottica di lungo periodo perché nel breve termine rischia addirittura di peggiorare la situazione visto l’enorme impatto ambientale prodotto da cloud e data centre che formano l’infrastruttura per fornirla.
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