Inflazione e rischi geopolitici, come dominare le incognite
A prevalere negli ultimi mesi è la paura di un risveglio dell’inflazione, mentre non andrebbero sottovalutati i rischi geopolitici. Ecco i fattori che potrebbero tenere banco sui mercati
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Il recente miglioramento delle condizioni di finanziamento va tenuto in considerazione, ma non è necessario prendere a breve decisioni sul Pepp. Con queste parole Francois Villeroy de Galhau, componente del board Bce e governatore della banca centrale francese, è tornato a rassicurare i mercati dopo Jackson Hole, ribadendo che Francoforte non ha alcuna intenzione di discutere già a settembre di un’ipotetica chiusura dei rubinetti. Anche perché, diversamente dalla Federal Reserve, è in grado di regolare gli acquisti mensili in base alle condizioni di finanziamento.
Ai microfoni di Bfm Business radio, il banchiere centrale ha spiegato che dall’ultimo meeting di giugno le condizioni di finanziamento nel blocco hanno registrato un miglioramento. “Le nostre discussioni dovrebbero tenere conto del miglioramento delle condizioni di finanziamento”, ha sottolineato, aggiungendo che le economie di Francia e Zona euro dovrebbero tornare ai livelli pre-Covid all’inizio del 2022 o prima, e che “in questa fase non c’è il rischio di un aumento durevole dell’inflazione”.
Nonostante Fed e Bce continuino a rassicurare sulla temporaneità della fiammata dei prezzi, il tema resta però centrale per i gestori e per chiunque debba fare scelte sui mercati nei prossimi anni. È di oggi il dato tedesco che segna una nuova accelerazione dell’indice: ad agosto i prezzi tedeschi sono rimasti fermi su base mensile, mentre su base annuale sono saliti del 3,9% dal 3,8% di luglio. L’indice armonizzato europeo si è invece attestato al 3,4%, il massimo dal 2008, soprattutto a causa dei costi energetici.
“Le aspettative sull’inflazione sono certamente salite e i vari settori dell’economia si attendono un aumento dei prezzi. Se le banche centrali non sono più percepite come guardiane del contenimento dell’inflazione, non sorprende che vi sia consenso circa futuri aumenti dei prezzi – commenta in un report il team Investimenti di Fineco Asset Management -. Tuttavia, se è vero che le aspettative di una risalita dell’inflazione sono cresciute, storicamente queste non sono eccessivamente alte. I banchieri centrali parlano di fenomeno transitorio, guidato dalla considerazione che sia un fattore di breve termine dovuto al brusco stop dell’attività economica nel 2020 e alla rapida ripresa del 2021”.
Gli analisti ricordano come più volte negli ultimi venti anni siano stati annunciati periodi di crescita inflattiva che non si sono poi materializzati, a tal punto che quanti si erano posizionati in risposta a questi allarmi sono rimasti delusi e hanno assorbito perdite. “Vi sono state diverse ragioni negli ultimi due decenni per i bassi livelli di inflazione, come l’import dalla Cina dove costo del lavoro e di produzione sono rimasti molto bassi e a lungo – chiariscono -. Tuttavia questi argomenti sono oggi più deboli. Anche il tema forte degli scettici sul ritorno dell’inflazione, la globalizzazione, non è più così convincente”.
Quello che è certo è che più l’inflazione persiste, meno sarà facile definirla transitoria. “In questo contesto le banche centrali devono giustificare politiche accomodanti e allo stesso tempo monitorare la persistenza dell’inflazione. Il vero problema per loro sarà contenere l’inflazione senza scontentare i mercati e strozzare la ripresa. In questo contesto torneranno a fare quello che hanno sempre fatto, inizieranno a essere meno accomodanti, ma senza nessuna fretta e osservando ancora per mesi l’inflazione”, affermano gli esperti Fineco, secondo cui diventa dunque fondamentale per un investitore avere la giusta protezione contro l’inflazione nella costruzione del proprio portafoglio.
Come? “Sia ad esempio, tramite azioni ‘value’, sino ad oggi trascurate dai mercati, che tollerino rialzi dei tassi, o con strumenti inflation-linked che facciano da scudo contro l’effetto corrosivo dell’inflazione”, assicurano.
Ciò che però non preoccupa i mercati è il ritmo della ripresa, soprattutto per quanto riguarda la Zona euro, nonostante la frenata di alcuni indicatori. Dopo la contrazione dei Pmi, e dopo il massimo storico toccato a luglio, ad agosto anche la fiducia delle imprese e delle famiglie dell’Eurozona è diminuita. Secondo la Commissione europea, l’indice che misura il sentiment complessivo è calato a 117,5 punti, sotto i 118 punti del consensus e i 119 del mese precedente. Il segno meno ha interessato sia i servizi, sia l’industria sia i consumatori, mentre la fiducia è tornata a crescere nelle costruzioni ed è rimasta pressoché invariata nel commercio al dettaglio.
“I dati più recenti hanno confermato un rallentamento dell’attività economica registrata durante il mese di agosto all’interno dei Paesi sviluppati. I sondaggi Pmi flash per molti di questi Paesi hanno infatti tutti fatto segnare il segno meno – spiega Silvia Dall’Angelo, senior economist per la divisione internazionale di Federated Hermes -: il rallentamento rispecchia in gran parte una normalizzazione fisiologica dei tassi di crescita, dato che l’impatto iniziale delle riaperture delle economie inizia intuibilmente ad affievolirsi. Tuttavia, i fattori in gioco erano più numerosi ed eterogenei, come ad esempio l’aumento della diffusione dei contagi derivanti dalla variante Delta, i persistenti vincoli di approvvigionamento e le conseguenze di un rallentamento in corso per l’economia cinese”.
Per la Dall’Angelo, in considerazione di tutto ciò, i dati relativi agli indici Pmi continuano a mantenersi ancora su livelli piuttosto elevati, coerenti con una crescita superiore al trend negli Stati Uniti, nel Regno Unito e all’interno dell’Eurozona. “È interessante notare come le ultime rilevazioni lascino intendere come sia l’Eurozona a superare sia gli Stati Uniti che il Regno Unito, rispecchiando alcune dinamiche di recupero”, evidenzia.
E il futuro appare roseo. “Le politiche monetarie e fiscali caratterizzate da un’intonazione accomodante – conclude l’economista – dovrebbero continuare a sostenere la ripresa, soprattutto all’interno delle economie sviluppate, ma i rischi che circondano l’evoluzione della pandemia insieme alle persistenti differenze, in particolare per quanto riguarda il gap che intercorre tra Paesi emergenti e sviluppati, sono ancora evidenti”.
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