Per Frédéric Leroux, membro del Comitato Strategico d’Investimento della fund house, non è il momento di vendere: “Quando la situazione si attesta a livelli molto bassi non è molto vantaggioso cercare di ridurre le perdite”, afferma
Frédéric Leroux, membro del Comitato Strategico d’Investimento di Carmignac
Mercoledì scorso – 16 marzo – sono scadute cedole su obbligazioni in dollari per circa 117 milioni che la Russia doveva ai propri creditori. Cifra cui si aggiungono circa 5 miliardi di debito internazionale che andrà in scadenza nei prossimi due anni.
Attorno al possibile mancato pagamento del Cremlino ai creditori è scattato un piccolo giallo, con alcune agenzie di rating che si sono nel frattempo pronunciate declassando o addirittura sospendendo le azioni di rating sul Paese. Per cercare di capire quale possa essere il vero impatto sui portafogli degli investitori FocusRisparmio ha rivolto alcune domande a chi oggi si ritrova a dover gestire esposizioni, seppur moderate, ai bond sotto pressione. Frédéric Leroux, membro del Comitato Strategico d’Investimento di Carmignac, è fra coloro, non moltissimi, disposto in questo momento a rispondere sul tema.
Alla luce di quanto stiamo osservando sul mercato cosa deciderete di fare con le esposizioni alle obbligazioni russe?
Attualmente i bond russi sono contrassegnati tra 10c e 30c a seconda della serie e di altri fattori e abbiamo parzialmente coperto l’esposizione con i credit default swap in diversi momenti, anche se i CDS prevedono attualmente un recovery rate molto più elevato, a causa della vendita forzata dei bond russi. Quando la situazione si attesta a livelli molto bassi non è molto vantaggioso cercare di ridurre le perdite ma piuttosto sarebbe opportuno aspettare che la situazione si plachi per assistere all’emergere di migliori opportunità per ridurre l’esposizione alla Russia.
Vi aspettate il ritorno di fasi di alta volatilità?
Ci aspettiamo una situazione di elevata volatilità duratura. Le fonti di incertezza sono numerose, tra Ucraina, Cina, gli ultimi sviluppi relativi al Covid e tutto ciò di cui ancora non è dato sapere. L’inflazione resta il principale fattore di volatilità, che continuerà a persistere anche se il conflitto in Ucraina dovesse cessare e la situazione economica, normativa e sanitaria in Cina dovesse migliorare. Infatti, al di là degli effetti inflazionistici della guerra in Ucraina sulle materie prime energetiche e agroalimentari, la transizione nel settore dell’energia, la volontà di una maggiore indipendenza energetica e industriale, il grande ritorno delle politiche di bilancio e i salari che gradualmente entrano nel loop prezzi/salari alimenteranno l’inflazione nel prossimo futuro. Sarà ancora una volta l’inflazione a stabilire le politiche monetarie, con tutte le incertezze che questo comporta rispetto ai dieci anni precedenti. La volatilità sui mercati rimarrà quindi elevata.
Come vi preparate a gestire queste fasi?
Attualmente, i nostri portafogli diversificati sono ampiamente protetti. L’esposizione alle azioni è inferiore al 5% e la duration della posizione in bond è vicina allo zero. Potremmo tornare ad avere un’esposizione significativa dei portafogli ai titoli azionari solo nel momento in cui stimiamo un vero e proprio avanzamento dei negoziati diplomatici nel conflitto russo-ucraino o un massiccio crollo dei mercati azionari.
In termini di performance quali sono i settori andati meglio negli ultimi 2-3 mesi?
Il conflitto in Ucraina, le sanzioni economiche ad esso associate e l’impennata dei prezzi delle materie prime (energia, ma anche generi alimentari, metalli e gas rari) hanno creato un rischio di stagflazione, ovvero un rallentamento economico inflazionistico. Se da un lato l’outlook economico per il 2022 aveva già fatto presagire un rallentamento del ritmo di crescita e un’inflazione persistente, dall’altro il conflitto Russia- Ucraina funge da amplificatore dei trend economici prevalenti alla fine dell’anno scorso. Non sorprende che in questo contesto il settore energetico abbia continuato ad ottenere buone performance, cavalcando l’impennata dei prezzi dell’energia. Con lo scoppio e l’intensificarsi del conflitto ucraino, la maggior parte dei beni rifugio ha fatto il proprio dovere, compreso l’oro e i titoli legati all’oro, come quelli attivi nell’estrazione del metallo prezioso. Dall’inizio dell’anno, alcuni titoli dai multipli elevati e poco supportati dalle valutazioni nel settore tecnologico hanno registrato le performance peggiori. Si tratta di nomi che vengono spesso definiti “di lungo periodo”, dal momento che le loro valutazioni si basano sulla crescita raggiungibile nel corso di più anni piuttosto che sulla redditività attuale. Ecco perché queste aziende sono più sensibili ai tassi di crescita come quelli che hanno caratterizzato i primi due mesi dell’anno, sulla scia della normalizzazione delle politiche monetarie nel mondo occidentale.
E negli ultimi 6-12 mesi?
