A Davos la Cina consacra la propria leadership globale
Dalla Belt&Road al Cai, passando per il Rcep: la Cina conquista il mondo a suon di accordi commerciali. E durante la pandemia ha aumentato il proprio commercio con l'estero
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“Se la Cina utilizzasse l’ingente massa di risparmio privato di cui dispongono i cittadini cinesi come un’ulteriore arma di egemonia geopolitica?”. A porre la questione in questi termini è Alessia Amighini, professoressa associata di politica economica presso l’Università del Piemonte Orientale, studiosa ed appassionata del Paese guidato dal presidente Xi Jinping e delle sue politiche internazionali.
Ma andiamo con ordine, cominciando dal contesto. Nell’anno più buio della pandemia, il 2020, l’economia cinese è cresciuta del 2,3% e il mercato azionario ha concluso con un guadagno superiori al 20%. Nessun’altra economia mondiale e Borsa valori al mondo, soprattutto quelle dei paesi sviluppati, ha eguagliato questi valori.
Dipende da come si vede la questione. Io non vedo nessun sorpasso imminente rispetto agli Stati Uniti. La Cina è tutt’ora un paese emergente e lontana anni luce dall’avvicinarsi alle economie avanzate dell’Occidente. Oggi la Cina è un paese grande, ma non è un grande paese; se guardiamo la situazione in termini di pil pro capite si colloca fra il settantaquattresimo e il settantaseiesimo posto, una posizione che fa della Cina un paese in via di sviluppo a tutti gli effetti.
La mole di risparmio privato è un ostacolo per i piani di crescita del governo centrale non come un vantaggio poiché è vista come la contropartita che frena i consumi interni. I fattori che hanno contribuito a far aumentare l’attitudine al risparmio dei cinesi vi è l’inesistenza di un sistema pensionistico sviluppato o di un sistema di welfare tout-court, elementi cui si aggiunge il fatto di non disporre di un sistema finanziario realmente aperto e competitivo.
L’apertura in ingresso concessa negli ultimi anni ai gestori esteri ha l’obiettivo di mettere in moto questo risparmio incanalandolo verso impieghi produttivi. La prima mossa è stata quella di aprire il sistema finanziario agli investimenti esteri. Per cui oggi per un investitore professionale estero, seppur in maniera controllata, è più facile accedere al mercato del risparmio cinese, ma questo processo deve avvenire in maniera regolata secondo le specifiche dettate dal governo centrale.
Per prima cosa bisogna dire che la Cina è stata la prima ad affrontare il virus anche se come paese non ha mai chiuso tutto in blocco come invece avvenuto in Occidente, specialmente in Europa. Volendo allargare l’orizzonte, bisogna riconoscere che tutta l’area asiatica ha affrontato meglio la pandemia, prendiamo paesi come Giappone e Corea del Sud che sono usciti quasi indenni dalla situazione grazie al fatto che avevano – a differenza nostra – un piano pandemico aggiornato e funzionante. Difatti sono salite tutte le Borse del continente, non solo quelle cinesi. In più, non va dimenticato che i mercati finanziari cinesi sono controllati dal Partito e sempre così sarà. Il governo centrale di Pechino non vuole assolutamente che si creino situazioni di instabilità finanziaria. Perché? L’instabilità finanziaria così come quella economica sono le fondamenta dell’instabilità politica e il Partito non vuole nessun tipo di instabilità. Per cui, chi vuole investire in Cina deve essere consapevole che il rendimento può essere anche positivo ma come abbiamo visto nel caso di Alibaba, dalla sera alla mattina il regolatore cinese può tranquillamente sospendere un’operazione senza bisogno di fornire troppe giustificazioni. Chiaramente in fasi rialziste come questa che sta vivendo oggi la Cina il Partito non interviene, anche perché è interessato ad attirare e collaborare con gli investitori professionali occidentali per imparare di fatto il mestiere dell’asset management.
L’industria dell’asset management è oggi per la Cina quello che sono state le industrie dell’automotive negli anni ’70-’80, della manifattura e delle tecnologie negli anni ’90 e successivi. È chiaro che in questa prima fase, iniziata non più di cinque anni fa, le società estere sono incentivate ad entrare sul mercato domestico vedendo l’opportunità di alti profitti. Oggi la Cina ha bisogno di know-how nell’asset management, deve mettere in moto il risparmio privato interno e far affluire capitali e investimenti dall’estero, in questo modo raggiunge l’obiettivo di farsi una reputazione di paese che apre le porte del suo settore finanziario, una cosa che in realtà non vorrebbe fare ma che ha promesso da tempo di fare e che tutto sommato fa comodo al Partito. La visione di Pechino, come sempre nelle questioni globali, è più ampia e più a lungo termine.
Non dobbiamo mai ragionare a compartimenti stagni, come se un settore fosse a sé stante rispetto al resto. La Cina pensa sempre a lungo termine e in modo più organico rispetto a noi. Gli operatori esteri per il momento vedono l’espansione verso est come un’opportunità, visto che generare rendimenti con i tassi d’interesse sotto lo zero che abbiamo in Occidente è diventato molto più difficile. La possibile criticità è che ci si esponga troppo al mercato cinese con il rischio poi di diventarne dipendenti, come accaduto alla grande manifattura. Senza contare il fatto che alcuni emittenti possono pagare interessi maggiori sul debito emesso qualora coinvolti in operazioni strategiche organizzate da Pechino. Un esempio? L’emissione di Panda bond portata a termine dalla Cassa Depositi e Prestiti qualche anno con l’obiettivo di “finanziare gli investitori italiani in Cina”. In realtà su quel titolo si sono pagati interessi di circa il 4%, molto più alti di una qualunque emissione di debito in valuta propria. Poi, c’è il pericolo, sempre concreto, di possibili ricatti di natura economica o politica. Il metodo ricattatorio è una delle strategie maggiormente utilizzate dal Partito, un po’ in tutti gli ambiti, figurarsi in un settore come quello del risparmio gestito in cui ci sono in ballo miliardi e miliardi di soldi che i cittadini occidentali hanno investito magari per finanziare l’Università dei figli o per comprare casa. Ci vuole poco a far passare la questione dalla finanza al piano politico e geopolitico.
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