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Le istituzioni finanziarie si basano sempre più su dati e tecniche analitiche avanzate. Ma per il nuovo rischio principale, il clima, serve un nuovo framework. Ecco quale secondo McKinsey e Iacpm
Tre banche su cinque negli ultimi due anni hanno incrementato l’utilizzo di nuove tipologie di dati e di tecniche analitiche avanzate, come il machine learning, per la gestione del portafoglio crediti. E una percentuale ancora maggiore, che supera il 75%, vede tale tendenza proseguire nei prossimi due anni. Perché i rischi continuano ad essere numerosi e al primo posto, a detta delle banche, c’è ora quello climatico.
È quanto emerge dal report sugli ultimi sviluppi in materia di analisi dei dati per la gestione del portafoglio crediti targato McKinsey e International Association of Credit Portfolio Managers, che ha raccolto i pareri di 44 istituzioni finanziarie a livello globale.
Innovazioni di dati e analisi nella gestione del portafoglio crediti
Dall’indagine risulta evidente che l’implementazione di nuove tecniche ad alta intensità di dati come il machine learning si concentra su asset class e casi d’uso specifici. Nei portfolio di credito alle pmi, i modelli di machine learning sono stati utilizzati per lo scoring e il pricing del credito, oltre che per lo sviluppo di early warning signal. Nelle asset class corporate, invece, l’utilizzo è in gran parte limitato allo sviluppo di early warning indicator.
Altro dato cruciale è che le banche che hanno automatizzato completamente le decisioni per la maggior parte del portafoglio, cioè per oltre il 50%, sono ancora relativamente rare: la percentuale si ferma infatti all’11% per i portafogli pmi e al 4% per il midmarket. Ma è interessante notare che per i portafogli Pmi, circa il 30% degli intervistati ha automatizzato oltre il 30% delle decisioni. Inoltre, nel segmento Pmi, gli intervistati sostengono di aver ottenuto un beneficio significativo in termini di tempi di esecuzione, con il 37% dei partecipanti che ha registrato una riduzione di oltre il 10%.

La qualità dei dati frena l’adozione di soluzioni innovative
I vantaggi delle nuove soluzioni di analisi dei dati nei settori midmarket, corporate e nel settore immobiliare commerciale (Corporate Real Estate, Cre) non si sono tradotti in una riduzione analoga dei tempi di risposta: solo il 13%, il 3% e il 12% delle banche che hanno automatizzato alcune delle loro decisioni di credito nei portafogli midmarket, corporate e Cre, rispettivamente, hanno registrato una riduzione dei tempi di risposta superiore al 10%.
Diversi poi gli ostacoli a una maggiore adozione di soluzioni di dati innovative e di metodi analitici avanzati nella gestione del portafoglio crediti. Tra questi, la valutazione della qualità dei dati, la disponibilità di talenti e la difficoltà di validare e spiegare le nuove soluzioni.
Il rischio credito numero uno è il clima
Quanto alle sfide per l’analisi del rischio di credito e della gestione del portafoglio nei prossimi due o tre anni, tra le maggiori spiccano i requisiti patrimoniali, di accantonamento e normativi per i modelli di stress-testing (58%), quelle poste dalle incertezze dei modelli dopo la pandemia (51%) e l’incorporazione dei modelli di machine learning all’interno dei vincoli normativi e di rischio (42%). Al primo posto però, per la stragrande maggioranza delle banche (l’86%), c’è il rischio climatico e l’Esg.

