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Emergenti in pole position, guidati dall’India. Ma le aziende guardano anche ad alcuni mercati di frontiera e all’Europa. Una grande opportunità per i gestori attivi
L’India è in testa ma non è l’unica pronta a beneficiare della de-globalizzazione. Con lei ci sono numerosi altri mercati emergenti, e anche alcune economie sviluppate come Germania e Stati Uniti. Ne sono convinti gli esperti di Schroders, che fanno il punto su un fenomeno venuto prepotentemente alla luce con il Covid e ormai inarrestabile. Che lo si chiami nearshoring, reshoring, onshoring, diversificazione delle supply chain, friendshoring o slowbalisation, il nuovo ordine mondiale ha infatti costretto le aziende a diversificare e migliorare la sicurezza delle forniture, guardando a resilienza e affidabilità piuttosto che ai costi. Uno quadro nuovo e in divenire che si preannuncia ricco di opportunità per gli investitori attivi. A patto di saper selezionare i titoli giusti.
Globalizzazione a un bivio
“La globalizzazione ha visto un cambiamento radicale nella produzione manifatturiera, con la Cina che è diventata così dominante da essere spesso definita la fabbrica del mondo”, osservano Andrew Rymer, e David Rees, rispettivamente senior strategist strategic research unit e senior emerging markets economist di Schroders. Le tensioni geopolitiche tra Washington e Pechino, insieme alla pandemia, hanno però reso evidenti alcuni dei rischi e delle vulnerabilità di questo approccio. E nel 2020 i lockdown cinesi sono stati l’inizio di un periodo pluriennale di disruption, dislocazioni e colli di bottiglia a livello globale.
Con il Dragone al centro dell’industria manifatturiera mondiale, quindi, gli investitori iniziano a domandarsi quali economie e quali mercati azionari possano trarre vantaggio dal nuovo assetto. “In definitiva, data la posizione dominante del colosso asiatico, è probabile che qualsiasi cambiamento comporti una riallocazione delle catene di approvvigionamento lontano dal Paese”, sottolineano infatti Rymer e Rees, secondo cui tra le prime 20 economie pronte a beneficiare della de-globalizzazione gran parte sono emergenti.
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De-globalizzazione, Emergenti in testa
Dall’analisi di Schroders emerge che l’India è il mercato più interessante per le multinazionali interessate a diversificare l’esposizione produttiva. “Entro il 2028 offrirà il più grande bacino di manodopera in età lavorativa. Altri fattori a sostegno della sua posizione sono un costo del lavoro relativamente inferiore e una produttività relativamente elevata”, spiegano i due esperti. Che precisano: “Tuttavia, l’India non ha un buon punteggio per quanto riguarda la libertà d’impresa”. Stesso limite riconosciuto al secondo classificato, il Vietnam, che vanta costi salariali relativamente bassi, la produttività competitiva e la popolazione in età lavorativa. Anche la Corea del Sud occupa una buona posizione, sostenuta proprio dal punteggio per l’iniziativa economica e dalla produttività. Competitivi a livello regionale sono poi la Thailandia e l’Indonesia, grazie ai costi salariali e alle dinamiche demografiche. Stessi vantaggi offerti da mercati di frontiera come Bangladesh, Kenya e Pakistan, che si posizionano tra i primi 20 della classifica del gestore.
Non manca nella top 20 l’Europa centrale e orientale, con la Polonia al quarto posto. La produttività è un fattore importante per gran parte dei Paesi dell’Area, così come la libertà d’impresa. Il Messico, spesso citato in relazione al nearshoring, si colloca invece al 17esimo posto, grazie soprattutto a salari competitivi e dinamiche demografiche favorevoli. Anche Germania e Stati Uniti si piazzano relativamente in alto grazie a elevati livelli di libertà imprenditoriale, che compensano il maggior costo del lavoro.
Le venti economie più favorite
Le 20 economie che beneficeranno maggiormente della de-globalizzazione. Dati: Schroders, Refinitiv Datastream, Heritage Foundation, The Conference Board.
I potenziali vincitori
Quanto agli investitori, secondo Rymer e Rees, le opportunità variano a seconda del mercato: in quelli sviluppati sono più legate alla produzione ‘smart’, negli Emergenti e in Vietnam riguardano prevalentemente il settore manifatturiero ad alta intensità di lavoro. “Se la Cina fosse inclusa in questo diagramma, figurerebbe nel segmento centrale. Ciò evidenzia la continua attrattiva di Pechino come destinazione manifatturiera, anche se alcune multinazionali potrebbero essere motivate a ridurre la loro dipendenza dal Paese”, fanno notare.
Stock picking per cogliere le opportunità
La riorganizzazione della globalizzazione è quindi un tema che i gestori attivi focalizzati sui Paesi in via di sviluppo dovrebbero essere in grado di cogliere. “La maggior parte dei mercati segnalati come vincenti sono emergenti e, almeno in teoria, è possibile adottare un approccio attivo per analizzare da vicino e filtrare i titoli legati a questo tema”, chiariscono i due esperti. Che fanno notare come sia necessario prestare attenzione anche a fattori e valutazioni specifiche. “Questo tema ha suscitato un certo clamore e il rischio è che alcuni strumenti prezzino già l’opportunità futura”, avvertono. C’è quindi un tema di costo.
Si tratta, insomma, di un’area in cui lo stock picking attivo può avere un particolare valore aggiunto: valutare le società con prospettive favorevoli ovunque siano quotate e farlo in modo ben diversificato tenendo conto dei vincoli di liquidità e di accesso. “Sarà importante anche un’adeguata flessibilità per guardare al di là del benchmark, ad esempio verso le aziende di piccole e medie dimensioni e anche verso i mercati di frontiera come il Vietnam. La de-globalizzazione sarà un tema importante sul lungo termine e l’impatto su Paesi, settori, industrie e azioni sarà molto variabile”, concludono.
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