Investimenti in calo rispetto al 2022 ma in decisa crescita sul medio periodo. Prevalgono le operazioni in syndication con i fondi di venture capital. Fattori ESG cruciali nelle scelte. La survey Iban
Nel 2023 i business angel italiani hanno investito in startup 678 milioni di euro. Una cifra in deciso calo rispetto al 2022 (-58%), ma quasi doppia se si guarda ai 376 milioni di euro registrati appena tre anni fa. A fare i conti è la survey annuale di Iban, l’associazione italiana di categoria, che evidenzia come gli investimenti in syndication con i fondi diventure capital rappresentino la quasi totalità delle operazioni per un totale di 639 milioni e 117 deal.
La survey, condotta con la supervisione scientifica dell’Università del Piemonte Orientale e della SDA Bocconi, sottolinea come il calo del 2023 non abbia smorzato la tendenza positiva sul medio periodo: dal 2020, ad esempio, l’incremento degli investimenti si è attestato all’80,3%. Le operazioni dello scorso anno sono state 192 e i dati sulle cifre medie rivelano che quasi un investimento su tre portato avanti in autonomia riguarda cifre superiori ai 500mila euro destinate alle startup target, mentre l’importo supera i 200mila euro in quasi la metà dei deal. La cifra complessiva che i business angel hanno investito in autonomia è di poco superiore ai 39 milioni di euro, distribuita su un numero di acquisti in leggero aumento rispetto al 2022 (75 invece di 72).
Paolo Anselmo, presidente Iban
Il 71% delle iniziative è comunque avvenuto in syndication, con una media di 11 business angel per deal rispetto ai nove del 2022, evidenziando un rafforzamento della tendenza che vede questi investitori unirsi in cordate per aumentare l’apporto finanziario complessivo e ridurre i costi individuali di transazione o i rischi di insuccesso. Rispetto allo scorso anno diminuisce invece la presenza di stranieri, che si attesta al 6% sul numero di deal (30% nel 2022).Nonostante l’anno difficile per l’economia europea, secondo il presidente di Iban Paolo Anselmo, i business angel italiani si confermano quindi un attore determinante per il settore dell’innovazione in Italia. E “i numeri del primo trimestre 2024 del venture capital italiano sembrano indurre a un moderato ottimismo per l’anno in corso”, commenta.
Il 96% non ridurrà la quota dedicata alle startup
Il report sottolinea poi che, in una fase di incertezza come quella attuale, uno dei rischi principali per le startup è di vedersi sfilare a poco a poco gli investitori che avevano supportato il progetto in una fase di maggiore espansione generale. Questo pensiero non sembra però sfiorare i business angel: il 96% non ha infatti alcuna intenzione di diminuire la propria quota di patrimonio dedicata a questi investimenti, rivelando così intenzioni di medio e lungo periodo. Le startup restano inoltre i target privilegiati rispetto agli investimenti seed, con i valori che tornano a distanziarsi dopo l’avvicinamento del 2022. Lo scorso anno, infatti, i business angel hanno privilegiato le società in questa fase (61%) rispetto a quelle in fase seed (39%), mostrando di preferire progetti imprenditoriali più maturi per diminuire il rischio di fallimento del singolo investimento e del portfolio. Il disinvestimento continua ad essere un fenomeno raro: solo il 6% del campione ne ha effettuato almeno uno e questo è avvenuto in media cinque anni dopo l’ingresso.
Di mezza età, istruiti e benestanti: i business angel italiani
I business angel censiti dalla survey Iban hanno una età media fra i 45 e i 65 anni (71%), con un livello di istruzione alto o molto alto. Sono affiliati a Iban, a uno dei Ban territoriali oppure a un Club d’investitori nel Nord Italia (54% del campione). Inoltre hanno un passato professionale principalmente in ruoli dirigenziali (36%) e un patrimonio a disposizione (escluso il valore della prima casa) tra 500mila e 2 milioni di euro, valore stabile nell’ultimo triennio. Oltre la metà investe meno del 10% dei propri soldi in operazioni di angel investing, per un portfolio di circa 6 investimenti.
