Tutti i record delle reti quotate in Borsa nel primo trimestre dell’anno
I risultati commerciali di marzo e dei primi tre mesi del 2021 premiano gli sforzi delle reti nel risparmio gestito. I numeri di Mediolanum, Fineco, Banca Generali e Azimut
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C’era una volta il conto corrente, fino a qualche anno fa considerato un prodotto entry level e utilizzato come leva commerciale per attrarre clientela a suon di promozioni, da indirizzare poi verso prodotti più evoluti e la consulenza finanziaria.
Oggi ad offrire conti correnti a zero spese sono rimaste pochissime banche – e solo per alcune fasce di clientela (ad esempio gli under 35) – mentre altre hanno adottato politiche commerciali volte a scoraggiare chi non diversifica il proprio patrimonio su più prodotti della casa e non.
A far scattare la tendenza inversa sono state le politiche monetarie fortemente espansive adottate nell’ultimo decennio che hanno portato le banche – a causa dei tassi negativi imposti dalle Bce – ad applicare costi aggiuntivi. Così molti istituti hanno deciso di invertire la rotta e avviare una stretta sui conti correnti, troppo onerosi per gli intermediari, e cominciare a raccogliere i frutti delle politiche commerciali del passato.
Così le banche reti come Fideuram, Mediolanum, Fineco, Banca Generali o Allianz Bank mettono a sistema la propria capacità di fare consulenza ai clienti sulla gestione della loro ricchezza finanziaria, con conseguente allocazione del patrimonio verso i prodotti di risparmio gestito.
Il presidio sul fronte consulenziale ha consentito a queste realtà di arginare l’incremento della liquidità: secondo una ricerca di Excellence Consulting, che esamina la relazione tra incremento della liquidità e i diversi modelli di business delle banche, nel 2020 per le reti la percentuale di conti correnti rispetto alla ricchezza gestita dei clienti è stata nell’ordine del 16% contro il 38% per il resto del sistema bancario (Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm, Mps, Bper).
“La nostra ricerca – afferma Maurizio Primanni, Ceo di Excellence Consulting – dimostra che la liquidità non messa a reddito che giace sui conti correnti degli italiani, oltre che alla paura e all’incertezza nel futuro conseguenti all’emergenza del Covid, è legata anche alla maggiore o minore capacità di fare consulenza da parte della banca”.
Negli ultimi dieci anni, dal 2010 al 2020, la quota di liquidità presso i conti correnti degli italiani, tra famiglie e imprese, è cresciuta di circa il 3% raggiungendo la cifra monstre di 1.750 miliardi. Dall’ altra parte, ancora nel medesimo decennio, la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane, pari a 4.421 miliardi, è aumentata solo del 1,84%.
Con la pandemia nell’ultimo anno, secondo l’Associazione bancaria italiana (Abi), i depositi degli italiani si sono ampliati di circa 200 miliardi di euro. Il blocco delle attività economiche e gli stop alla circolazione hanno spinto le persone a essere più prudenti, risparmiare maggiormente e temere la volatilità e l’instabilità dei mercati, così alla decrescita del pil conseguente al lock-down si è associata anche la ridotta espansione della ricchezza finanziaria.
“A guardare i dati di Banca d’Italia – sostiene Primanni – se è vero che dal 2010 al 2020 la quota di quest’ultima detenuta sotto forma di liquidità dalle famiglie italiane è cresciuta di circa il 3% all’anno, tuttavia l’andamento evidenzia una progressiva accelerazione: fino al 2015 l’incremento è stato nell’ordine del 1,27% all’anno, dal 2015 al 2018 del 3%, per arrivare al 4,74% del biennio 2018-2020”.
L’anno chiave sembra il 2015, quello dei fallimenti bancari con la risoluzione di Banca Etruria, Banca delle Marche, Cariferrara e Carichieti, ma è indubbio che a velocizzare molto la crescita nell’ultimo biennio sia anche stata l’incertezza dovuta alla crisi sanitaria.
Al contempo – evidenziano da Excellence – è anche cresciuta la quota di ricchezza finanziaria detenuta sotto forma di prodotti di risparmio gestito (fondi comuni o prodotti assicurativi), che riporta un tasso di crescita annuo del 5,17% dal 2010 al 2020, cionondimeno la ricchezza finanziaria complessiva degli italiani, pari a 4.421 miliardi nel 2020, negli ultimi dieci anni è aumentata solamente del 1,84% all’anno.
In particolare, aggiunge l’esperto, è da segnalare come il problema dell’eccesso di liquidità sui conti dei clienti riguardi maggiormente le banche commerciali rispetto alle reti, che beneficiano, oltre al fatto di avere una clientela in media più ricca, anche di una maggiore focalizzazione del loro modello di business verso la consulenza sugli investimenti dei clienti.
Dalla ricerca di Excellence emergere che l’incremento ha riguardato tutti i player del mercato: dal 2010 al 2020 per le reti l’indicatore è salito dal 11% al 16%, mentre per le banche dal 32% a circa il 38%.
“Interessante anche il fatto che all’interno dell’aggregato delle reti la situazione sia disomogenea – prosegue Primanni –, con quelle advisor-centriche (Fideuram, Banca Generali, Allianz Bank e Azimut) che risentono del problema dell’eccesso di liquidità in forma molto minore rispetto alle più digitali (Fineco, Widiba e Che Banca)”.
Guardando al 2020, a ottenere le performance migliori in termini di quota di liquidità rispetto al totale del patrimonio dei clienti sono state: Azimut (4%), Deutsche Bank (8%), Allianz Bank (9%), Banca Generali (13%), Banca Euromobiliare (13%) e Fideuram (15%). Hanno un peso della liquidità più significativo: CheBanca (35%), Wibida (28%), Fineco (27%), Mediolanum (24%).
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