A febbraio prezzi oltre le attese in Francia e Spagna. Lane rassicura: la politica monetaria sta funzionando. Per Intermonte il “rigurgito inflattivo” rimetterà in allarme le banche centrali
L’inflazione non molla e apre a nuove mosse aggressive della Bce. A far tornare il pessimismo sui mercati sono state Francia e Spagna, che a febbraio hanno registrato una nuova impennata dei prezzi, oltre le attese degli analisti. Quanto basta perché gli investitori abbiano ripreso a interrogarsi sul possibile ritorno di un mercato ribassista (visto che un’economia in salute offre all’Eurotower spazio di manovra), e perché si mantenga alta la tensione sui titoli di Stato del Vecchio Continente, con il Bund a due anni ai massimi dal 2008.
Per Francia e Spagna inflazione oltre le attese
Nel dettaglio, l’indice dei prezzi al consumo di Parigi a febbraio è salito del 6,2% su base annua, lo 0,1% in più del previsto, contro il precedente rialzo del 6%. A livello mensile l’incremento è stato dello 0,9%, a fronte di un progresso stimato dello 0,7% e contro il +0,4% segnato in gennaio su dicembre. Stesso discorso in Spagna, dove l’inflazione è cresciuta del 6,1%, due decimi in più rispetto al tasso del mese prima e ben oltre il +5,5% atteso. Su base mensile l’aumento è stato dell’1% a fronte di un precedente calo dello 0,4%. A pesare, soprattutto i prezzi di elettricità e alimentari.
Lane: “Tassi a livelli elevati per qualche tempo”
A placare un po’ i timori è intervenuta la colomba Philippe Lane, capo economista della Bce, secondo cui l’Eurotower sta iniziando a vincere la sua lotta all’inflazione. “Ci sono prove significative che la politica monetaria stia funzionando. Per quanto riguarda l’energia, gli alimenti e i beni, molti indicatori prospettici dicono che le pressioni inflazionistiche dovrebbero diminuire parecchio”, ha assicurato il fedelissimo di Christine Lagarde. Una rassicurazione ma niente di più, visto che lo stesso Lane ha sottolineato come i tassi rischino di restare a un livello elevato per un po’ di tempo una volta raggiunto il picco. “Potrebbe essere un periodo piuttosto lungo, un discreto numero di trimestri. Siamo tutti d’accordo con il criterio secondo cui è importante un progresso sufficiente nell’inflazione sottostante”, ha precisato il banchiere centrale facendo riferimento alla discussione in corso fra i membri del board.
I mercati vedono il terminal rate al 4%
“L’andamento dei tassi da inizio anno si sta confermando la variabile indipendente da cui scaturisce poi l’andamento dei listini azionari”, fa notare Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte, secondo cui l’inflazione è sempre l’osservato speciale e i dati di Francia e Spagna confermano la possibilità di un “rigurgito inflattivo” tra primo e secondo trimestre, tale da mettere in allarme le banche centrali e costringerle a fare qualcosa in più e considerare una successiva pausa di qualche trimestre in luogo di qualche mese. “Questo spiega perché poco alla volta il tasso di approdo atteso si sposta verso l’alto, situandosi ora in prossimità del 4% per la Bce e al 5,5% per la Fed”, evidenzia.
Per il Cesarano, sta venendo alla luce anche un altro fattore potenzialmente più temibile, ossia il ridimensionamento delle iniezioni di liquidità che in alcune aree, come negli Usa, si sta già convertendo in drenaggio. E c’è anche da considerare che il forte rialzo dei tassi sta schiacciando sempre più i premi al rischio del mercato azionario, portando a una tendenziale convenienza relativa dei bond rispetto all’equity, soprattutto il comparto entro i cinque anni. “Tra primo e secondo trimestre il possibile ‘rigurgito inflattivo’ innescato da fattori contingenti può rallentare temporaneamente il ritmo di discesa dei prezzi, soprattutto core.Questo può portare le banche centrali a essere prudentemente più aggressive sul tasso di approdo, innalzandolo come già sta accadendo almeno nelle attese di mercato”, mette in guardia. Per il dirigente, sono quindi plausibili prese di profitto temporanee sull’azionario tra primo e secondo trimestre, concentrate soprattutto su indici a maggiore concentrazione growth, mentre il value in questa fase può assumere temporaneamente una funzione difensiva.
Allungando l’orizzonte all’intero anno, rimane invece l’attesa per una recessione tecnica negli Usa nel secondo semestre. “Questo scenario porta a ipotizzare un ridimensionamento dei tassi nel corso della seconda parte dell’anno che potrebbe avere prime avvisaglie alla fine del semestre in corso, con conseguente beneficio a tendere soprattutto della parte azionaria growth. Sul fronte pendenze di curve, la forte accentuazione dell’inversione segnala come l’ipotesi recessiva Usa sia ancora distante qualche mese. Quando saremo più vicini al momento della recessione la curva, come spesso ha fatto in passato, potrebbe iniziare ad irripidirsi di nuovo”, conclude Cesarano.
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