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Altro che Covid: nel quarto trimestre crescita del 6,5%. E l’anno si chiude con il Pil a +2,3%. Notz Stucki: sorpasso sugli Usa nel 2028. Schroders: puntare sul fixed income
Nonostante i nuovi focolai, dal punto di vista economico per Pechino il Covid-19 è poco più di un brutto ricordo. Il Pil del quarto trimestre 2020 ha infatti battuto ogni stima mettendo a segno un balzo del 6,5% annuo, a fronte del 6,1% atteso dagli analisti e del 4,9% registrato dei tre mesi precedenti, e un progresso su base congiunturale del 2,6% (2,7% nel terzo trimestre e 3,2% le stime).
Il dato per l’intero 2020 certifica così il pieno recupero dalla pandemia, con un Pil quantificato dall’Ufficio nazionale di statistica in crescita del 2,3%, contro il 2,1% atteso in media alla vigilia, che pur rappresentando il passo più lento in oltre quarant’anni, fa comunque di Pechino l’unica grande economia mondiale a crescere nell’anno del Covid ( -6,8% nel primo trimestre, +3,2% nel secondo e +4,9% nel terzo). Non solo: con il balzo del quarto trimestre la Cina vede per la prima volta il suo Pil annuale superare i 100.000 miliardi di yuan. Secondo i dati, infatti, il Prodotto interno lordo si è attestato lo scorso anno a 101.598,6 miliardi, pari a circa 15.420 miliardi di dollari.
“A margine del 2020, la Cina ricoprirà una fetta del Pil mondiale pari al 14,5% circa, anziché 13,9% – osserva Giacomo Calef, country manager di Notz Stucki -. Inoltre, secondo le proiezioni, nel 2024 la fetta potrebbe salire già quasi al 16%, rispetto ad un 15% stimato prima della pandemia, col risultato che la Cina potrebbe sorpassare l’economia statunitense nel 2028, ovvero con un anticipo di due anni rispetto alle stime pre-Covid. E non ci dimentichiamo che nel corrente 2021 la crescita economica potrebbe spingersi addirittura fino all’8%, con sostegni importanti che provengono dai consumi, dagli investimenti in costante crescita e da un incremento delle esportazioni”.
Per l’esperto, dunque, si tratta di un’area interessante a cui dedicare una piccola porzione del proprio portafoglio, anche se ci sono due aspetti da considerare, uno positivo ed uno negativo. “Per quanto riguarda il primo, segnaliamo come essa offra delle opportunità attraenti anche nei migliori trend di investimento che riguarderanno i prossimi decenni ed uno su tutti riguarda le Clean Energy. Infatti, non solo Usa ed Europa hanno definito degli obiettivi ambiziosi riguardo alla riduzione delle emissioni di carbonio, ma anche il ‘Dragone’: il Presidente XiJinping ha definito una deadline per raggiungere la Carbon Neutrality, ovvero il 2060. In particolare, ci si attende uno sviluppo sostenuto dell’energia solare, che, entro quella data, potrebbe registrare un incremento della capacità fotovoltaica tra le 50 e le 100 volte superiore rispetto a quella attuale”.
Il secondo aspetto, invece, riguarda un punto d’attenzione. “Si ricordi – avverte Calef – che la guerra commerciale con gli Usa ad oggi non è finita ed anche con Biden i rapporti potrebbero continuare a deteriorarsi. Pertanto, per investire in quest’area riteniamo sia opportuno affidarsi a gestori locali che applichino strategie long/short, sfruttando la loro expertise per raggiungere il duplice obiettivo di selezionare le opportunità più redditizie nel lungo termine e di limitare i rischi derivanti dalla trade war”.
Secondo Schroders, ad essere particolarmente attraente per gli investitori è il reddito fisso cinese. Per sei buone ragioni, come spiega David Cheng, investment director fixed income. Innanzitutto le valutazioni attraenti dei bond onshore, i cui rendimenti assoluti si trovano sui massimi storici rispetto agli altri bond sovrani dei mercati sviluppati. Il secondo motivo sono i fondamentali solidi del Paese, seguiti dalla composizione ‘anti-Covid’ del mercato del credito, vista l’esposizione limitata a settori come oil&gas e hospitality e la maggiore esposizione alle imprese pubbliche supportate dal governo. Quarta ragione è il fatto che gran parte dei bond cinesi sono detenuti a livello domestico e sono quindi meno vulnerabili dalla volatilità dei flussi globali e dalle pressioni dei finanziamenti esterni.
Giocano infine a favore anche il momentum positivo per il renminbi, con il dollaro destinato a indebolirsi ancora, e il fatto che questi mercati obbligazionari sono diversificati e poco correlati ad azioni e bond globali, complice anche la trade war. “Ci aspettiamo – conclude Cheng – che il favorevole profilo di rischio/rendimento, le valutazioni attraenti e i benefici di diversificazione permarranno per i mercati obbligazionari cinesi. È difficile ignorare questo mercato molto ampio, soprattutto in un contesto di tassi inferiori e volatilità più elevata”.
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