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Dopo anni di rendimenti deludenti, le azioni EM tornano sotto i riflettori. Ma il fenomeno della concentrazione sta trasformando la leadership degli indici e dei Paesi all’interno dell’universo investibile. In due studi di Morningstar opportunità e sfide per i gestori
*CFA / Strategist Morningstar EMEA
Le azioni dei mercati emergenti ritornano sotto la lente degli investitori dopo anni di promesse disattese. Con l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca, lo spettro di una guerra commerciale si è sommato alle tensioni geopolitiche e al lento ma inesorabile rallentamento della locomotiva cinese, aggiungendo elementi di incertezza al quadro globale. Ma a complicare ulteriormente le cose c’è un altro aspetto. In due recenti studi, ‘What Should Investors Do About Rising Market Concentration? The Asia Perspective’, firmato da Samuel Lo e Michael Born, e ‘Concentration in Emerging-Markets Equities’, a cura di Lena Tsymbaluk e Michael Born, Morningstar approfondisce un trend globale che fornisce diversi spunti di analisi su questo universo: la concentrazione.
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Rendimenti concentrati
Le straordinarie performance delle cosiddette Magnifiche 7 (Apple, Amazon, Alphabet, Meta Platforms, Microsoft, Nvidia e Tesla) hanno catturato l’attenzione dei commentatori, diventando il traino per la crescita non solo dei listini USA ma anche di quelli globali. Tuttavia, sono tanti i mercati in cui abbiamo assistito a una leadership concentrata tra i pesi massimi dei listini, inclusi quelli asiatici ed emergenti. I rendimenti nei cinque anni fino a fine 2024 sono stati tutto sommato deludenti – per il mondo emerging appena il 2,2% annualizzato (in dollari), meno della metà dei rendimenti raccolti dagli investitori nei Paesi sviluppati escludendo gli USA (che sono in una categoria a parte).
Crescita

Dati al 31 dicembre 2024. Fonte: Morningstar Direct
Eppure, nei cinque anni fino a fine 2024, per l’indice Morningstar Emerging Markets Target Market Exposure c’è soprattutto una società che ha dominato tutte le altre: Taiwan Semiconductor o TSMC. Il gigante dei chip, grazie al boom legato all’intelligenza artificiale, ha infatti visto il proprio peso nell’indice praticamente triplicare dal 3,4% di inizio 2020 al 10% di fine 2024 e ha contribuito a quasi i tre quarti dell’intera performance nel periodo. Per i gestori attivi, avere evitato questa società è probabilmente costato molto caro.
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Cresce il peso dell’Asia negli indici emergenti
A livello geografico non si è osservato lo stesso fenomeno visto nei Paesi sviluppati, dove gli Stati Uniti rappresentano ormai oltre il 70% del mercato. Più che un trend di concentrazione, dalla crisi finanziaria in poi l’indice emerging-markets ha infatti sostanzialmente deviato verso est: da un lato, il peso dell’America Latina è crollato dal 22% al 6% nel periodo e la Russia è del tutto uscita dal paniere nel 2022; dall’altro, il Medio Oriente ha guadagnato terreno. Ma è soprattutto l’espansione dell’India ad aver cambiato i rapporti di forza, con una performance in questo caso maggiormente diffusa e che ha quindi toccato società di diverse dimensioni. Così l’indice azionario dei Paesi emergenti è oggi quasi una proxy per l’Asia: di fatto, Cina, India, Taiwan e Corea del Sud hanno un peso complessivo superiore al 75%. Anche a livello settoriale la trasformazione è stata sostanziale: un tempo le materie prime rappresentavano un importante driver delle performance, attualmente sono soprattutto i titoli tecnologici a costituire un importante fattore di rischio.
Allocazione storica

Dati al 31 dicembre 2024. Fonte: Morningstar Direct
Quali sono le conseguenze della concentrazione degli indici
Con una concentrazione più elevata, un numero ristretto di titoli influenza maggiormente l’andamento degli indici e di riflesso degli ETF che ne replicano la composizione. Nel caso dei mercati emergenti, come abbiamo visto, la decisione di sovra o sottopesare un singolo titolo (TSMC) può avere avuto conseguenze importanti sulle performance relative. In periodi in cui la leadership del mercato è ristretta nei principali costituenti diventa così più complesso per la gestione attiva battere il benchmark, a tutto vantaggio della gestione passiva. Eppure, questo approccio dimostra di avere ottenuto risultati relativamente positivi nei mercati emergenti, con tassi di successo attorno al 30% su orizzonti temporali medio-lunghi: un dato senz’altro migliore di categorie competitive come gli azionari USA large cap blend. Inoltre, anche in periodi in cui i gestori attivi faticano a tenere il passo, questi possono offrire maggior flessibilità e diversificazione – in alcuni casi in maniera strutturale, dati i limiti di concentrazione imposti dalla normativa UCITS. In effetti, i dati ci dicono che i due emerging più grandi, quello cinese e quello indiano, rappresentano un terreno fertile per questi operatori anche grazie al livello di concentrazione ancora contenuto.
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Che l’approccio di investimento sia attivo o passivo, i mercati emergenti rappresentano comunque una asset class da tenere d’occhio per chi è in cerca di rendimento. Ad esempio, Morningstar Investment Management stima per le azioni di questi Paesi un rendimento implicito nelle valutazioni dell’11% per i prossimi dieci anni, quasi il doppio del 5,6% stimato per le azioni statunitensi. La ragione di questo divario risiede in due fattori principali: in parte quello valutario ma soprattutto le differenze di valutazioni e non, come in passato, i tassi di crescita attesi.
Valutazione e building blocks

Dati al 31 dicembre 2024. Fonte: Morningstar Direct
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