Gli istituti che hanno già avviato gli stress test climatici stanno infatti ora valutando se costruire nuovi modelli di credito o adattare quelli esistenti agli stress test. Gli intervistati si sono divisi equamente in tre gruppi, affermando di stare sviluppando nuovi modelli di stima delle perdite attese, di utilizzare i modelli attuali o di non aver ancora preso in esame il tema. Inoltre, le analisi sugli scenari di perdita dovuti allo stress climatico si sono concentrate maggiormente sui portafogli midmarket, corporate e Cre (oltre il 50% delle banche per ciascun segmento), mentre un numero minore di banche (meno del 40%) ha condotto queste analisi sui portafogli pmi.
La maggior parte delle istituzioni finanziarie in Europa, Medio Oriente e Africa sta sviluppando modelli internamente o si sta affidando a modelli di fornitori terzi. Meno avanzate le banche della regione Asia-Pacifico, mentre le nordamericane si collocano a metà strada.
Serve un nuovo framework
I gestori di portafoglio hanno però iniziato solo di recente a considerare il modo in cui i rischi climatici ed Esg influenzano l’identificazione e la misurazione del rischio, compresi i rating dei debitori. E ora, secondo McKinsey e Iacpm, hanno bisogno di nuovi strumenti e processi per analizzare le perdite da stress climatico e gli scenari climatici. Non solo: devono anche esaminare come la valutazione di tali rischi possa essere integrata nei processi di credito esistenti.
Cinque i fattori da considerare
Per McKinsey e Iacpm ci sono cinque fattori principali da considerare per quanto riguarda gli impatti materiali del rischio climatico sul credito. Il primo è che i rischi fisici e di transizione sono tipicamente concentrati in aree specifiche del portafoglio. Per identificarle, a detta degli esperti, è necessario eseguire una mappatura dettagliata in modo da concentrare gli sforzi sui rischi prioritari per ciascuno dei portafogli.
Secondo fattore è che l’impatto medio sul credito può essere moderato nel breve termine, ma è probabile che vi sia un elevato grado di variabilità a livello dei singoli debitori. In questo ambito, le istituzioni finanziarie hanno iniziato a valutare tali impatti e intendono approfondirli, cosa che mostra come la strada da percorrere sia ancora lunga.
Terzo: per i settori esposti a rischi fisici, la maggior parte del rischio è rappresentata dagli impatti a catena, non da danni diretti. Qualsiasi valutazione dei fattori di rischio materiali dovrebbe quindi includere il pagamento di premi assicurativi più elevati e il deterioramento del tenore di vita di una comunità, anche se la proprietà in sé potrebbe non essere danneggiata.
Quarto fattore cruciale è che il rischio climatico non gestito può avere un impatto tangibile sui rendimenti e sui profitti economici. La Comprehensive capital analysis and review, gli stress test Bce o le metodologie basate sul capitale regolamentare potrebbero non essere appropriate per la valutazione, dal momento che si concentrano sui rischi patrimoniali e possono sottostimare l’impatto sul credito per i singoli debitori.
Infine, quinto fattore, prima di affrontare e mitigare il rischio climatico, le istituzioni finanziarie devono superare diversi ostacoli legati a competenze, dati e analisi. Per gli esperti c’è bisogno di un’architettura aperta in grado di supportare nuove metodologie per la qualità, la standardizzazione e la raccolta dei dati, ma anche di competenze interdisciplinari e di una mobilitazione trasversale della gestione del credito, del front-line e dei modelli rischio.
La scheda di valutazione del rischio climatico
Per superare questi ostacoli, le istituzioni finanziarie devono quindi compiere progressi significativi in due importanti approcci alla valutazione del rischio climatico: le analisi di scenario climatico e l’integrazione del clima nei processi di credito. “Man mano che le istituzioni sviluppano le capacità di valutazione dei rischi climatici attraverso l’identificazione dei rischi e l’analisi degli scenari climatici – si legge nel report -, il passo successivo consiste nello sviluppare un approccio decisionale in materia creditizia che garantisca che i rischi climatici siano considerati in modo appropriato e sufficiente nella costruzione e nella gestione del portafoglio”.
Per raggiungere questo obiettivo, secondo McKinsey e Iacpm è necessario incorporare l’analisi quantitativa del rischio climatico nel processo di valutazione del credito. E la progettazione e la sperimentazione di una ‘scheda di valutazione del rischio climatico’, che utilizzi le conoscenze raccolte durante la fase di identificazione del rischio e di analisi degli scenari potrebbe rivelarsi fondamentale.

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