Risolvere il rebus ESG (insieme)
Societe Generale Securities Services promuove il dibattito fra attori del mercato per riflettere su un tema che sfida tutti gli operatori. Obiettivo: mantenere la propria specificità evitando il rischio isolamento
5 min
Il titolo di questo articolo è preso dall’articolo Breve Elogio della Moderazione scritto dall’economista Silvana de Gleria nel 1997. Oggi esiste una grande confusione sui temi della transizione verde. Mentre le agenzie europee emettono regole cogenti per la transizione verde molti semplicemente negano l’esistenza del riscaldamento globale e dell’esaurimento delle risorse naturali. L’incertezza non è certamente prerogativa dei nostri tempi. Praticamente in ogni momento nel passato guerre, malattie, incidenti rendevano la vita delle persone molto incerta. In uno scritto del 1736 il vescovo Joseph Butler formulò la famosa massima che “la probabilità è la guida della vita”. Ma come possiamo valutare le probabilità di fenomeni così complessi come la transizione verde? La risposta: Con moderazione e buon senso, cercando di capire l’essenziale prima di scendere nei dettagli.
Ripercorriamo brevemente la storia del concetto attuale di transizione verde. All’inizio del 1970 apparvero i primi avvertimenti scientifici che la terra non era in grado di sopportare una continua crescita esponenziale. Nicholas Georgescu-Roegen pubblicò il suo famoso libro The entropy law and the economic process in cui sosteneva che a causa della seconda legge della termodinamica, la legge dell’entropia, a cui aggiunse una quarta legge, i processi economici implicano un irreversibile degrado delle risorse naturali. Il rapporto I limiti dello sviluppo commissionato dal Club di Roma di Aurelio Peccei e scritto da un gruppo di scienziati del MIT guidati da Donella Meadows, sosteneva che le risorse naturali sono finite e stimava le date probabili per il loro esaurimento.
L’opinione pubblica, i governi, e il mondo industriale ignorarono completamente questi lavori. La crescita economica era la preoccupazione dominante. Il mondo accademico, tuttavia, si divise fra “cornucopians” e “doomsdayers”. I cornucopians includevano economisti di grande nome quali Robert Solow. Sostenevano che le risorse terrestri sono praticamente illimitate perché i prodotti giunti alla fine della loro vita si possono riciclare almeno parzialmente ma soprattutto perché quando una risorsa naturale si esaurisce se ne trova subito un’altra sostitutiva. I doomsdayers negavano tutto ciò e sostenevano che l’incremento esponenziale dei consumi e l’incremento esponenziale della popolazione avrebbero portato ad una catastrofe.
Gli ecologisti, non molto numerosi, erano considerati una moda culturale contraria allo sviluppo industriale. Le posizioni degli ecologisti e del mondo industriale erano opposte. Gli ecologisti sostenevano che siccome la crescita è impossibile bisogna adottare un modello sociale ed economico contrario alla crescita. In altre parole, sostenevano la decrescita. Il più noto esponente della decrescita in Europa è stato un francese, il professor Serge Latouche.
Il mondo industriale aveva grandi interessi commerciali da difendere. La decrescita avrebbe implicato la riduzione drastica delle attività industriali ed un conseguente crollo dei profitti. Pertanto, il mondo industriale era naturalmente portato a negare i problemi ecologici ed ambientali mentre il mondo degli ecologisti si sentiva libero di fare profezie catastrofiche e di suggerire soluzioni drastiche. Non esisteva un terreno di mezzo. Oggi il mondo occidentale, l’Italia in particolare, è di nuovo diviso fra cornucopians che pensano che le risorse naturali siano praticamente infinite e i doomsdayers che profetizzano una imminente catastrofe.
Fermiamoci un momento e cerchiamo di mettere alcuni punti fermi. È impossibile credere che le risorse della terra siano infinite. Non disponiamo, almeno per il momento, di tecnologie che ci permettano di sintetizzare i materiali necessari a partire da componenti abbondanti quali l’acqua. La domanda critica non è se le risorse naturali si esauriranno ma quando. Negli anni Settanta si pensava che i tempi di esaurimento delle risorse fossero lunghissimi. Il rapporto I limiti dello sviluppo aveva calcolato orizzonti temporali molto preoccupanti ma solo pochi ci credevano. Nei 50 anni successivi da una parte la tecnologia ha migliorato l’efficienza di molti processi industriali e nuove risorse naturali sono state scoperte. Per contro i consumi di materiali sono cresciuti esponenzialmente sia per la crescita della popolazione sia per la crescita dei consumi pro-capite. Non solo, ma la tecnologia ha creato esigenze di nuovi materiali rari. Questi materiali non solo si esauriranno rapidamente ma stanno creando bruttissimi problemi geopolitici.
Credere che la tecnologia risolverà ogni problema è ingenuo e molto rischioso. Per cui il primo punto fermo è questo: le risorse si esauriranno e non possiamo continuare un percorso di crescita economica che richiede una crescita esponenziale dell’estrazione di materie prime. È inutile illuderci che possiamo evitare politiche industriali che limitino l’uso delle risorse naturali e dobbiamo accettare che dovremo cambiare le nostre abitudini di consumo. Sarà un processo lungo e lento ma dobbiamo iniziarlo adesso. Dobbiamo programmare la produzione industriale in modo che la crescita economica non abbia impatto sull’utilizzo delle risorse naturali.
