Eurozona, l’inflazione concede una tregua. Ma non alla Bce
A marzo prezzi in frenata al 6,9%, sui minimi da 13 mesi. Ma sale il dato core. S&P: “A maggio nuovo aumento dei tassi”
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Nel 2023 il debito emesso dai governi a livello globale balzerà a quota 10.500 miliardi di dollari, quasi il 40% in più rispetto alla media storica pre-Covid. La stima arriva da Standard&Poor’s, secondo cui saranno i Paesi sviluppati di Europa e America Latina a mettere a segno il rialzo più significativo degli indebitamenti in scia alla crescita stagnante e alle pressioni di bilancio dovute anche agli elevati prezzi energetici.
Nel dettaglio, l’agenzia di rating americana prevede che nel 2022-2023 il costo netto delle misure fiscali legate all’energia raggiungerà la cifra monstre di 1,65 mila miliardi di dollari, pari all’1,7% del Pil mondiale. Inoltre, le politiche monetarie più restrittive e prolungate manterranno i costi dei debiti sovrani a “livelli mai visti” nell’ultimo decennio, più che raddoppiando i costi di emissione per gli Stati avanzati e lasciandoli elevati per quelli emergenti. Per questi ultimi e per i Paesi di frontiera, visti i profili generalmente più brevi e la dipendenza dal debito in valuta estera, sta anche aumentando rapidamente il costo effettivo, che porta con sè un rischio di credito crescente.
Gli analisti stimano che i 30 Paesi europei sviluppati con rating S&P emetteranno quest’anno circa 1.750 miliardi di dollari di debito commerciale lordo a lungo termine. Ben 348 miliardi in più rispetto al 2022, dovuti soprattutto agli elevati stock di debito, agli ampi deficit fiscali, agli effetti del tasso di cambio e dell’inflazione, nonché alla riduzione delle riserve di liquidità. Non solo però. Perchè il 2023 segnerà anche il passaggio dal Quantitative easing alla stretta monetaria del Quantitative tightening, con la conseguenza che i titoli di Stato del Vecchio Continente dovranno fare affidamento sui creditori commerciali per assorbire il 100% della nuova offerta. Uno scenario che sottoporrà i piani di bilancio a un “maggiore controllo” soprattutto con l’avvicinarsi del 2024.
Tuttavia, precisano gli esperti americani, l’aumento dei tassi di mercato si riflette solo gradualmente sull’aumento dei costi fiscali per il pagamento degli interessi: in percentuale del prodotto interno lordo, infatti, il rollover del debito al 2023 per i cinque emittenti governativi europei più sviluppati in termini assoluti (Regno Unito, Italia, Germania, Francia e Spagna) rimane di poco superiore all’11%. Le eccezioni più significative sono proprio il nostro Paese e il Regno Unito, dove gli strumenti indicizzati al carovita e a tasso variabile in percentuale del debito totale sono più elevati rispetto a qualunque altro luogo. In particolare, per l’Italia S&P prevede emissioni sovrane nell’anno in corso per 331,2 miliardi di euro contro i 297,4 miliardi del 2022.
Secondo S&P, con l’inversione del ciclo globale dei tassi, i Paesi emergenti dell’Area Emea accresceranno in misura modesta l’indebitamento commerciale lordo a lungo termine, arrivando probabilmente a quota 434,9 miliardi di dollari. “Le variazioni della politica monetaria statunitense restano un rischio fondamentale per le condizioni di finanziamento degli Emergenti, così come la volatilità valutaria ad esse correlata”, avvisano però gli esperti.
Lo stock di debito commerciale degli emittenti dell’area Emea dovrebbe raggiungere quindi i 2,9 mila miliardi di dollari equivalenti, pari al 36,1% del Pil entro la fine del 2023. Un record in termini di dollari ma ancora al di sotto del picco del 43,4% in termini di prodotto interno lordo registrato durante la pandemia. Per l’agenzia di rating, l’Egitto rimarrà probabilmente il maggiore emittente emergente, seguito a breve distanza dalla Turchia.
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