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La Corporate sustainability reporting directive sostituirà la direttiva sull’informativa non finanziaria delle imprese. L’obiettivo è allargare la platea delle società coinvolte, definire meglio il contenuto delle disclosure e allinearle a standard europei obbligatori. Per offrire maggiore trasparenza agli investitori
Csrd è l’acronimo di cui (forse) qualcuno non ha ancora sentito parlare, ma di cui si sentirà parlare ben presto, e con una certa intensità e frequenza. Si tratta infatti della Corporate sustainability reporting directive, la direttiva sull’informativa di sostenibilità delle imprese, l’ultimo importante tassello della cornice regolatoria sulla finanza sostenibile, costituita al momento da due pilastri essenziali, la Tassonomia e il regolamento Sfdr.
La direttiva costituisce il superamento dell’attuale Nfrd (Non financial reporting directive, cioè direttiva sull’informativa non finanziaria), che andrà a sostituire. La decisione di produrre un nuovo test che aggiorni e rimpiazzi quello già esistente risponde a diverse esigenze: intanto ampliare la platea delle società interessate dalle norme, che attualmente sono poche migliaia (quelle di interesse pubblico e con oltre 500 dipendenti); rendere più preciso il contenuto dell’informativa, più chiaro e univoco; completare la catena della “trasparenza”, e favorire la convergenza normativa in un contesto di regole ancora frammentario.
La Csrd si allineerà infatti con le altre iniziative Ue (per esempio Aifmd e regolamento Priips), ma in particolare con Tassonomia e Sfdr, per ridurre la complessità ed evitare duplicazioni nel reporting. Una volta completato il quadro, i gestori potranno dare informazioni più chiare sui propri prodotti di investimento, perché saranno più chiare le indicazioni che arriveranno dalle stesse imprese, redatti sulla base di standard univoci. Una catena del valore integrata e completa nel segno della trasparenza.
Tutto deve essere estremamente chiaro, perché indirizzare gli investimenti verso le attività sostenibili, sostenere la transizione e favorire l’inclusione sono obiettivi ormai non più opzionali. E garantire la fiducia degli investitori sul reale impegno sostenibile degli attori coinvolti è essenziale. “Se ci fosse uno scandalo nel contesto della sostenibilità legato al misselling di prodotti definiti sostenibili, questo potrebbe seriamente danneggiare la fiducia dei consumatori e degli investitori in questo ambito. Dobbiamo assolutamente evitarlo”, ha dichiarato nei giorni scorsi Alain Deckers, head of the Asset Management Unit della Dg Fisma della Commissione europea.
Cosa cambia per le imprese
La direttiva sull’informativa non finanziaria delle imprese è entrata in vigore nel 2014, quando la sostenibilità era già considerata una stella polare negli investimenti, ma non aveva acquistato la centralità e l’urgenza che riveste oggi, in cui la Commissione europea si è dichiaratamente impegnata alla costruzione di un’economia più verde e inclusiva.
L’idea alla base della Nfrd – che a sua volta modifica una direttiva precedente, la Accounting Directive 2013/34/EU – è quella di aiutare investitori, policy maker, cittadini e consumatori a valutare meglio l’impegno delle grandi imprese su obiettivi non finanziari e incoraggiare le stesse imprese ad assumere strategie responsabili.
Attualmente le norme si applicano solo a 11.700 imprese, secondo i dati della Commissione, in particolare grandi società quotate e di pubblico interesse. Con la Csrd, invece, l’obiettivo sarebbe quello di coprire tutte le grandi società e tutte le società quotate, a eccezione di quelle a microcapitalizzazione. Questo allargamento risponde alla crescente domanda degli stakeholder in questo senso, spiegano da Bruxelles.
Per quanto riguarda il contenuto dell’informativa, attualmente si tratta di indicazioni abbastanza generiche che riguardano l’impegno ambientale, il rispetto dei diritti umani, la sensibilità ai temi sociali e il trattamento dei dipendenti, la diversity e l’equilibrio di genere nei board, l’impegno a contrastare la corruzione. L’Ue ha pubblicato delle linee guidaper l’informativa su tali impegni, ma che non vincolano le imprese, le quali sono attualmente libere di rifarsi anche ad altri standard.
Con la Csrd il contenuto dell’informativa verrà innanzitutto esteso e dettagliato, ma soprattutto sarà più univoco, chiaro e confrontabile sulla base delle indicazioni Ue: la Commissione ha parlato di “ampie evidenze” che le informazioni che attualmente sono diffuse dalle società sono insufficienti, e omettono questioni che sono essenziali per gli investitori e gli altri stakeholder.
La proposta di direttiva prevede quindi che le disclosure avvengano sulla base di standard Ue obbligatori, sui quali si sta attualmente lavorando. L’Efrag, cioè lo European Financial Reporting Advisory Group, l’organo tecnico che si occupa dell’elaborazione gli standard, nelle scorse settimane ha già presentato alla Commissione una serie di working paper in merito. Non solo: le informative in materia di sostenibilità redatte dalle imprese dovranno essere “certificate” con un audit.
A che punto siamo
La Commissione ha adottato la proposta sulla direttiva sull’informativa di sostenibilità delle imprese nella primavera del 2021. Da quel momento in poi, si è messa in moto la macchina legislativa che coinvolge il Consiglio dell’Unione europea e il Parlamento europeo. Lo scorso febbraio, il Consiglio ha adottato la proposta. Il Parlamento ha nominato i rapporteur, cioè gli eurodeputati incaricati di presentare le relazioni adottate dalle commissioni nel corso delle sessioni plenarie: l’olandese Lara Wolters per la commissione Affari legali e il tedesco René Repasi per quella sugli Affari economici e monetari, entrambi appartenenti allo schieramento socialdemocratico.
Il 15 marzo la commissione affari legali del Parlamento ha adottato la posizione, con una larga maggioranza, che approva l’allargamento della platea di imprese interessate dalla direttiva ma esclude le Pmi, mentre la Commissione vorrebbe includere le piccole e medie imprese quotate in Borsa, con oneri informativi comunque alleggeriti rispetto a quelli delle aziende più grandi. Una decisione che è stata accolta con molta preoccupazione anche dalle Ong, dubbiose sull’efficacia di un quadro normativo che impegnerebbe solo le società più grandi a dare un’informativa dettagliata sulle proprie scelte di sostenibilità. La stessa Commissione aveva spiegato che per le Pmi è importante, di fronte alle crescenti richieste da parte delle banche e degli investitori, essere messe nelle condizioni di poter spiegare con chiarezza i propri impegni.
Ma in ogni caso i lavori vanno avanti. Il 28 marzo è avvenuto il primo trilogo (il negoziato informale a porte chiuse tra rappresentanti di Parlamento, Consiglio e Commissione, che costituisce un passaggio importante nel processo legislativo). Il testo finale dovrebbe arrivare entro fine anno, e le aziende dovrebbero avere gli standard elaborati dall’Efrag in tempo per pubblicare le informative a partire dal 2024 (in relazione all’esercizio 2023).

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