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Secondo gli analisti la crescita cinese rallenterà al 4,5%. Goldman Sachs: Pechino varerà decise misure di stimolo. Mirabaud: Trump 2.0 potrebbe rivelarsi meglio di Biden per il Dragone
Mentre si attende da Pechino il responso ufficiale sulla crescita messa a segno dalla Cina nel 2024, per gli investitori il vero interrogativo riguarda il futuro. I dazi annunciati dal presidente USA, Donald Trump, rappresentano infatti una seria minaccia per l’economia del Paese asiatico, tanto che a dicembre l’export ha messo a segno un deciso balzo, portando l’avanzo commerciale a sfiorare i 1.000 miliardi nell’anno, in aumento del 21% sul 2023. Le aziende hanno infatti anticipato le spedizioni per riempire i magazzini e sono aumentate anche le esportazioni verso il Sudest asiatico, dove sono cresciute le operazioni di assemblaggio di parti cinesi di beni destinati agli States. L’opinione maggioritaria tra gli analisti è che quest’anno il PIL cinese potrebbe fermarsi al 4,5% a causa delle politiche a stelle e strisce, anche se non manca chi ipotizza invece un effetto benefico per il Dragone dovuto proprio alla nuova amministrazione americana.
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PIL cinese in rallentamento al 4,5% nel 2025
Secondo un sondaggio condotto da Reuters tra 64 economisti, grazie alle misure di stimolo e alle forti esportazioni, nel 2024 il PIL di Pechino dovrebbe attestarsi al 4,9%, raggiungendo sostanzialmente l’obiettivo annuale del 5% fissato dal governo. Per il 2025 ci si attende però un rallentamento al 4,5%, che proseguirà nel 2026 quando la crescita potrebbe fermarsi al 4,2%. In questo scenario, gli intervistati vedono i banchieri centrali pronti a varare nuovi stimoli per attenuare l’impatto dell’incombente aumento dei dazi statunitensi.
Pechino pronta a nuove misure di stimolo
Sulla stessa linea Goldman Sachs, che infatti prevede per l’anno appena iniziato una crescita al 4,5%, in calo rispetto al 5% circa che ipotizza per i dodici mesi appena terminati. Anche gli analisti della banca USA sono convinti che Xi Jinping utilizzerà un’ampia gamma di misure di stimolo per compensare gli effetti delle tariffe USA e quelli della persistente crisi immobiliare. In particolare, l’attesa è che il governo cinese implementi un ulteriore allentamento monetario e fiscale, oltre a fornire un sostegno per il mercato interno. “Pensiamo che ci sarà un impatto dai dazi, anche se ritengo che una parte significativa di ciò sarà annullata o ammortizzata da stimoli politici”, ha sottolineato il capo economista Jan Hatzius in un’intervista a Bloomberg. Per l’esperto le tariffe sulle spedizioni cinesi, così come sulle importazioni di auto dall’Europa, “avranno un impatto” anche sull’inflazione e la crescita degli Stati Uniti, ma questo non sarà “enorme”.
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Trump ha minacciato di imporre dazi al 60% sull’import di tutti i beni made in China, con pesanti ripercussioni sull’intero commercio globale. Goldman Sachs, in precedenza, aveva previsto tariffe al 20% come caso di base e, anche se il modo in cui il tycoon potrebbe applicare le imposte rimane ancora incerto, è probabile che alla fine possa prevalere un approccio graduale e mirato per rafforzare la leva negoziale ed evitare una fiammata dei prezzi a stelle e strisce.
Per la Cina Trump potrebbe rivelarsi meglio di Biden
Di parere diverso Charles Walsh, emerging markets equities portfolio manager di Mirabaud Asset Management, secondo cui sia gli Stati Uniti sia la Cina sono destinati a ricevere una spinta nel 2025. I primi grazie al sostegno fiscale e ai tagli alle tasse, la seconda grazie agli stimoli da parte delle autorità. “Trump è transazionale, concentrato sulla bilancia commerciale e su un accordo migliore per i lavoratori statunitensi. Ironia della sorte, il suo ritorno alla Casa Bianca potrebbe annunciare un approccio più razionale al commercio e un migliore rapporto di collaborazione tra i due Paesi”, afferma.
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Il ragionamento di Walsh è semplice: da un lato la nuova amministrazione USA mira a riportare i posti di lavoro all’interno dei confini, dall’altro molte aziende cinesi attualmente escluse dal mercato a stelle e strisce (si pensi a BYD, che è soggetta a dazi del 100% sui suoi veicoli elettrici) sono pronte a costruire fabbriche negli States e ad avere accesso ai consumatori americani. “Lo stesso si è visto con le società automobilistiche giapponesi negli anni Settanta e Ottanta. E se Trump ascolterà le aziende, in particolare i giganti della tecnologia come Nvidia che vorrebbero vendere di più in Cina, alcune delle restrizioni di Biden potrebbero addirittura essere eliminate”, afferma. Se poi il neo presidente dovesse procedere con l’imposizione di dazi severi, per l’esperto Pechino varerà stimoli significativi per compensare eventuali danni economici. E un’ampia dose di sostegno in un Paese che sta già investendo in modo significativo nella propria capacità di ripresa interna fornirebbe un forte supporto alle azioni cinesi. “In ogni caso, Trump 2.0 potrebbe essere proprio ciò di cui la Cina ha bisogno per un buon 2025”, conclude quindi Walsh.
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