Per Raj Shant dell’affiliata Jennison Associates, l’affrancamento degli investitori da petrolio e affini è irrealistico e controproducente. Meglio eliminarli dai portafogli gradualmente e considerare le emissioni Scope 4
Nel 2023, la capacità rinnovabile globale è aumentata del 50% e i risultati simili sono attesi anche per i prossimi cinque anni. Questa espansione però non ha trovato riscontro in altre aree delle infrastrutture green, stoccaggio e trasmissione su tutte, spingendo vari esperti a sostenere che il pieno affrancamento dai combustibili fossili non solo sia un’ipotesi remota a livello industriale ma possa anche rivelarsi controproducente se attuato nei prodotti finanziari. Tra chi nutre tale convinzione c’è Raj Shant, managing director e client portfolio manager di Jennison Associates, secondo cui escludere dai portafogli anche i titoli a bassa intensità di CO2 rischia di minare il raggiungimento degli obiettivi Net Zero. Ecco perché l’affiliata Pgim ha di recente lanciato il fondo Pgim Jennison Carbon Solutions Equity, fondo azionario globale che non guarda solo alle energie rinnovabili ma amplia l’universo investibile secondo criteri non convenzionali. Un approccio che, includendo anche le emissioni Scope 4, promette di rendere più tangibile l’impatto ambientale ma anche generare alpha in un’ottica di lungo periodo.
Perché i combustibili fossili risultano ancora centrali? E quali sono gli errori più comuni che gli investitori commettono nel rapportarsi alle aziende del settore?
Molti sono i motivi economici e politici alla base della persistente rilevanza di petrolio e affini ma tre vengono particolarmente sottovalutati: esistono svariati utilizzi industriali per i quali le energie sostenibili non sono perfettamente adattabili, l’elaborata rete di infrastrutture globali per i combustibili fossili offre un grande vantaggio in termini di presenza e si riscontra una certa opposizione a rendere disponibile il proprio territorio per l’installazione di nuovi sistemi. Alla luce di queste considerazioni, l’approccio più pragmatico per ridurre le emissioni diviene quello di un’eliminazione progressiva degli asset appartenenti alla categoria. Escludere qualsiasi società estranea ai convenzionali criteri di sostenibilità ambientale significa infatti trattare tutte le fonti non rinnovabili allo stesso modo quando invece ce ne sono alcune meno dannose per l’ambiente.
Può fare un esempio?
Il carbone rappresenta il 30% dello stock energetico globale ed è responsabile del 50% delle emissioni di CO2. Il problema è che viene utilizzato soprattutto da Paesi, come l’India e la Cina, che al momento non hanno la possibilità di virare completamente verso fonti sostenibili. Se però si limitassero anche solo sostituirlo nel proprio mix energetico con il gas naturale, che è sì inquinante ma in proporzioni decisamente minori, già si otterrebbe un impatto positivo. Si tratta di un ragionamento che va interiorizzato prima di tutto dagli investitori, anche perché sottende un tema di portafoglio non trascurabile: poiché si prevede che la domanda globale di questo combustibile crescerà di oltre il 50% entro il 2040, puntare su titoli legati al mercato del GNL permetterà infatti d’incamerare rendimento senza esporsi alla volatilità dei prezzi a breve termine. Piccoli produttori USA come EQT e Antero, sotto tale profilo, hanno un’operatività efficiente e offrono un buon potenziale di crescita mentre altre occasioni risiedono nel debito dei player di medie dimensioni dei mercati emergenti.
Ha parlato di portafogli. In cosa consiste la vostra strategia?
Con il fondo PGIM Jennison Carbon Solutions Equity promuoviamo un approccio diversificato e orientato all’alpha ma anche olistico: in questo modo l’universo investibile si allarga e crescono le opportunità, tanto in termini di impatto sulle emissioni di carbonio che a livello di ritorno finanziario. Ci focalizziamo su aziende che siano coinvolte nel cambiamento del paradigma produttivo sia oggi che in futuro: ecco perché consideriamo solo realtà che traggono da attività di decarbonizzazione il 30% di ricavi, utili e Capex. Partiamo da un universo d’investimento molto ampio, circa 8mila società, e scegliamo quelle strettamente legate alle emissioni ma il cui contributo o la probabile crescita futura siano sottovalutati. Conclude un secondo gruppo composto dalle imprese sulle quali le prime possano agire da abilitatori in termini di riduzione della carbon footprint, tanto attraverso la ricerca quando mediante la tecnologia o anche la consulenza. Questo ci porta a un portafoglio formato da 45-65 titoli.
Il fondo si concentra anche sulle emissioni Scope 4. Di cosa si tratta e perché sono così importanti?
Le aziende più avanzate stanno iniziando a quantificare l’impatto considerando non solo le proprie emissioni o quelle della propria catena di fornitura o ancora quelle indirette che si verificano nell’ambito della loro catena del valore (Scope 3), ma anche quelle che sono state risparmiate e/o evitate dai loro clienti grazie ai prodotti o servizi che hanno fornito loro. In quest’ottica, la dicitura ‘Scope 4’ sta ad indicare un calcolo teorico che consente di internalizzare il potenziale di decarbonizzazione e la qualità dell’innovazione dell’impresa. I beni che offrono risparmi di emissioni Scope 4 offrono soluzioni più efficienti dal punto di vista di emissioni di carbonio per i beni e servizi esistenti rispetto all’eventualità di generarla. Si tratta di un concetto che ha senso anche dal punto di vista finanziario, in quanto evidenzia il valore aggiunto dell’offerta di un’organizzazione per i consumatori nell’ottica di ridurre la loro carbon footprint.
Oltre al gas naturale, dove si nascondono altre opportunità legate alla decarbonizzazione?
In primo luogo, potrebbero esserci opportunità migliori nel debito piuttosto che nel capitale. In questo settore, il finanziamento tende a essere meno abbondante rispetto a quello del capitale e in particolare le passività senior offrono occasioni interessanti. Visti i tassi d’interesse più elevati a livello globale, si possono però fare buoni affari anche nel debito mezzanino e strutturato. Gli investitori dovrebbero poi guardare a progetti idrotermici e geotermici: queste fonti di energia possono essere dosabili, hanno un costo marginale pari a zero e beneficiano di prezzi più elevati quando eolico o solare risultano carenti. Spunti interessanti arrivo infine dall’India, perchè il Paese è il quarto maggiore consumatore di elettricità al mondo e il terzo per produzione di energia rinnovabile.
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