Governance, investitori in pressing su clima e diritti
I gestori fanno fronte comune: nasce la Net Zero Asset Managers Initiative. Cosa c’è dietro le richieste del mercato agli emittenti
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Se il 2020 è stato un anno eccezionale per la lotta al cambiamento climatico, con governi, aziende, opinione pubblica e mercati finanziari sempre più inclini a riconoscere l’urgenza della sfida ambientale, il 2021 rischia di essere un anno nero dal punto di vista dei numeri. L’allarme arriva dal direttore dell’Agenzia internazionale dell’energia, Fatih Birol, secondo cui le emissioni di anidride carbonica registreranno un aumento record, il secondo più alto della storia dopo quello di 10 anni fa seguito alla crisi finanziaria, soprattutto perché i governi di tutto il mondo stanno riversando stimoli nei combustibili fossili per finanziare la ripresa post-Covid.
Un passo indietro pesante sulla via della decarbonizzazione, insomma, che però non cancella la svolta che vede in prima linea il gigante cinese, il maggior produttore mondiale di CO2 con quasi il 30% delle emissioni globali (contro il 15% Usa e il 9% Ue), che nel giro di quarant’anni punta a completare la transizione. Un obiettivo ambizioso che renderà necessari investimenti colossali, soprattutto in settori come le rinnovabili, l’elettrificazione dei trasporti e la produzione di energia nucleare, e che inevitabilmente offre moltissime occasioni per gli investitori.
Secondo Jie Lu, head of investments China di Robeco, la svolta green di Pechino richiederà sforzi combinati in tre direzioni: un cambiamento nel mix del Pil, con un allontanamento dalle industrie ad alta intensità di carbonio come manifatturiero ed edilizia verso attività a minore intensità come i servizi; un cambiamento nel mix energetico, che abbandoni carbone e petrolio in favore delle rinnovabili, e piani di compensazione del carbonio.
Dati i cambiamenti necessari nella maggior parte dei settori per raggiungere la neutralità dal carbonio, la questione chiave per gli investitori è identificare i maggiori rischi a cui potrebbero essere esposti e trovare le opportunità più interessanti. “Indubbiamente, le aziende più esposte sono i produttori di combustibili fossili e, in particolare, le major del petrolio – spiega Jie Lu -. Il loro core business è fondamentalmente in contrasto con la decarbonizzazione. Ma anche molti altri settori sono destinati a soffrire per una transizione mal gestita, tra cui il petrolchimico, l’acciaio e il cemento. Al contrario, le aziende in grado di sostenere la transizione beneficeranno del trend della decarbonizzazione. In alcuni casi, il probabile impatto della decarbonizzazione è già ben noto, ma in altri, le conseguenze rimangono difficili da cogliere appieno”.
Per ora l’esperto vede opportunità in tre aree principali. Le energie rinnovabili dovrebbero continuare a mantenere la quota maggiore degli investimenti, ma anche i veicoli elettrici dovrebbero essere tra i grandi vincitori. Inoltre, gli ammodernamenti nelle reti elettriche e nelle tecnologie di immagazzinamento dell’energia, così come l’industria dell’idrogeno, probabilmente cattureranno una parte significativa degli investimenti totali.
“Infine – aggiunge Jie Lu -, se le rinnovabili ricopriranno il ruolo più critico nella transizione verso la neutralità dal carbonio, saranno anche necessarie ulteriori tecnologie di stoccaggio per affrontare i problemi di variabilità infragiornaliera e stagionale inerenti all’energia eolica e solare, e per decarbonizzare tutti i settori dell’economia. Da questo punto di vista, due tecnologie complementari, le batterie e l’idrogeno, giocheranno probabilmente un ruolo chiave data la loro capacità di convertire l’elettricità in energia chimica e viceversa. La Cina è già il leader mondiale nella produzione di batterie, rappresentando circa il 70% della capacità globale.Nonostante il vuoto d’aria sperimentato all’inizio del 2020, la produzione si è ripresa piuttosto rapidamente. Nel frattempo, anche gli sviluppi dell’idrogeno sono destinati ad accelerare nei prossimi decenni. La China Hydrogen Alliance stima che l’idrogeno potrebbe rappresentare fino al 10% del mix energetico totale della Cina nel 2050, rispetto a meno dell’1% di oggi”.
Sulla stessa lunghezza d’onda Simon Webber, gestore del fondo Schroder ISF Global Climate Change Equity di Schroders, che però mette in guardia gli investitori sulle valutazioni elevate delle aziende coinvolte dalla svolta green, che rappresentano un vento contrario per i futuri rendimenti. “A questo si aggiunge la più ampia consapevolezza della transizione e delle relative opportunità che porterà inevitabilmente a una maggiore competizione: entrano nel mercato player nuovi e, da settori paralleli, aziende già esistenti che riorientano la loro strategia”, avverte.
Per Webber un settore in cui il contesto resta ragionevole a livello di competitività, è quello delle attrezzature eoliche. “Il settore delle turbine eoliche ha visto un grande ridimensionamento nell’ultimo decennio e le quote di mercato si sono consolidate in modo naturale attorno alle aziende più forti – osserva -. Inoltre, non ci sono stati nuovi ingressi di rilievo negli ultimi anni, e i player chiave hanno proposizioni diverse. Di conseguenza riteniamo che il settore eolico abbia buone chance di raggiungere livelli di crescita profittevoli con rendimenti solidi”.
Per allineare i portafogli d’investimento con l’obiettivo delle emissioni nette zero globali entro il 2050, Jean-Marie Dumas, head of fixed income solutions di Amundi, consiglia i temperature scores, che calcolano la temperatura di una società, confrontando la traiettoria delle sue emissioni future con la traiettoria del suo settore, così come stimato dall’Aie in linea con un mondo dove il rialzo della temperatura non superi 1,5° C. Finora questi punteggi, un’importante novità in ambito Esg, sono stati adottati solo da un numero ristretto di investitori.
Stando allo studio di Dumas, sono pochissime le società che fanno parte degli indici mondiali ad avere un temperature score inferiore ai 2°C. La distribuzione dei temperature scores varia poi a seconda delle aree geografiche e anche l’analisi settoriale, come sottolinea l’esperto, mostra profonde discrepanze in materia di temperatura tra i diversi settori.
Ma per l’esperto Amundi, analizzare la distribuzione dei temperature scores all’interno degli universi d’investimento invece del punteggio di un portafoglio aggregato potrebbe essere un modo efficiente per gli investitori di utilizzare questi parametri. “In definitiva – chiarisce -, questa tecnica faciliterà l’engagement attivo, consentendo ai gestori di portafoglio di identificare e selezionare quelle società che sono allineate a una traiettoria di 2°C e che, come tali, sono in grado di gestire la transizione energetica e di beneficiarne in termini di valore”.
Inoltre i temperature scores sono stati sviluppati solo di recente e i data provider stanno rivalutando le loro metodologie per rafforzare la rilevanza e l’applicabilità di questi punteggi. “Invece di essere usati da soli, i temperature scores dovrebbero utilizzati insieme a una serie più ampia di criteri utili a stabilire l’allineamento di una società con gli obiettivi climatici. Per quanto riguarda gli asset manager, è fondamentale che vengano utilizzate risorse sufficienti per valutare interamente questa metodologia e la sua applicazione a 360° gradi”, conclude Dumas.
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