Per lo strategist stanno emergendo segnali di tensione sui mercati monetari, “come segnalato dal rialzo dei tassi Libor, frutto di una crisi di liquidità per le aziende Usa”
Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte Sim
La recessione economica globale di quest’anno sarà peggio di quella sperimentata da tutti nel 2008. Questa è la previsione comune che va diffondendosi sempre più fra la comunità di economisti, banchieri e professionisti degli investimenti.
Se nell’anno che seguì il crash di Lehman Brothers la genesi del tracollo fu però di matrice finanziaria – scoppiò della bolla sub-prime a crisi delle grandi banche di Wall Street -, oggi invece il crollo verticale che vediamo nei grafici di Borsa deriva da un fattore fondamentale legato all’economia reale, ossia lo stop alle attività economiche imposto dall’espandersi dell’epidemia di coronavirus.
La risposta dei Paesi compromessi dal virus fino ad ora è stata esemplare dal punto di vista sanitario – ancorché si fa fatica a contenere la curva dei contagi e dei decessi. Ora la sfida maggiore che attende i governi è quella di creare un fronte d’azione comune a livello globale per impedire che il propagarsi della pandemia abbia risvolti negativi epocali sull’economia globale.
Con Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte Sim, abbiamo provato a fare il punto sulle risposte che da più parti stanno arrivando; dalla Federal Reserve al Congresso degli Stati Uniti fino alla Banca centrale europea. Ecco la parola dell’esperto sugli effetti delle misure prese fino ad ora sui mercati monetari e finanziari.
Le politiche monetarie Fed e la risposta del Congresso sono adeguate, a suo modo di vedere, a fronteggiare l’emergenza Covid-19 negli Usa?
La reazione della Fed e Congresso Usa è stata piuttosto celere. La Fed, in particolare, si è mossa seguendo il solco tracciato nella crisi del 2008, riattivando di fatto tutte le manovre adottate dodici anni fa ed aggiungendone molte altre. A tal proposito, basta citare la conversione del quantitative easing in un piano temporalmente e quantitativamente illimitato, ricomprendendo tra gli investibili anche i titoli emessi dalle aziende investment grade. Inoltre, la Fed si è spinta anche a supportare piani di finanziamento alle aziende attraverso un meccanismo finanziario che le consente di fatto di beneficiare della garanzia statale. Da un punto di vista quantitativo la Fed ha messo in campo risorse ben superiori ai 1750 miliardi di dollari del marzo 2009. Il Congresso si è mosso rapidamente per arrivare all’approvazione di un piano di 2000 miliardi, che prevede, tra le altre cose, 500 miliardi destinati ad aiuti alle aziende. Malgrado tali manovre, al momento emergono ancora segnali di tensione sui mercati monetari, come segnalato dal continuo rialzo dei tassi Libor Usd, frutto probabilmente di una crisi di liquidità per le aziende Usa che sta progressivamente prendendo piede costringendole a fare cospicuo ricorso alle linee di credito bancarie revolving. Il secondo trimestre, e in particolare il mese di aprile, si preannunciano piuttosto duri per il progressivo crescendo dell’impatto del virus. Di conseguenza, è verosimile ipotizzare che sia la Fed sia il Congresso dovranno rivedere ampiamente al rialzo le manovre poste in essere nel corso del mese di aprile.
I mercati monetari e obbligazionari hanno sufficienti anticorpi per resistere alle tensioni di liquidità che si verificano in questi mesi?
Le indicazioni che arrivano dal mercato monetario segnalano ancora tensioni in corso, che diventano più preoccupanti se si considera il fatto che si stanno verificando malgrado le forti iniezioni di liquidità da tutte le banche centrali, Fed in primis. Basti pensare, ad esempio, il fatto che i tassi Libor Usd sono in risalita da diversi giorni, malgrado la Fed abbia portato il tasso di riferimento prossimo allo 0%. Si tratta di possibili indizi di forte crisi di liquidità soprattutto da parte delle aziende Usa, come testimoniato dai circa 125 miliardi di dollari di tiraggio delle linee di credito da parte di diverse aziende nel mondo, in base ai calcoli effettuati dal Financial Times. Nel mese di aprile le banche centrali probabilmente saranno chiamate ad affinare le modalità di iniezioni della liquidità per cercare di fare in modo che arrivi in modo quanto più rapido ed efficace possibile alle aziende, potenzialmente scavalcando anche il sistema bancario (soprattutto negli Usa) per accelerare i tempi.
Qualche Paese sembra ancora restio all’emissione di eurobond o coronabond per fronteggiare l’emergenza. Come se lo spiega?
L’ipotesi coronabond trova un suo ragionevole fondamento nella genesi della crisi in atto, indotta cioè da un fattore assolutamente esogeno come il virus, che sta toccando in modo progressivamente uniforme tutti i paesi dell’area. Tecnicamente sarebbe possibile architettarlo con una garanzia ad esempio del meccanismo Esm, emulando lo schema del veicolo speciale (Spv) utilizzato, ad esempio, dalla Fed per disegnare diverse delle misure di supporto all’economia con la garanzia dello stato. L’ultima riunione del Consiglio Europeo si è conclusa con un duro confronto con la Germania e si è arrivati al compromesso di tentare una soluzione intorno a metà aprile, delegando le principali istituzioni Ue a formulare proposte. Sul fronte Bce il bazooka è stato continuamente amplificato, fino all’ultima modifica rappresentata dall’eliminazione dei limiti previsti per acquisti di bond di un singolo emittente, a fronte di un cap precedente del 33% nel caso di titoli governativi. Anche la Bce verosimilmente si troverà di fronte alla necessità di amplificare il bazooka ad aprile, se è corretta l’ipotesi di una possibile forte crisi di liquidità in vista, in corrispondenza della fase di lockdown Usa.
Una volta passata, la crisi da coronavirus porterà nuovi equilibri geopolitici globali?
L’impatto del virus potrebbe cambiare gli equilibri geopolitici, in base ai tempi di recupero di ciascun paese. Sotto tale punto di vista la Cina appare ben attrezzata, essendo stata la prima ad affrontare l’impatto del virus e adottando misure molto drastiche che stanno diventando un esempio per gli altri paesi dove gradualmente si sta diffondendo il virus. Dalla Cina sta emergendo l’indicazione di un recupero graduale dell’attività. La Cina potrebbe amplificare la sua sfera di influenza in Asia e in altre aree, attraverso anche forme di collaborazione offerte per affrontare la dura fase imposta dal virus. Gli Usa appaiono invece essere agli inizi della diffusione del virus con l’attesa di una marcata penalizzazione della crescita nel secondo trimestre che James Bullard, presidente della Fed di Saint Louis, è arrivato a stimare in un calo annualizzato del 50%. Il tutto si intreccia con la gestione della campagna delle presidenziali di novembre che potrebbero cambiare l’orientamento degli Usa in diversi ambiti.
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