Come atteso, a settembre i prezzi tornano al 2,2%. Intanto il Pmi manifatturiero cala sotto i 50 punti. Per i gestori, Lagarde non taglierà a fine ottobre. E difficilmente lo farà entro dicembre
Tutto come previsto sul fronte inflazione, mentre la crescita delude. Il mese di ottobre si apre così per l’Eurozona: con l’indice dei prezzi di settembre in aumento al 2,2% dal 2% di agosto, come da attese, e il Pmi manifatturiero a sorpresa sotto i 50 punti, soglia spartiacque tra espansione e contrazione. Una rilevazione deludente ma non così grave nè per la Banca centrale europea, che nell’ultimo bollettino ha mostrato di non farsi illusioni sulla ripresa dell’Area, nè per gli analisti, secondo cui l’Eurotower a fine mese sceglierà di non intervenire sui tassi.
Secondo la stima preliminare di Eurostat, su base mensile l’inflazione del blocco ha segnato una variazione dello 0,1%. La previsione è che saranno i servizi a registrare il tasso annuo più elevato a settembre (+3,2% rispetto al 3,1% di agosto), seguiti dal trittico alimentari-alcol-tabacco (+3% da 3,2%) e beni industriali non energetici (stabile a 0,8%). L’indicatore core, maggiormente considerato perché al netto delle componenti più volatili, viene invece dato al 2,3% e sarebbe quindi in linea sia con i risultati di 30 giorni prima sia con il consensus degli economisti.
Il manifatturiero soffre ancora
L’indice Hcob Pmi manifatturiero dell’Eurozona, che misura lo stato di salute delle aziende del settore ed è redatto da S&P Global, a settembre è invece tornato a calare dopo aveva registrato un miglioramento per la prima volta in tre anni lo scorso agosto. Si è infatti attestato a 49,8 punti dai precedenti 50,7, con una divisione piuttosto equa tra gli otto Paesi dell’Area monitorati. I Paesi Bassi, dove le condizioni sono migliorate al ritmo più veloce da luglio 2022, guidano la classifica. Seguono la Grecia e la Spagna, che hanno continuato a seguire la tendenza di crescita. E chiude la lista dei virtuosi l’Irlanda. Risultato negativo invece per Germania (49,5), Francia (48,2) e Italia (49): gli indicatori delle tre maggiori economie del blocco sono tutti sotto i 50 punti.
Nonostante l’approccio dipendente dai dati, è improbabile che questi ultimi numeri spostino l’ago della bilancia per la BCE e la smuovano dall’idea di restare ferma ancora per un po’. Al momento i mercati vedono appena un 10% di possibilità che si assista a un altro taglio dei tassi entro la fine dell’anno e solo il 30% che una sforbiciata arrivi nel corso della prima metà del 2026. Appare infatti improbabile che la ripresa dell’inflazione e le cattive previsioni sulla manifattura suscitino grosse preoccupazioni a Francoforte. Soprattutto perché, sul fronte prezzi, le previsioni indicano un’accelerazione temporanea e poi un veloce ritorno al target del 2% o addirittura sotto. Martedì la presidente dell’istituto centrale, Christine Lagarde, ha ribadito la posizione di attesa. “I rischi per i prezzi appaiono piuttosto contenuti in entrambe le direzioni”, ha assicurato, scandendo ancora una volta che l’Eurotower è “ben posizionata per reagire in caso di nuovi shock”. Resta però probabile che il carovita di settembre restituisca un po’ di forza alle tesi dei falchi, anche se molti membri del board più che i rincari temono ora una deflazione. Francoforte stima che il carovita scenderà all’1,7% il prossimo anno e che si manterrà al di sotto dell’obiettivo per sei trimestri consecutivi: se questo scenario dovesse concretizzarsi, alcuni policymaker credono che la bassa crescita dei prezzi potrebbe consolidarsi.
Per i gestori il futuro resta incerto
Richard Flax, chief investment officer di Moneyfarm
“L’ultimo dato sull’inflazione si colloca ampiamente all’interno dell’intervallo target della BCE e rafforza l’idea che le pressioni inflazionistiche nell’Eurozona si stiano stabilizzando”, commenta Richard Flax di Moneyfarm, secondo cui questa rilevazione difficilmente innescherà cambiamenti significativi di politica monetaria. “La BCE dovrebbe mantenere l’attuale orientamento”, sostiene quindi il cio, “confermando i tassi e continuando a monitorare attentamente le dinamiche di fondo dei prezzi”. Tuttavia, l’esperto avverte che il contesto commerciale più ampio resta complesso: le catene globali di approvvigionamento sono infatti ancora in fase di riequilibrio, mentre la strategia di esportazione della Cina si sta ridefinendo nella direzione di un chiaro spostamento dagli USA verso i mercati emergenti e nuovi partner commerciali. “Un’evoluzione che potrebbe avere ripercussioni di lungo periodo su produttori ed esportatori europei”, spiega, “in particolare nei settori più dipendenti da input o dalla domanda cinese”. A tutto questo si sommano nella sua view le tensioni geopolitiche, la volatilità dei mercati energetici e la crescita disomogenea tra i diversi Stati membri: tutti fattori che continuano a rendere complessa la prospettiva economica. “L’inflazione appare al momento sotto controllo ma saranno fondamentali flessibilità e vigilanza nelle decisioni dell’istituto centrale”, chiarisce.
Per Martin Van Vliet, global macro strategist di Robeco, il messaggio arrivato da Francoforte al termine della riunione di settembre è stato chiaro: occorrerà uno shock di qualche tipo per convincere il board a procedere con ulteriori tagli. Per questo, a suo parere, un graduale raffreddamento dell’inflazione o un rafforzamento dell’euro non saranno sufficienti. “Prevediamo che il mercato inizierà a interrogarsi sulla direzione dell’istituto centrale”, osserva. Per l’esperto, il prossimo passo più probabile resta ancora un taglio piuttosto che un aumento. “L’incertezza commerciale si è ridotta ma potrebbe facilmente tornare a essere un tema di discussione e, con un’inflazione core che dovrebbe scendere al di sotto del 2% nel 2026, le condizioni dei prezzi consentirebbero probabilmente ulteriori stimoli”.
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