4 min
Per i gestori la guerra tariffaria rischia di allontanare ulteriormente le due sponde dell’Atlantico in fatto di politica monetaria. Con la Fed senza più ragioni per tagliare e BCE e BoE costrette a farlo più del previsto
L’era Trump si è aperta con una pausa nel ciclo di allentamento della Federal Reserve e con uno scontato taglio dei tassi della Banca centrale europea. Ora tocca alla Bank of England, da cui ci si attende una sforbiciata, ma i riflettori dei mercati sono tutti puntati sul presidente USA. Come se non bastassero i problemi di inflazione e crescita, a complicare parecchio il lavoro delle banche centrali c’è infatti la guerra tariffaria targata Casa Bianca. Dopo i dazi contro la Cina e quelli in stand-by ai danni di Messico e Canada, è probabile che il prossimo obiettivo sarà l’Unione Europea. Investitori e policymaker provano quindi a fare i conti sulle pesanti ripercussioni di uno scontro globale a colpi di tariffe commerciali, che rischia di allontanare ulteriormente le due sponde dell’Atlantico in fatto di politica monetaria.
📰 Leggi anche “Tassi, verso una divergenza USA-Europa“
Fed in balia di Trump
Negli USA, il fatto che i dazi di Trump abbiano radicalmente cambiato lo scenario è al momento l’unica certezza. I modelli Fed utilizzati durante il primo mandato del tycoon indicano un impatto negativo dell’1,2% sul PIL a stelle e strisce e un aumento dello 0,7% dell’inflazione core PCE. Ma si tratta di stime. “L’istituto centrale rimane in balia delle politiche della Casa Bianca e con le aspettative di inflazione in aumento post-tariffe, i tassi a breve degli Stati Uniti prezzano solo 37 punti base di tagli entro la fine dell’anno”, evidenziano gli esperti del Global credit team di Algebris Investments.
Per Adam Singleton, cio External Alpha di Man Group, i potenziali rischi di inflazione legati ai dazi potrebbero mantenere il costo del denaro alto ancora a lungo, mentre la deregolamentazione promessa rischia di alimentare ulteriormente la crescita, e con essa i prezzi. “In un simile scenario la Fed avrebbe pochi motivi per ridurre il costo del denaro”, fa notare l’esperto, secondo cui Powell andrebbe quindi dritto allo scontro con il presidente, che non è mai stato timido nel chiedere tassi più bassi. Per ora quindi, secondo Singleton, i banchieri centrali si trovano alla mercé delle politiche commerciali ed economiche della Casa Bianca, “combattuti tra la necessità di gestire l’inflazione, mantenere la credibilità e navigare in un panorama globale sempre più imprevedibile”. Ma il rischio è che le pressioni di Trump portino il Fomc a compiere passi falsi. Oppure a prendere decisioni per ragioni sbagliate.
📰 Leggi anche “Fed, Powell mette i tagli in pausa. Ira di Trump“
Le ripercussioni per BCE e BoE
Le conseguenze della Trumponomics si preannunciano dirompenti anche nel Vecchio Continente, dove nella prima riunione del 2025 la BCE è andata avanti con il pilota automatico inserito a dicembre. “Nell’Eurozona la politica monetaria è ancora restrittiva, ma in seguito ai progressi dell’inflazione può essere ulteriormente abbassata, con il Consiglio che punta a un terminale del 2%”, analizzano gli esperti di Algebris Investments. Al momento, però, gli economisti hanno opinioni diverse se Lagarde debba tagliare fino alla neutralità o spingersi oltre, ad esempio all’1,5%, visti i dazi USA e l’economia in rallentamento.
Sul fatto che dopo Cina, Canada e Messico, il tycoon passerà all’Europa, Jacob Falkencrone, global head of investment strategy di BG Saxo e Saxo Bank, nutre pochi dubbi. “Tutti i segnali indicano di sì. Trump ha una lunga storia nell’uso di minacce tariffarie estreme come tattica negoziale, ma i mercati stanno reagendo come se questa volta fosse diverso”, afferma. Nelle precedenti guerre commerciali, come quella del 2018 con Pechino, i dazi sono stati prima visti come merce di scambio, per poi essere imposti comunque, danneggiando entrambe le parti prima di un accordo. “Lo stesso copione potrebbe essere in corso, ma ora l’Europa potrebbe rivelarsi ancora meno disposta a fare marcia indietro, date le crescenti tensioni geopolitiche e il passaggio all’autosufficienza economica”, avverte l’esperto. Ne consegue che se la Trumponomics trascinerà verso il basso la crescita, le banche centrali al di qua dell’Atlantico potrebbero vedersi costrette a tagliare i tassi prima del previsto. “Ciò potrebbe fornire sollievo ad alcune aziende, ma indicherebbe anche crescenti preoccupazioni per un rallentamento”, evidenzia Falkencrone.
📰 Leggi anche “BCE, Lagarde: CMU entro il 2025 per prepararsi a Trump“
Quanto all’inflazione europea, per l’esperto potrebbe salire, anche se probabilmente non di molto. “Alcuni analisti sostengono che il rallentamento economico generale causato dai dazi contrasterebbe le pressioni inflazionistiche, tenendo sotto controllo i prezzi”, chiarisce. Se poi le tariffe di Trump dovessero rimanere in vigore a lungo, allora il rischio recessione diventerebbe concreto. “Una guerra commerciale in piena regola potrebbe ridurre la crescita dell’Eurozona, con la Germania che è la più colpita a causa della sua dipendenza dalle esportazioni”, spiega. Aggiungendo che automotive, industria e lusso pagherebbero il prezzo più alto, mentre le aziende focalizzate sul mercato interno potrebbero mostrarsi più resilienti. “Alcune imprese europee potrebbero essere costrette a tagliare gli investimenti, ridurre le assunzioni o addirittura licenziare i lavoratori, mettendo sotto pressione la spesa dei consumatori”, conclude Falkencrone.
Vuoi ricevere ogni mattina le notizie di FocusRisparmio? Iscriviti alla newsletter!
Registrati sul sito, entra nell’area riservata e richiedila selezionando la voce “Voglio ricevere la newsletter” nella sezione “I MIEI SERVIZI”.