Fondi pensione, è allarme per la riforma fiscale
Per le Commissioni di Camera e Senato la tassazione sulle prestazioni finali dovrebbe andare dal 23% al 46%, contro l'attuale 9-15%
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Il tema della riforma fiscale tiene banco nel dibattito pubblico anche perché “rischia di investire, penalizzandola ulteriormente, la sfera del risparmio previdenziale degli italiani, già basso e che rischia di essere ulteriormente danneggiato”, spiega Alberto Brambilla, presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, che in questa intervista a FocusRisparmio argomenta i motivi che lo hanno portato a criticare pubblicamente (nella lettera divulgata sull’inserto L’Economia del Corriere della Sera) l’operato delle Commissioni finanze di Camera e Senato al lavoro sulla riforma.
“Con il sistema attuale abbiamo due certezze – spiega l’esperto – La prima che i rendimenti dei fondi pensione sono tassati al 20% e la seconda che il montante è soggetto a un’imposta sostituiva che va dal 9 al 15% al variare degli anni di contribuzione”, osserva.
Dopo 61 audizioni le Commissioni hanno prodotto una proposta di riforma che, fra le altre cose, prevede di incrementare l’imposta sostitutiva sulle prestazioni finali dagli attuali scaglioni ad un’aliquota più vicina a quella ordinaria utilizzata per tassare le rendite finanziarie.
“Un passo indietro di almeno 21 anni che rischia di bloccare la previdenza complementare italiana scatenando il panico fra i risparmiatori” conferma Brambilla dopo l’articolo apparso sul Corriere della Sera lo scorso 23 agosto con cui aveva sollevato il problema e dopo la replica di Luigi Marattin, presidente della Commissione finanze alla Camera, sempre dalle pagine del Corriere.
Marattin, nella sua lettera del 30 agosto, ha precisato che nella proposta il “regime ordinario” cui si fa riferimento è il “nuovo regime duale proposto dalle Commissioni, vale a dire quello in cui le rendite finanziarie — così come i redditi da capitale — verrebbero tassate in maniera proporzionale con un’aliquota tendenzialmente vicina all’aliquota più bassa dei redditi da lavoro e non quindi il 46% dell’aliquota attuale”.
A FocusRisparmio Brambilla conferma che dal suo punto di vista permangono perplessità, in particolare per la “mancanza di indicazioni oggettive su quale sarà questa aliquota”. “Sul tema della previdenza complementare la politica è sempre stata miope – dice l’esperto – Il lavoro delle Commissione è l’emblema dello scollamento fra politica e mondo reale. In più, quando si tratta di temi fiscali c’è da sempre un’eccessiva dose di applicazione di teoria economica, a scapito della realtà”. “Oggi c’è bisogno semmai di differenziare ancor di più il trattamento del risparmio previdenziale da quello finanziario, non di equipararli”, argomenta Brambilla anticipando i temi di una articolata contro-risposta a cui sta lavorando.
Al di là della questione fiscale, è necessario, secondo Brambilla, rilanciare il comparto della previdenza complementare, riconoscendo il suo ruolo nel sistema Paese. Tra le proposte del presidente del Centro Studi di Itinerari Previdenziali quella di restaurare un fondo di garanzia che consenta alle imprese di piccola dimensione di poter utilizzare il tfr lasciato dai lavoratori in azienda come liquidità circolante. “Sarebbe una bella boccata d’ossigeno per quelle imprese che non riescono più ad accedere al credito bancario, oggi centellinato dopo le varie crisi degli anni passati”.
Se dal fronte legislativo non arrivano assist, ritiene Brambilla, il compito di promuovere la diffusione degli strumenti di previdenza complementare spetta al mercato, in particolare agli intermediari.
“Occorre lavorare su due piani: l’informazione e la comunicazione da un lato, la promozione dei fondi pensione aperti dall’altro. Lavorando in questa direzione si potrà aumentare la penetrazione dello strumento nei portafogli delle famiglie italiane”.
Un ruolo primario dovranno ricoprirlo le banche, le sgr, le reti di consulenza. “Gli intermediari dovrebbero pensare maggiormente alla propria funzione sociale. È vero che in termini di fee i ritorni sugli strumenti di previdenza complementare sono modesti rispetto ad altri tipi di prodotto, ma costituiscono un potente strumento di fidelizzazione del cliente secondo una logica di relazione di lungo periodo”.
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