Le donne sono oltre il 20%
Tante le donne. Per il secondo anno consecutivo, tra i business angel la percentuale femminile supera il 20%. Dopo un periodo di numeri fermi, il 2021 aveva segnato una ripresa verso l’alto, con il 2022 che da questo punto di vista è stato straordinario (27%). Il 2023 ha segnato una lieve diminuzione, al 22%: un numero comunque non banale se si considera che appena tre anni fa era esattamente la metà.
Il 60% applica criteri di valutazione ESG
Per i business angel, centrale resta l’aspetto delle sostenibilità. Oltre la metà del campione, il 60%, applica infatti criteri di valutazione ESG o di impact investing nel valutare le opportunità d’investimento. Inoltre il 23% approfondisce sempre il livello d’attenzione ed interesse del team di founder ai fattori ambientali, sociali e di governance e il 47% ha svolto in fase di due diligence approfondimenti in tal senso. A livello di importanza che questi temi hanno nella decisione finale, oltre la metà li definisce “cruciali”.
ICT preferito, segue l’healthcare
Il settore di maggiore interesse si conferma essere quello dell’ICT, anche se altri stanno conquistando spazio. Nel 2023 il 28% degli investimenti è stato rivolto all’ICT (digital consumer services 52%, enterprise technologies 48%) e il 16% all’healthcare, che l’anno prima si era fermato al 9%. Chiudono il podio i beni di consumo con l’8%.
Nel 2025 i gestori prevedono una crescita degli aum del 13,7%. Ma temono geopolitica e inflazione. Per il 79% l’intelligenza artificiale accelererà la crescita degli utili. La Wealth Industry Survey 2025 di Natixis IM
FIDA ha passato in rassegna i prodotti della categoria distribuiti in Italia per individuare quelli più performanti. Tanti gli approcci adottati, ma l’Europa resta l’area geografica preferita dai gestori per costruire i propri portafogli. E in classifica le case francesi la fanno da padrone
L’analisi FIDA fotografa un settore che si prepara al decollo tra norme favorevoli e progetti pubblici. Tra i trend ricorrenti, la concentrazione sui mercati occidentali e un ruolo crescente della sostenibilità. Ecco la classifica dei migliori prodotti
Dopo anni di rendimenti deludenti, le azioni EM tornano sotto i riflettori. Ma il fenomeno della concentrazione sta trasformando la leadership dei confini e dei Paesi all'interno dell'universo investibile. In due studi di Morningstar opportunità e sfide per i gestori
FIDA ha esaminato i prodotti tematici venduti in Italia per stilare una classifica dei più performanti e capire dove si celano le opportunità. In top ten largo alla visione globale, con le mega perno dei portafogli. Ma occhi anche agli investimenti regionali. E alle strategie meno convenzionali
Uno studio Schroders mostra che la tesi del ‘gioco a somma zero’ è stata fraintesa. E che l’aumento degli investimenti non allocati in base ai pesi del mercato favorirà sempre di più la gestione attiva
L'analisi di FocusRisparmio e Fida evidenzia l'8% di rendimento in America Latina ma con rischi geopolitici. Dall’Asia-Pacifico ritorni ancora più solidi. Attenzione però all’incognita Trump. Tante sfide all’orizzonte per il Giappone
Secondo il report di Peregrine e BCG, gli alternativi non saranno più un’esclusiva dei player istituzionali. Entro il 2030, attesa una crescita del segmento al dettaglio dal 3% al 12% del mercato. E fare da traino sarà soprattutto la tecnologica. Ma liquidità e competenze restano nodi da sciogliere
Fida ha passato in rassegna i prodotti che investono nel reddito fisso statunitense. Tra i comparti spiccano high yield e MBS che hanno trascinato i rendimenti di fondi e ETF. Ecco i migliori a un anno e nel triennio
Fida ha passato in rassegna i prodotti che investono nel reddito fisso del Vecchio Continente, asset class ad una svolta epocale tra dinamiche dell’inflazione e politiche monetarie. La classifica degli strumenti più performanti su base annuale e triennale
Iscriviti per ricevere gratis il magazine FocusRisparmio