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Volano i rendimenti dei titoli Ue: il decennale italiano ai massimi dal 2020. Occhi puntati sulle banche centrali, ma per i gestori è il ‘momentum’ di guardare altrove
Non c’è pace per gli investitori obbligazionari, stretti tra inflazione, banche centrali e tensioni geopolitiche aggravate dalla guerra Russia-Ucraina. Ad inaugurare con la giusta dose di tensione la settimana corta di Pasqua è stato questa volta il decennale italiano, il cui rendimento è schizzato in apertura al 2,427%, il top da marzo 2020, cioè quando si era in piena bufera Covid, avanzando del 3,3%.
Non sono da meno i rendimenti degli altri principali Paesi europei, in particolare quello tedesco, schizzato al massimi da quasi 7 anni, che ha segnato una brusca inversione di tendenza dai livelli del mese scorso. Il tasso sul Bund a 10 anni è salito di 11 punti base allo 0,82%, il livello più alto da settembre 2015. Stesso discorso per la Spagna (+4,1%), all’1,670%, la Grecia (+1,2%), al 2,878%, e la Francia (+1,1%), all’1,268%. Forte anche la salita del Regno Unito (+4%), all’1,787%.
Il motivo di tanta tensione sull’obbligazionario è sempre lo stesso: mentre gli occhi sono puntati sul dato dell’inflazione Usa di marzo, in uscita martedì e atteso in ulteriore rialzo all’8,5%, le minute Fed hanno reso chiaro a tutti che Powell e colleghi sono pronti per un aumento più deciso dei tassi di interesse e per una riduzione più rapida del previsto del proprio bilancio. Intanto, giovedì è attesa al varco la Bce: da questo meeting i mercati non si aspettano mosse avventate ma piuttosto indicazioni su come il board dell’Eurotower intende muoversi. Goldman Sachs, venerdì scorso, ha fatto sapere di aspettarsi aumenti dei tassi di interesse Ue di 25 punti base a settembre e dicembre sulla scia dell’impennata dei prezzi. E tre ritocchi nel 2023: a marzo, giugno e dicembre.
Non una bella prospettiva, insomma, per chi investe nel reddito fisso. “La montagna di denaro riversata sui mercati a seguito della pandemia, che BofA ha calcolato in circa 31 trilioni di dollari, sarà gradualmente assorbita non prima dei prossimi 5 anni e quindi è lecito attendersi che i rendimenti reali attuali (negativi) rimarranno inferiori alla loro media storica che è positiva”, avverte Antonio Tognoli, head of research di Integrae Sim.
Per Tognoli quindi in un contesto di maggiore inflazione e di correlazione positiva tra azioni e bond (che già di per se aumenta il rischio), occorre ripensare la classi di allocazione bilanciata 60-40, aumentando l’esposizione verso l’azionario, ma diversificando in modo ragionato gli investimenti, includendo asset reali e strategie più flessibili sui bond. “Alternativamente – aggiunge -, è possibile ottenere rendimento e decorrelazione anche senza aumentare necessariamente l’esposizione verso l’azionario, evitando nel breve termine la competizione con gli indici e pianificando gli investimenti nel lungo termine”.
“Da non dimenticare per esempio – aggiunge – i Paesi emergenti (che siamo convinti continueranno ad emergere) che, secondo le nostre stime potrebbero esprimere rendimenti intorno al 10% l’anno in dollari, oltre alle azioni italiane con alta cedola (alcuni titoli offrono un rendimento del dividendo superiore al 9%)”.
Mabrouk Chetouane e Nicolas Malagardis, global market strategy di NIM Solutions (Natixis Im), vedono un rallentamento della crescita globale nel breve, soprattutto in Europa, ma sono convinti che questa rimarrà superiore al potenziale a lungo termine per gran parte del 2022. “È probabile che i Paesi europei utilizzino eventuali margini di manovra residui nei bilanci pubblici per attutire l’impatto sui consumi ed in particolare sulla spesa energetica per le famiglie a basso reddito”, spiegano, sottolineando come questo potrebbe alimentare le aspettative di emissione di nuovo debito comune da parte dell’Ue. “Questo contesto potrebbe incidere sui programmi di normalizzazione delle politiche monetarie delle principali banche centrali, che potrebbero essere indotte a tirare il freno a causa di un deterioramento più rapido del previsto delle condizioni finanziarie”, osservano.
“In questo senso – continuano i due esperti -, sebbene la presidente Lagarde abbia annunciato un’accelerazione del tapering, non prevediamo che la Bce aumenterà il proprio tasso di politica monetaria nel 2022, e ci aspettiamo che un eventuale rialzo nel 2023 dipenda in ultima analisi dal grado di distruzione della domanda causato dal conflitto”. Allo stesso modo, secondo Chetouane e Malagardis è improbabile che la Fed implementi il numero di rialzi dei tassi scontato nelle attuali quotazioni dei future sui Fed Funds e si aspettano 3-4 ritocchi graduali, in modo che la banca centrale Usa possa monitorare attentamente l’inasprimento, già in corso, delle condizioni finanziarie.
Secondo Philippe Gräub, head of global fixed income di Ubp, la guerra Russia-Ucraina non mette in discussione il ciclo di stretta monetaria deciso dalle banche centrali e Powell potrebbe rialzare i tassi dieci volte fra il 2022 e il 2023: uno scenario già ampiamente prezzato dal mercato. In Europa, invece, le proiezioni sono meno uniformi dal momento che la dinamica economica è più dipendente dall’andamento dei prezzi dell’energia di quanto non lo sia negli Usa.
Ma per gli investitori obbligazionari la soluzione esiste. “Il conflitto in Ucraina ha spinto gli spread degli swap a livelli di stress equivalenti a quelli registrati al tempo della crisi dell’Eurozona, e prossimi a quelli della crisi finanziaria del 2008 – evidenzia Gräub -. In termini di valutazioni questo è un indicatore interessante, poiché indica che molte cattive notizie sono già state prezzate. Inoltre, il quadro macroeconomico favorevole e la solida posizione finanziaria delle aziende possono giustificare un ritorno degli investitori verso i mercati obbligazionari, con una preferenza per gli emittenti con un beta elevato all’interno dei portafogli”.
“L’aumento dei rendimenti (7% in dollari per una strategia ‘Global high yield’ sugli indici Cds) può attenuare gli effetti di uno scenario meno favorevole per l’Europa. Inoltre, il mercato high yield statunitense, caratterizzato da una forte presenza di player attivi nel settore dell’energia, dovrebbe beneficiare dell’aumento dei prezzi degli idrocarburi”, prosegue sottolineando come gli investitori dovrebbero anche mantenere un’esposizione difensiva in termini di duration.
“A gennaio, in vista del cambiamento della narrativa della Fed, il team ha adottato proprio questo posizionamento, la cui bontà, dall’inizio dell’offensiva russa in Ucraina il 24 febbraio, non è ancora stata smentita. Di conseguenza, crediamo di essere in presenza del ‘momentum’ giusto per tornare a muoversi sui mercati obbligazionari, in particolare per quanto riguarda i titoli high yield. Inoltre, questa crisi dovrebbe portare a un ulteriore appiattimento della curva dei rendimenti Usa”, conclude Gräub.
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