Per Burgess di Capital Group, ci sono occasioni al di là delle economie colpite dai tassi Fed. E risiedono nei bond in valuta locale dei Paesi alla fine del ciclo di rialzi. Dal Brasile al Messico, ecco quali
Cinquecento punti base di rialzi Fed da assorbire e una ‘nuova normalità’ della politica monetaria occidentale che i tassi rimanere elevati più di quanto inizialmente previsto. Era da tempo che i mercati emergenti non si trovavano a fare i conti con una simile situazione. Precisamene dagli anni ’90, quando il costo del denaro imposto dalla banca centrale Usa li colpì tramite crisi della bilancia dei pagamenti e problemi di cambio. Ora, tuttavia, alcune differenze di scenario rendono possibile agli investitori cogliere opportunità di rendimento nascoste nelle pieghe di un universo che resta complesso ma appare anche più diversificato. Ne fortemente è convinto Robert Burgess, gestore di portafoglio di Capital Group, che sostiene l’importanza di focalizzarsi sul credito in valuta locale attraverso una selezione orientata ai fondamentali e al ciclo monetario. Due fattori che spostano il focus della casa soprattutto su America Latina e alcune parti dell’Asia.
Rating e fondamentali, le due facce degli emergenti
Robert Burgess, portfolio manager di Capital Group
L’aumento dei tassi Usa e la minor propensione al rischio da parte degli investitori hanno penalizzato tutti i Paesi emergenti ma, secondo Burgess, sono soprattutto quelli con fondamentali più deboli ad aver subito “un netto incremento dei costi di finanziamento”. Non solo. I mercati più di frontiera tra di essi, sostiene l’esperto hanno scontato anche importanti adeguamenti valutari mentre su quelli che affrontano grossi ammortamenti la stretta monetaria e il rafforzamento del dollaro stanno esercitando pressione a livello di indicatori dei titoli di debito e difficoltà nel ridurre i deficit fiscali. Per realtà come queste, però, ce ne sono altre che appaiono in ottima salute. E che, addirittura, sembrano poter trarre un beneficio relativo dal quadro macroeconomico. Il gestore di Capital Group le individua, ad esempio, nei profili di Brasile e Messico: “Hanno creato ampie riserve di risparmi privati che contribuiscono a finanziare le passività fiscali e si stanno rendendo meno dipendenti dai finanziamenti esterni a breve termine”. In generale, spiega, si tratta di un gruppo che presenta “situazioni patrimoniali sull’estero abbastanza robuste” e “un accesso ai capitali in grado di proteggere dalla volatilità”. Ma il vantaggio più evidente è che hanno alzato i tassi di interesse in anticipo e in maniera più aggressiva, circostanza grazie sperimentano oggi un’inflazione vicina alla zona di comfort e banche centrali in anticipo nel ciclo di allentamento.
Debito il valuta locale la chiave per selezionare
Ecco che proprio la posizione rispetto ai tassi diviene quindi per Burgess il fattore determinante nell’orientare le scelte di allocazione all’interno di questo universo. E sotto un profilo non così scontato: quello valutario. “Da un lato”, spiega il gestore, “il minor costo del denaro dovrebbe offrire un vantaggio di scadenza a chi detiene debito in moneta locale dei mercati emergenti meglio posizionati”. “Dall’altro”, prosegue, “le divise di questi stessi Paesi dovrebbero ricevere supporto da uno scenario di permanenza dei tassi su livelli elevati. Tradotto: è opportuno detenere una certa duration locale nei contesti in cui le pressioni inflazionistiche sono in costante calo e le politiche monetarie diventano più accomodanti. Molti di questi, spiega l’esperto, si trovano in America Latina ma le zone da attenzionare sono anche altre: “Apprezziamo ad esempio il Sudafrica, dove i rendimenti reali sono vicini all’estremità superiore degli intervalli storici e offrono ancora un certo margine di protezione dai Treasury Usa”. Più complesso il caso dell’Asia, dove le banche centrali potrebbero tagliare più tardi e il debito tende a essere più correlato con i mercati globali: “Qui ravvisiamo opportunità sul fronte della duration solo in Cina, Indonesia e Corea del Sud”. Quanto all’Europa Centrale, la parole d’ordine resta cautela: “Il costo della vita pare stabilizzato su livelli inferiori e la crescita è stata lenta ma queste tendenze si sono riflesse sui rendimenti locali con cicli di allentamento aggressivi scontati nelle obbligazioni”.
Quanto ai mercati di frontiera, anche se i temi del supporto multilaterale e delle negoziazioni per ristrutturare del debito sembrano destinati a rimanere centrali, Burgess ritiene che sia necessaria un’analisi caso per caso. “Mentre gli spread sono ancora relativamente ampi e in molti casi offrono un significativo margine per le valutazioni, è probabile che i tassi Fed rimarranno relativamente elevati a meno che gli Stati Uniti non precipitino in recessione”, spiega infatti l’esperto. Che aggiunge: “Nessuno di questi scenari è particolarmente positivo per gli emittenti sovrani della categoria, i quali dovranno pagare in ogni caso rendimenti a doppia cifra per rifinanziarsi”. Sul fronte positivo, osserva però, “le recenti proposte di ristrutturazione sono state piuttosto favorevoli agli obbligazionisti e il Fondo monetario internazionale ha continuato a erogare risorse anche a Paesi che avevano problemi di sostenibilità”. La Tunisia è un esempio di emittente che, a suo dire, sconta un’elevata probabilità di default ma dovrebbe riuscire ugualmente ad assolvere alle imminenti scadenze del debito grazie anche all’incremento delle riserve in valuta estera. “Un altro titolo ad alto rendimento che valutiamo positivamente è l’Honduras”, conclude Burgess, “che si trova in una situazione di stallo politico ma gode del supporto del Fmi e ha fatto progressi sul fronte fiscale”.
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