La Fed non tocca i tassi e taglia la crescita. Ma prevede ancora due sforbiciate nel 2025
Al rialzo le stime di inflazione. Per Powell c’è più incertezza con Trump, ma una recessione è improbabile. Gli investitori sperano in una riduzione a giugno
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Venti di pace soffiano sulle borse europee. Nonostante i negoziati per la fine della guerra in Ucraina abbiano mosso solo i primi passi, l’attivismo del presidente americano, Donald Trump, e la reazione dei leader europei riuniti a Parigi hanno rianimato il sentiment degli investitori. Complice anche il rinvio da parte della Casa bianca dei temuti dazi reciproci, l’euro ha toccato il massimo da quasi due mesi e i listini del Vecchio Continente hanno chiuso in territorio positivo, con difesa e banche a guidare i rialzi. La strada per un cessate il fuoco definitivo tra Mosca e Kiev è ovviamente ancora tutta in salita, ma per i gestori l’ipotesi di una tregua ha comunque rilanciato il tema della fine della guerra, variabile chiave per i mercati. Con gli operatori che iniziano a posizionarsi sui settori ad alta intensità energetica e sui titoli rimasti indietro. Tuttavia non è detto che l’euforia duri ancora per molto.
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“Il piano prevede una fase di incontri, ma è ancora presto per dire se porterà a un cessate il fuoco o a condizioni favorevoli per una soluzione del conflitto”, spiega Massimo De Palma, head of multi asset team di Gam (Italia) SGR. Che fa notare come nonostante l’esclusione dell’Europa dal negoziato abbia creato tensioni, nel corso della settimana scorsa l’azionario del Vecchio Continente abbia comunque beneficiato dello spiraglio di pace. “Intanto i rappresentanti europei stanno lavorando a un nuovo pacchetto di misure per aumentare la spesa per la difesa, anche se un eventuale accordo potrà essere definito solo dopo le elezioni tedesche del 23 febbraio”, chiarisce. Aggiungendo che la prospettiva di maggiori investimenti nella sicurezza implica un aumento del debito: si spiega così la crescente pressione sui rendimenti obbligazionari nell’Eurozona.
Gli effetti dell’avvio delle trattative si sono fatti sentire anche sui prezzi del gas naturale in Europa che, dopo un rialzo iniziato lo scorso dicembre e un’accelerazione fino ai massimi di febbraio, stanno ora correggendo, tornando a 49/50 euro dal picco oltre quota 60. “Questo calo è supportato da alcuni fattori come i negoziati su stoccaggi più flessibili e l’ipotesi di un ritorno parziale delle forniture russe, nel caso di progressi nei colloqui di pace”, afferma De Palma. Secondo l’esperto, una regolamentazione meno rigida sugli stock alleggerirebbe la pressione sulla domanda nei prossimi mesi, contribuendo a contenere l’inflazione. “Il calo del gas favorisce i mercati finanziari e sostiene i settori ad alta intensità energetica, che beneficiano di costi più bassi e migliori prospettive di margine”, precisa.
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Il Global credit team di Algebris Investments punta però l’attenzione sulle preoccupazioni che la mossa trumpiana ha sollevato tra i funzionari europei e ucraini. Il loro timore è infatti che Kiev possa essere costretta a cedere territori senza adeguate garanzie di sicurezza. “Zelensky insiste per essere incluso in qualsiasi negoziato e si sta coordinando con gli Stati Uniti per sviluppare una strategia unitaria prima di impegnarsi con Putin”, fanno notare gli esperti di Algebris Investments. “L’accordo di pace proposto potrebbe prevedere che l’Ucraina rinunci alle rivendicazioni su alcuni territori e accetti uno status di neutralità, mentre l’Europa assumerebbe un ruolo più significativo nella ricostruzione e nella sicurezza postbellica dell’Ucraina”, ipotizzano. Tuttavia, a loro parere, la Munich Security Conference dello scorso fine settimana ha rivelato un panorama politico più complicato di quello descritto dal presidente USA: i leader europei sono infatti desiderosi di partecipare ai negoziati e il discorso del vicepresidente Vance ha scatenato rabbia diffusa. “Vediamo un percorso verso un accordo nel primo trimestre del 2025, ma la strada sembra più accidentata di quanto il mercato stia valutando”, avvertono.
Nel frattempo, la sola notizia dell’apertura del tavolo ha favorito gli asset europei nel loro complesso, estendendo il rally anche alle valute dell’Area, tra cui la moneta unica e la corona svedese. “Per il momento, almeno, i mercati ignorano le difficili relazioni tra Stati Uniti ed Europa e l’ulteriore rinvio dei dazi su larga scala ha alimentato le speranze che vengano utilizzati su base settoriale e come strumento di negoziazione geopolitica, sostenendo tutte le principali valute mondiali rispetto al dollaro e contribuendo a far salire le azioni a nuovi massimi storici su entrambe le sponde dell’Atlantico”, commentano gli analisti di Ebury. Un ritorno dell’ottimismo che nemmeno la spiacevole sorpresa al rialzo dell’inflazione statunitense di gennaio è riuscito a intaccare, mentre i Treasury hanno ottenuto una performance positiva nonostante tutti i fattori sfavorevoli.
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Tuttavia, per gli analisti della fintech britannica la minaccia è stata solo posticipata, anche se non di molto, motivo per cui restano scettici su un’ulteriore ripresa dell’euro. A meno che non si cominci a vedere una riduzione del divario di performance economica tra le due sponde dell’Atlantico. “Due report importanti di questa settimana potrebbero iniziare a mostrare l’evidenza di tale riduzione: il sondaggio Zew sulle aspettative degli investitori e l’indice PMI flash di febbraio sul sentiment dei manager d’impresa”, precisano. Quanto ai Treasury, a loro parere per ora il mercato obbligazionario USA sembra aver preso atto che la Fed ha iniziato a mettere in discussione la possibilità di un taglio dei tassi. Mentre il dollaro scambia per lo più in base alle news sui dazi. “Con poche notizie degne di nota questa settimana e gli scambi ridotti per il President Day, il dollaro probabilmente si muoverà per lo più in base a quanto accadrà in altri Paesi. A patto che non ci siano altre notizie da parte dell’amministrazione Trump”, concludono.
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