La soluzione che è attualmente proposta è l’economia circolare. Ma non si può riciclare tutto al 100% e perciò l’economia circolare è solo una soluzione parziale. Io ho proposto di accoppiare economia circolare e crescita qualitativa. Arrivare al decoupling della crescita dall’uso delle risorse naturali sarà un lungo percorso che richiederà cambiamenti delle abitudini di consumo e dei processi industriali oltre a cambiamenti sociali ed economici.
Il problema sollevato da Georgescu-Roegen e dal Club di Roma era essenzialmente una questione di esaurimento di risorse naturali incluso il petrolio. Tuttavia, a partire dagli anni Cinquanta, si cominciò a parlare di riscaldamento globale dovuto alle emissioni di gas a effetto serra, in particolare di anidride carbonica. In realtà la nozione che l’attività umana possa alterare il clima è molto vecchia, risale addirittura ai greci. Ma a partire dagli anni Cinquanta si cominciò ad accumulare prove scientifiche del riscaldamento globale e degli effetti delle emissioni di gas a effetto serra. Oggi molti climatologi avvertono che il riscaldamento globale sta raggiungendo il punto di non ritorno in cui si produrranno cambiamenti irreversibili del clima con effetti catastrofici.
L’urgenza, vera o presunta, del problema crea reazioni irrazionali. Molte persone semplicemente negano che il riscaldamento globale sia il prodotto dell’attività umana. Per contro alcune agenzie governative a livello europeo cercano di imporre regole praticamente impossibili e comunque distruttive, salvo poi tornare indietro con gravi perdite di credibilità. L’auto elettrica ne è un esempio. E si affacciano i sospetti di malversazioni.
L’attività umana odierna ha sicuramente un effetto sul clima. È impensabile che la quantità di energia rilasciata nell’ambiente e la quantità di gas a effetto serra immessa nell’atmosfera non abbiano effetto sul clima. L’attività umana interagisce in modo complesso con l’ambiente naturale.
Uno studio della Cornell University dell’ottobre 2021 ha esaminato 88.125 articoli peer-reviewed relativi al clima: Il 99,9% di questi articoli attribuisce all’attività umana il rapido cambiamento climatico che stiamo osservando. Notiamo esplicitamente che stiamo parlando della quasi totalità di articoli relativi al clima.
Molti commentatori oggi lamentano che il pensiero dominante attribuisce all’attività umana il riscaldamento globale e soffoca le critiche. Ma questi commentatori dimenticano che per 50 anni è avvenuto il contrario: Il mondo industriale e i governi hanno sistematicamente negato l’influenza dell’azione umana sul clima. Le opinioni sono cambiate negli ultimi tre o quattro anni per l’accumulo delle evidenze empiriche non per qualche complotto. Sia il mondo industriale che i governi avrebbero volentieri fatto a meno di una crisi ambientale. Produrre, consumare, e crescere era il motto dominante, la grande sorgente di profitto e consenso.
Che cosa fare? È necessario essere realisti. Nel 1987 il rapporto Our Common Future, redatto sotto la direzione di Gro Harlem Brundtland, introdusse l’idea dello sviluppo sostenibile. In Italia l’economista Silvana De Gleria propose un’interpretazione moderata delle idee di Georgescu-Roegen che formulò in molti articoli in particolare nell’articolo Breve elogio della moderazione citato all’inizio. Lo sviluppo sostenibile è la terza via fra la negazione della crisi ambientale e la decrescita. La decrescita felice è un’impossibile utopia ma continuare a distruggere l’ambiente è suicida. Dobbiamo renderci conto che due terzi della popolazione mondiale contribuiscono pochissimo sia al riscaldamento globale sia all’esaurimento delle risorse naturali. Questa massa di popolazione vuole cominciare a consumare secondo lo stile occidentale.
Il dibattito se l’attività umana stia o no cambiando il clima e distruggendo le risorse naturali è senza senso. La risposta è sicuramente affermativa. Il reale problema è che non sappiamo come risolvere questi problemi che hanno natura globale e complessa. È futile pensare che possiamo semplicemente cambiare i metodi di produzione di energia elettrica. Il problema è molto più globale ed include, ad esempio, la rete dei trasporti internazionali. Ed è altrettanto futile pensare che le abitudini di consumo non dovranno cambiare.
Perciò se vogliamo orientarci nella situazione attuale di confusione dobbiamo innanzitutto riconoscere che esiste sia un problema di esaurimento di risorse naturali sia di impatto umano sul clima. Il negazionismo è futile ma dobbiamo capire che risolvere questi problemi è molto difficile e richiederà molto tempo. Sarà necessario cambiare i processi industriali e sarà necessario cambiare le abitudini di consumo. Il mercato da solo non sarà in grado di farlo. Nei decenni passati abbiamo sfruttato la tecnologia per soddisfare ogni esigenza di consumo e per crearne di nuove. Ogni possibilità di profitto è stata sfruttata. Oggi ci ritroviamo di fronte a vincoli ed ostacoli. È vitale riconoscere che dovremo accettare molti cambiamenti ma è altrettanto vitale riconoscere che i problemi sono globali e complessi.
Vuoi ricevere ogni mattina le notizie di FocusRisparmio? Iscriviti alla newsletter!
Registrati sul sito, entra nell’area riservata e richiedila selezionando la voce “Voglio ricevere la newsletter” nella sezione “I MIEI SERVIZI”.