I primi mesi dello scorso anno sono stati caratterizzati da un forte contesto reflazionistico, in scia all’onda blu statunitense (e alle relative speranze di imponenti stimoli fiscali), al lancio della campagna vaccinale e alla distensione della domanda repressa, mentre le economie traevano ancora beneficio dallo straordinario sostegno delle politiche monetarie e fiscali. La principale incognita all’orizzonte era legata al formarsi di alcuni colli di bottiglia dell’offerta (sulla scia sia delle interruzioni causate dal lockdown sia di un’impennata della domanda in seguito alla riapertura delle economie mondiali) e all’adozione da parte della Cina di un tono sempre più aggressivo a livello monetario, fiscale e normativo. In questo contesto, le dinamiche di mercato della prima metà di quell’anno rappresentavano un ciclo economico in ripresa, con un irripidimento delle curve dei rendimenti, una sovraperformance dei settori ciclici, un aumento dei prezzi delle materie prime e un restringimento degli spread di credito. Nella restante parte dell’anno, le aspettative di crescita sono state corrette al ribasso, mentre l’inflazione ha continuato a salire, le banche centrali dei paesi sviluppati hanno iniziato ad adottare un atteggiamento meno accomodante e l’ottimismo riguardo agli stimoli fiscali illimitati negli Stati Uniti si è rivelato eccessivo. In Cina la situazione si è evoluta in negativo, dal momento che le autorità locali hanno adottato una posizione sempre più dura nei confronti dei grandi gruppi del settore tecnologico e del private tutoring – le conseguenze della promessa della prosperità comune hanno scatenato momenti di volatilità, data la tempestività delle misure introdotte e la mancanza di chiarezza su come questi cambiamenti avrebbero influenzato i business model. Il passaggio al deleveraging e i timori per un aumento del rischio di default del secondo maggiore developer immobiliare cinese (The China Evergrande Group), oltre alle preoccupazioni che l’insolvenza di China Evergrande Group possa colpire altre parti dell’economia, hanno ulteriormente acceso la diffidenza nei confronti degli asset cinesi.
In termini di cambi recenti quali sono i titoli su cui avete investito negli ultimi 2-3 mesi e perché? Quelli da cui avete disinvestito?
I mercati hanno attraversato momenti di avversione al rischio che ci hanno portato a mantenere un approccio prudente. Nonostante ciò, abbiamo continuato ad adattare il nostro portafoglio a un contesto caratterizzato da crescita più lenta e inflazione più elevata. Negli ultimi mesi, abbiamo ridotto la nostra esposizione ai titoli dai multipli elevati, che sono più sensibili all’aumento dei tassi d’interesse, soprattutto quelli del settore tecnologico. Abbiamo invece mantenuto o rafforzato la nostra esposizione ai seguenti segmenti. Azioni difensive: resilienti in periodi di rallentamento economico, soprattutto nel settore healthcare. Continuiamo a incrementare la nostra esposizione a questo tema, come ad esempio la casa farmaceutica svizzera Roche Holding, leader mondiale nelle cure contro il cancro. Abbiamo anche riequilibrato la nostra esposizione ai beni di consumo, investendo in Colgate e Procter & Gamble; Titoli quality: caratterizzati da un bilancio solido, bassi livelli di debito (e quindi meno sensibili all’aumento dei tassi) e potere di determinazione dei prezzi per mantenere margini elevati in un contesto inflazionistico. Questi includono ad esempio Microsoft, Amazon e Alphabet, nomi per i quali abbiamo rafforzato la nostra esposizione a seguito delle correzioni delle ultime settimane. Oltre a solidi fondamentali, alcune di queste grandi aziende del settore tecnologico continuano a lanciare segnali positivi ai mercati: buyback (Alphabet ha riacquistato 50 miliardi di azioni l’anno scorso), stock split (Amazon 20:1), alti livelli di spese in conto capitale e fattività di M&A (l’acquisizione di Activision da parte di Microsoft, l’acquisizione di Mandiant, azienda attiva nella cybersecurity, da parte di Google); Titoli ciclici: manteniamo un’esposizione ciclica, rivolta da un lato ai settori dell’energia – la nostra esposizione è suddivisa sia sulle società energetiche tradizionali (Schlumberger, Total), le cui performance sono correlate all’aumento dei prezzi del petrolio e del gas, sia sulle società di energie rinnovabili (Orsted), che beneficiano di un nuovo interesse per i loro prodotti. Poi abbiamo il settore bancario, che beneficia di una migliore redditività grazie all’aumento dei tassi d’interesse a breve termine – questa esposizione è sia fisica (BNP, Lloyds banking), sia tramite posizioni su indici; Titoli legati alla riapertura delle economie: abbiamo sfruttato le correzioni di mercato per lanciare nuovi posizionamenti in titoli legati al tema della riapertura delle economie e del turismo (hotel, compagnie aeree, agenzie di viaggio, parchi divertimento, pagamenti) – questi segmenti hanno infatti risentito sia della difficile situazione a livello sanitario che del calo generale dei mercati dopo l’invasione della Russia in Ucraina, ed offrono a nostro avviso un interessante profilo rischio/rendimento.
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