Per i gestori le banche centrali sono vicine alla svolta. Ma avvertono che tra Usa ed Europa la situazione è diversa e bisogna tenere d’occhio i dati. Ecco come investire
Anche sei i dati positivi di venerdì sull’occupazione Usa e di lunedì sul balzo degli ordini di fabbrica in Germania hanno raffreddato un po’ le attese del mercato, gli investitori continuano a scommettere su una Fed e una Bce più accomodanti nei prossimi mesi. Decisivi in questo senso sono stati i messaggi arrivati dai banchieri centrali dopo le riunioni della scorsa settimana e il fatto che ormai l’inflazione su entrambe le sponde dell’Atlantico ha iniziato a scendere.
“Il rallentamento della politica delle banche centrali globali ha alimentato un ampio rally nei mercati azionari e obbligazionari, in quanto gli investitori si aspettano che la decelerazione dell’inflazione comporti il raggiungimento del picco dei tassi di interesse”, commentano gli esperti del team strategie di credito globale di Algebris, secondo cui a differenza dello scorso anno, quando i policy maker avevano deciso di non allentare le condizioni finanziarie e di mantenere la politica restrittiva, il rally si sta ora concretizzando in quanto i responsabili delle politiche evitano di rilasciare commenti significativi.
Gli esperti Algebris sottolineano però alcune differenze sostanziali tra Stati Uniti ed Europa. “Concordiamo nel ritenere che la Fed sia prossima alla fine del proprio ciclo, poiché l’inflazione si ridurrà rapidamente quest’anno – chiariscono -. Ciò comporta che il rischio statunitense potrà riprezzare più in alto e i rendimenti dei Treasury più in basso, nell’ipotesi di un allentamento dei mercati del lavoro. Il rialzo dell’Eurozona, tuttavia, appare eccessivo e più simile a un disimpegno del posizionamento short che torna a livelli neutrali, poiché le prospettive dell’inflazione restano incerte, con il dato core che per il momento appare bloccato al 5,2%”.
Dunque nei prossimi sei mesi, per Algebris andranno osservati attentamente i dati sul mercato del lavoro, sull’inflazione e sulla crescita su entrambe le sponde dell’Atlantico. “In questo modo potremo capire quanto velocemente le banche centrali possano terminare il ciclo di rialzi e qualora dovessero emergere delle crepe nell’economia, con l’entrata in vigore dei ritardi della politica monetaria”.
Per l’Advisory di Cassa Lombarda la reazione del mercato dopo le riunioni delle banche centrali è stata sorprendente. “La lettura del Fomc è stata inequivocabilmente ‘dovish’ con i rendimenti in calo a doppia cifra su tutte le scadenze e con una tendenza sul tratto 3- 5 anni ad outperformare– evidenziano gli analisti -. Stesso discorso post Bce: la stance più possibilista della Lagarde ha scatenato un flusso violento di ricoperture, che ha generato il paradosso per cui in una giornata in cui si alzano i tassi di 50 punti base e si segnalano altri 50 in poco più di un mese, i rendimenti sono calati di 20, 30 ed anche 40 punti sul Btp a 10 anni, ma anche sugli altri titoli di Stato europei”.
Secondo Matteo Ramenghi, chief investment officer Ubs Wm Italy, la reazione delle borse è sì spiegata dall’avvicinarsi del picco dei tassi d’interesse, ma è stata anche amplificata da alcuni fattori tecnici. “Molti investitori sono ancora poco presenti sulle azioni dopo la correzione dello scorso anno – fa notare -. Inoltre, gli algoritmi che guidano molti fondi, tesorerie e gestioni hanno in gran parte effettuato acquisti in reazione alla diminuzione della volatilità, che per la prima volta da oltre un anno è scesa leggermente al di sotto della media di lungo termine”.
Per Ramenghi, gli indicatori economici suggeriscono come i prezzi al consumo continuino a salire, ma a un ritmo più lento. “L’inflazione del 2023 rimarrà elevata perché si tratta di un dato medio che parte dal livello dello scorso anno; il dato sul quale concentrarsi è l’andamento mensile e, in particolare, il livello di uscita alla fine di quest’anno. Su queste basi l’inflazione è in decisa frenata, un trend che continuerà nei prossimi mesi anche grazie ad alcuni fattori tecnici”, sottolinea.
Tuttavia, per il cio di Ubs Wm Italy, il rischio di aumenti dei tassi esagerati in un contesto d’inflazione in discesa esiste e probabilmente è tra quelli più sotto osservazione da parte degli investitori. “In questo contesto – afferma – continuiamo a preferire i titoli value, cioè società che producono buoni flussi di cassa e con valutazioni contenute. Inoltre, siamo positivi su settori come la farmaceutica, i beni di prima necessità e l’energia. Sul mercato azionario americano rimaniamo cauti, mentre siamo positivi sui mercati emergenti che, oltre a offrire uno sconto del 40% rispetto all’indice globale, per oltre un terzo comprendono titoli cinesi”.
Nel campo obbligazionario Ramenghi preferisce i titoli di buona qualità, soprattutto i corporate bond investment grade. “L’inasprimento degli standard di prestito e il rallentamento della crescita suggeriscono un rischio di default più elevato e, di conseguenza, riteniamo che il segmento high yield sia più vulnerabile. Ci aspettiamo inoltre un rafforzamento delle materie prime a fronte di un clima economico meno negativo del previsto e della riapertura cinese, che ne aumenterà la domanda”, conclude.
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