La rivoluzione (in)compiuta dei bond sostenibili
Nel 2024 i titoli verdi hanno superato la soglia dei 5.000 miliardi di emissioni cumulative. Un record storico che segna la forza trainante di un settore in continua espansione
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Alla luce di un contesto complesso e multidimensionale come quello attuale, ci si chiede se il trend degli investimenti green sia davvero destinato a proseguire. Specie considerando che, negli ultimi due anni, i titoli delle cosiddette ‘società verdi’ hanno avuto performance di mercato leggermente negative. Secondo David Czupryna, senior fund manager del team Thematic Global di Candriam, non ci sono pericoli in tal senso. E, anzi, gli investimenti verdi non solo stanno progredendo ma si prospettano perfino in crescita. La redazione di FocusRisparmio lo ha raggiunto per approfondire il tema e capire quale sarà la traiettoria di un particolare segmento: l’economia circolare.
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Nell’economia reale vediamo progressi significativi per quanto riguarda l’agenda green. In ogni singolo anno a partire dal 2015, ad esempio, la spesa mondiale per l’energia pulita è stata maggiore di quella per le fonti fossili. Nel 2023, per l’energia pulita sono stati spesi 258 miliardi di dollari in più rispetto al 2022, un incremento del 18%. Un cifra destinata per il 35% alle rinnovabili, con il blocco Europa-Stati Uniti in grado di contribuire per oltre due terzi. Per quanto riguarda proprio gli States, anche grazie all’Inflation Reduction Act, il cambio di passo in termini di capitali è stato ancora più netto: da 284 miliardi nel 2021 a 387 miliardi in 12 mesi Ma un altro importante segnale dei progressi sulla finanza green è dato dai numeri relativi ai veicoli elettrici (EV): l’anno scorso ne sono stati venduti il 30% in più, per un totale di più di 3 milioni. E se è vero che il 60% del mercato è rappresentato dalla Cina, il trend di crescita è stato evidente anche sulle due sponde dell’Atlantico. Negli ultimi 12 mesi, il prezzo medio delle auto di questo tipo è sceso del 12%, più alto solo dell’8% rispetto alla media del mercato complessivo: uno sviluppo che aumenta la competitività della categoria insieme ai minori costi per l’utilizzatore
Sebbene le aziende dei cosiddetti settori ‘sporchi’ abbiano registrato buone performance negli ultimi due anni, gli investimenti green sono qui per restare. E la testimonianza principale viene dal fatto che in molti settori green abbiamo raggiunto il punto in cui, a prescindere dalle future regolamentazioni, l’attrattiva è economica oltre che ambientale. Se guardiamo all’energia solare, ad esempio, il costo è diminuito drasticamente e ne ha aumentato la competitività rispetto alle fonti fossili. E anche se un’eventuale rielezione di Donald Trump alla Casa Bianca potrebbe tradursi nel tentativo di allentare l’Ira, è molto improbabile che il leader repubblicano voglia o sia in grado di abrogare realmente la maggior parte della normativa in quanto molti degli Stati americani che ne beneficiano appartengono proprio al suo schieramento.
L’economia circolare rappresenta un’alternativa all’attuale modello economico lineare e punta a ridurre la necessità di estrarre materie prime, riducendo al contempo la produzione di rifiuti. Questo nuovo paradigma vede protagoniste tutte quelle aziende coinvolte in attività che contribuiscono al riciclo, alla sostituzione, al reimpiego e alla razionalizzazione di prodotti o risorse. Si tratta di attività che possono essere implementate in modi diversi, a seconda del settore di appartenenza ma anche delle sfide di circolarità che la singola realtà deve affrontare. Possono comportare, per esempio, l’integrazione di una maggiore percentuale di materiali biodegradabili o riciclati nei loro processi di produzione, lo sviluppo di soluzioni per il trattamento dei rifiuti, la possibilità di prolungare la vita dei prodotti fabbricati o la riduzione della necessità di creare nuove attrezzature rendendo più facile la condivisione di queste ultime.
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Esistono diverse spiegazioni razionali per gli scarsi risultati del settore green ma certamente non sono legate alla mancanza di investimenti nella transizione verde. Quello degli ultimi due anni si è innanzitutto dimostrato un contesto di mercato molto sfavorevole per le pmi, categoria a cui appartengono molte delle società di clean tech. Inoltre, diversi settori green sono ancora giovani: con una domanda finale in forte espansione, è infatti elevato il rischio di un sovrainvestimento o di un eccesso di offerta, seguito da un crollo dei margini, dall’abbandono del mercato da parte dei produttori ad alto costo e da un riassestamento. Un altro motivo risiede nella natura growth delle aziende sostenibili, che hanno flussi di cassa previsti in crescita ma il cui valore ha sofferto degli alti tassi di interesse. Tutti questi elementi hanno a che fare, insomma, con la rapida stretta monetaria ma, ora che le banche centrali stanno per ammorbidirsi, ci aspettiamo un trend migliorativo.
L’attuale debolezza del settore clean tech rappresenta una rara opportunità di costruire un’esposizione a queste società, dato che hanno subito un calo delle quotazioni nel breve periodo per motivi che non influiscono sul loro potenziale di crescita a medio termine. Quanto all’approccio, la selezione di Candriam si basa sulla conservazione del capitale ed è quindi guidata dall’obiettivo di investire in società con un modello di business comprovato oltre che dotate di free cash flow positivi o almeno avviate su un percorso credibile per raggiungerli. Anche se i forti sussidi e gli incentivi di cui gode il settore in tutte le principali regioni esercitano un certo fascino, le normative possono infatti cambiare ed è quindi molto prudente investire su realtà che sappiano reggersi sulle proprie gambe.
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La nostra strategia mira a investire in società il cui core business sia positivamente allineato ai principi di tale modello. Abbiamo sviluppato un framework interno per analizzare il contributo di un’azienda all’economia circolare, con l’obiettivo di creare per ogni realtà un insieme di prove a sostegno del suo grado di circolarità. Ogni titolo viene inoltre valutato tenendo conto dei fattori Esg, attraverso un modello basato su cinque criteri fondamentali: qualità della gestione, crescita del business, vantaggio competitivo, creazione di valore, leva finanziaria. La strategia tiene conto anche dell’apporto complessivo del singolo agli obiettivi dell’Accordo di Parigi, in base non solo alle emissioni di CO2 ma anche a quelle evitate, e prevede una valutazione lungimirante di tanti altri aspetti: dai piani di investimento alla credibilità degli obiettivi di decarbonizzazione fino alla strategia. Il processo di analisi e selezione è accompagnato anche da un coinvolgimento attivo, in particolare attraverso il dialogo con le aziende attraverso il voto alle assemblee generali in qualità di azionista.
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