Il governo cinese prevede un rallentamento, con il Pil al +5,5% per il 2022, comunque maggiore rispetto alle previsioni degli analisti. La Cina arranca ma la frenata della crescita era messa in conto dai gestori
In Cina, lo scorso 4 marzo sono cominciati i lavori delle due sessioni 2022 dell’Assemblea nazionale del popolo, ovvero il Parlamento cinese e della Conferenza politico-consultiva del popolo cinese. I lavori si sono chiusi lo scorso 13 marzo con una conferenza stampa del premier Li Keqiang, che nell’occasione ha presentato il Rapporto sull’attività del Governo, comunicando l’obiettivo di crescita per il 2022.
“Contrariamente alle aspettative di molti, Li ha indicato il valore di circa 5,5% che rappresenta il target più basso di sempre” scrive Filippo Fasulo, co-direttore dell’Osservatorio Geoeconomia di ISPI. E spiega: “se rispettato, porterebbe la Cina alla crescita più lenta da decenni, ma allo stesso tempo superiore alle stime fatte per il 2022 dagli analisti. Il Fondo Monetario Internazionale, infatti, ha previsto una crescita dal 4,8%”.
“Non si può più guardare alla Cina come un mercato emergente e sicuramente va considerato come parte fissa del proprio portafogli, così come succede per Europa e America” spiega Lorenzo Alfieri, country head Italia di J.P. Morgan durante la seconda puntata del talk show dal titolo “Portafogli di frontiera, quadri geo-economici in movimento”. E continua: “I trend sono interessanti e prevediamo che nei prossimi dieci anni la Cina crescerà tra il 4 e il 5% all’anno. Robotica e microchip saranno solo alcuni dei settori che si faranno spazio”.
Yifei Ding, senior portfolio manager di Invesco Asia Asset Allocation Fund
La Cina arranca ma procede e il rallentamento della crescita era messo in conto dai gestori. “Era già ampiamente previsto” afferma infatti Yifei Ding, senior portfolio manager di Invesco Asia Asset Allocation Fund. Nell’ottica di un’ulteriore crescita, benché rallentata, i driver del futuro saranno quelli del commercio e dei servizi. “Nell’ultimo decennio, i politici cinesi hanno spinto per passare dagli investimenti e dalla crescita guidata dall’industria a una maggiore dipendenza dal commercio e dai servizi” spiega Ding. “Sotto il nuovo quadro economico della Strategia della doppia circolazione, la Cina cerca di rafforzare il commercio interno, la produzione e le capacità tecnologiche (‘circolazione interna’) per proteggersi dalle interruzioni del mercato globale. Il Paese cerca anche di rafforzare i legami economici con i suoi partner esterni (‘circolazione esterna’), soprattutto quelli nella regione della Belt and Road”.
Il settore dei servizi in effetti ha acquisito la grandezza necessaria per fare da volano di crescita, raggiungendo “il 54% del PIL cinese”. “Ci aspettiamo che l’industria dei servizi giochi un ruolo sempre più prominente” continua Ding, “questa è una conseguenza inevitabile dello spostamento verso l’alto della catena del valore”.
Jing Ning, gestore del FF China Focus Fund di Fidelity International
“Entrambi i settori della ‘Nuova’ e della ‘Vecchia Cina’ offrono opportunità interessanti che spingono gli investitori verso nomi di qualità e value” spiega poi Jing Ning, gestore del FF China Focus Fund di Fidelity International. “Anche se c’è ancora un rischio di ribasso sul consenso circa le aspettative sugli utili, è molto probabile che la Cina superi i mercati emergenti nel 2022”.
A questo si aggiunge una panoramica asincrona rispetto ai mercati sviluppati che devono difendersi su un doppio fronte: inflazionistico e geopolitico. Se le banche occidentali, in fase pandemica, hanno optato per una politica monetaria più accomodante, l’istituto bancario centrale cinese ha scelto la via della prudenza.
“Questo dà ai politici cinesi” spiega Ding di Invesco, “una maggiore flessibilità ora, quando la crescita economica del Paese ha iniziato a rallentare”. E conclude: “Crediamo che questo potrebbe essere considerato un vantaggio in caso di nuovi shock, dato il maggiore spazio per allentare la condizione finanziaria in Cina”.
Cina come Giano bifronte
Nelle previsioni della classe dirigente cinese figura anche l’obiettivo di diventare leader nell’ambito sostenibile. Ma la Cina vive una contraddizione: è il Paese che ha investito di più in sostenibilità, ma che figura ancora tra quelli più inquinanti.
Ping Guan, head of the China Equity Team and lead portfolio manager of Goldman Sachs Asset Management
Per guardare allora al colosso asiatico in prospettiva futura è necessario notare che “le mosse del governo cinese sembrerebbero indicare una maggiore tolleranza verso una crescita più moderata” afferma Shao-Ping Guan, head of the China Equity Team and lead portfolio manager of Goldman Sachs Asset Management. “In questo contesto, occorre innanzitutto sottolineare la dedizione del Paese nel migliorare la qualità del proprio sviluppo economico” sottolinea il gestore.
E continua: “ci aspettiamo che nel 2022 i policymaker cinesi, da un lato, si focalizzino sulla stabilità della crescita secondo il concetto di prosperità comune, progettando un soft landing nel settore immobiliare e adottando una politica monetaria più espansiva al fine di mitigare le preoccupazioni sulla crescita dell’economia, e, dall’altro, continuino a focalizzarsi sul promuovere sostenibilità e innovazione nel lungo periodo, specialmente in aree come l’energia pulita e i veicoli a nuova energia, IT software e hardware e sanità”.
Lo stesso Xi Jin Ping, come ricorda Fasulo di ISPI, “è intervenuto affermando proprio che gli obiettivi di riduzione delle emissioni non devono essere raggiunti a spese della sicurezza energetica e alimentare, delle supply chains, e della normalità nella vita e nel lavoro delle persone”. Raccomandazione che prende in considerazione anche le difficoltà del settore che si stanno presentando con l’invasione russa.
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