S&P vede nero: shock dei prezzi alimentari almeno fino al 2024
L’agenzia di rating lancia l’allarme Emergenti. A soffrire di più saranno i Paesi a reddito basso e medio-basso dell'Asia centrale, del Medio Oriente, dell'Africa e del Caucaso
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Articolo pubblicato su FocusRisparmio Magazine di Marzo-Aprile 2022. Accedi e scaricalo gratuitamente a questo link.
L’economia dell’area euro è fortemente a rischio. Sul Vecchio Continente pesa come un macigno la guerra scoppiata al culmine delle tensioni tra Russia e Ucraina, che potrebbe avere un effetto devastante, soprattutto considerando la forte dipendenza dell’Unione dalle forniture russe di gas naturale (il prezzo del gas, così come quello del petrolio e di altre materie prime, è schizzato alle stelle all’indomani dell’attacco lanciato dalla Russia).
“Le stime circa l’impatto della crisi Ucraina dipendono dall’evoluzione dello scenario – argomenta Gregorio De Felice, head of research e chief economist di IntesaSanpaolo – A seconda della durata e dell’intensità della crisi, le ripercussioni sull’economia dell’area euro rischiano di essere davvero rilevanti. In particolare, sulla crescita del Pil dell’Eurozona potremmo avere un impatto negativo dello 0,6-1,1% per quest’anno e fino allo 0,9% nel 2023. In valore assoluto, si rischia una minore crescita tra gli 80 e i 230 miliardi di euro. È un impatto economico ben superiore a quello provocato dalle sanzioni commerciali con la Russia in vigore dal 2014”.
L’inflazione ha un duplice effetto sulla crescita: uno diretto e uno indiretto. Il primo riguarda l’erosione del potere d’acquisto di salari e stipendi. Qualcosa di simile avviene a scapito dei risparmiatori per la componente detenuta in attività liquide con rendimenti pari a zero. Una inflazione in crescita, inoltre, modifica in senso restrittivo l’orientamento delle politiche monetarie: meno stimoli e progressivo rialzo dei tassi di interesse esercitano un effetto negativo sulla crescita.
Innanzitutto, va detto che la Bce opererà con molta più gradualità rispetto alla Fed, perché in Europa non osserviamo quella spirale prezzi-salari così evidente negli Usa. Da noi il mercato del lavoro è meno flessibile, la disoccupazione più elevata e non si sta verificando una riduzione della partecipazione al mercato del lavoro. Rispetto al 2011, poi, le condizioni dell’economia italiana sono molto cambiate: la crescita del Pil è più alta, il costo medio del debito è più basso (2% contro il 4%) e gli investitori esteri detengono una quota minore di debito. Inoltre, l’industria manifatturiera e il sistema bancario sono più resilienti.
Il rincaro delle materie prime ha certamente un effetto sul costo dei progetti legati al Pnrr (il Piano nazionale di ripresa e resilienza, ndr). Ma il Governo ha dichiarato che questo maggior onere non ricadrà sulle imprese e che i progetti andranno avanti. L’Italia ha un’occasione unica non solo per garantirsi ingenti flussi di investimento finanziati dall’Europa ma anche per ammodernare il suo sistema economico, migliorare la produttività e far salire la crescita. Non può sprecarla.
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