Le sfide dell’asset management e come superarle nell’intervista a Matthew Beesley, chief executive officer della casa di gestione
Matthew Beesley, chief executive officer di Jipiter AM
I risultati dell’ultima ricerca di Pwc sulle prospettive dell’asset e wealth management globale, diffusi a inizio luglio, hanno fatto saltare più di qualche manager dalla sedia. Non tanto per il tema trattato, ovvero il consolidamento in corso nel settore, dinamica ormai più che nota, ma per suoi tempi di dispiegamento. Quattro anni e il 16% delle case di gestione che popolano oggi il panorama mondiale non esisterà più, almeno nella forma che conosciamo oggi: questa la sentenza. Un player su sei dovrà far i conti con la combinazione di fattori di business, principalmente la pressione sui margini, e mutate condizioni macroeconomiche da cui derivano tassi più alti e volatilità a livelli a cui ormai i mercati non erano più abituati.
Un momento della verità per l’industria che ogni chief executive officer è chiamato ad affrontare. Tanto più se, come Matthew Beesley, è alla guida di una società in ripresa dopo alcuni anni di risultati altalenanti. Beesley è stato nominato al timone di Jupiter Asset Management a ottobre del 2022 dopo le dimissioni di Andrew Formica, in carica dal 2019, e a poco meno di un anno dal suo insediamento ha potuto mostrare, nonostante un contesto macro incerto, risultati finanziari in crescita nella prima semestrale dell’anno: 51,4 miliardi di sterline il valore delle masse gestite, in aumento del 2% rispetto a dicembre 2022.
I numeri sono confortanti, soprattutto se raffrontati ad un momento in cui il settore affronta molte sfide di diversa natura, non ultima quella dei mercati. Che ripercussioni ha determinato l’attuale contesto di alta inflazione e conseguente rialzo dei tassi dal punto di vista dell’asset management?
Sono molte, ma fra tutte citerei l’improvvisa comparsa di un nuovo grande concorrente: il risparmio amministrato. Anche se, guardando al di là apparenze, si scorge molto di più. In realtà, per la prima volta da oltre dieci anni, ci troviamo in una situazione che da un punto di vista di investimento è molto favorevole agli asset manager attivi. Dopo il dominio del beta di mercato causato dalle banche centrali, la dispersione dei rendimenti è tornata e la volatilità è cresciuta su tutte le classi di attivo. Nel mondo del quantitative easing i rialzi del valore delle asset class erano fondamentalmente generalizzati, nel mondo del quantitative tighteningla scelta attiva dell’investimento diventa fondamentale per non essere travolti da un trend generalmente discendente.
L’allocazione del capitale deve puntare, quindi, a essere sempre più precisa ed accurata. Non solo per le condizioni di mercato ma per la volontà degli investitori di andare oltre i numeri e capire come i rendimenti a cui puntano siano effettivamente raggiunti. Active stewardship non è solo un concetto ma una specifica richiesta dei clienti.
Abbiamo visto alcuni fattori che potranno favorire gli asset manager attivi nel prossimo futuro. Basteranno per vincere la pressione provenienti da più parti?
Nessuno ovviamente può conoscere con precisione il futuro di un’industria, ma quello di cui sono profondamente convinto è che ci sarà sempre un posto rilevante per la gestione attiva. Questo perché i mercati sono strutturalmente inefficienti, sebbene lo siano in modo anche molto diverso nelle diverse epoche. Per chi riesce ad avere un approccio altamente differenziante e una gestione realmente attiva, ci sarà sempre spazio.
Da che cosa dipenderà la quantità di questo spazio?
L’efficienza è un punto fondamentale, così come la chiara manifestazione di eccellenza e unicità in tutte le strategie che si propongono ai clienti. A seguito dell’acquisizione di Merian Global Investors nel 2020, ci siamo trovati con sovrapposizioni di funzioni e prodotti che non erano sostenibili. In questo caso, è necessario agire in modo chiaro e risoluto. Abbiamo chiuso nel 2022 il 25% dei nostri fondi perdendo solo lo 0,3% delle masse, con una razionalizzazione che ha portato a significativi miglioramenti sia in termini di profittabilità che di chiarezza della value proposition indirizzata ai clienti.
La dimensione è certamente uno dei fattori da considerare. Per questo l’acquisizione di Merian è stata importante, oltre all’arrivo di alcune competenze aggiuntive che ci hanno reso un asset manager più completo. La size non deve però diventare un’ossessione, perché la possibilità di essere scalati esiste sia per una società con 50 miliardi di asset in gestione sia per una che ne abbia 500. Inoltre, qualsiasi operazione deve essere guidata dal miglioramento dell’offerta alla clientela. Per quanto ci riguarda, pensiamo di avere la maggior parte delle linee prodotto e delle expertise di cui abbiamo bisogno, anche se non ancora tutte.
Come pensate di procedere al completamento che avete in mente. Quali sono i vostri target da un punto di vista di asset class?
Innanzitutto, da un punto di vista di crescita interna, allargheremo la nostra offerta già nei prossimi mesi con una gamma di cinque fondi tematici che sarà gestita dal nostro systematic team. Guardando avanti, i mercati privati sono certamente un ambito su cui dovrà essere presa una decisione nel prossimo futuro. Per una società che ha sempre trattato in modo esclusivo i mercati pubblici come Jupiter, non è semplice creare un’expertise totalmente nuova e la via principale per farlo, se questa sarà la decisione, punta ovviamente ad un’acquisizione.
Guardando invece al panorama della clientela, dove vedete le migliori opportunità di crescita?
Il canale su cui siamo maggiormente in crescita è quello della clientela istituzionale, nel quale abbiamo iniziato a investire in modo deciso negli ultimi cinque anni creando l’infrastruttura necessaria a seguire in modo completo le esigenze di questa tipologia di clientela. Il momentum che abbiamo guadagnato da un punto di vista di crescita delle masse è molto positivo e stiamo andando velocemente verso l’obiettivo del 20% del patrimonio gestito proveniente da questo canale. Siamo focalizzati anche su alcuni mercati specifici e l’Italia è uno di questi. Qui stiamo espandendo in particolare il canale dell’advisory, grazie ad alcune importanti partnership di distribuzione siglate quest’anno. Uno sforzo che dimostra come stiamo andando nella giusta direzione e quanto la nostra offerta sia sempre più apprezzata e in linea con le esigenze del mercato.
Detto ciò, come atteggiamento complessivo nei confronti della tipologia di investitori, siamo agnostici. Anche perché la crescita dimensionale resta uno degli obiettivi fondamentali.
Quali sono gli altri?
Un altro obiettivo irrinunciabile è la piena efficienza operativa. Stiamo lavorando per azzerare tutte le complessità che non sono funzionali alla restituzione di valore nei confronti dei clienti. Accessibilità ed execution risultano fondamentali in contesto di grande cambiamento, anche regolamentare, come quello attuale.
Guardiamo inoltre all’allargamento della base di clientela come mezzo per avere maggiore stabilità nel nostro business e capacità di investimento. Infine, pensiamo ogni giorno a come rinforzare la relazione con i nostri stakeholder e, per farlo, pensiamo sia fondamentale avere una grande attenzione al capitale umano e alla cultura aziendale che questo è chiamato a trasferire.
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