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Intervista con Sylvain Broyer, chief economist Emea di S&P Global Ratings
Più di dieci anni fa parlare di tassi e rendimenti negativi per i tassi ufficiali di sconto delle Banche centrali e per i titoli obbligazionari governativi veniva considerato un esercizio puramente teorico, da manuali universitari. Dalla Crisi del 2008, però, le azioni di tutte le banche centrali dei Paesi sviluppati, dal Giappone agli Stati Uniti che per primi introdussero misure di Quantitative easing portarono a uno scenario mai verificatosi prima nella storia della finanza moderna. Secondo Bloomberg, a fine 2021 le obbligazioni con rendimenti sotto lo zero aveva toccato il record storico di 18mila miliardi di dollari per 4.500 emissioni.
Oggi, 10 anni dopo la celebre frase di Mario Draghi “Whatever it takes” che diede inizio alla stagione dell’allentamento quantitativo anche nel Vecchio Continente, ci troviamo in una fase nuova, di frattura rispetto al decennio precedente. Cosa comporta per gli investitori obbligazionari? Lo domandiamo in questa intervista a Sylvain Broyer, chief economist Emea di S&P Global Ratings.

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Quali sono le principali analogie e differenze fra lo scenario attuale e quello di dieci anni fa?
Sono cambiate molte cose. Innanzitutto, credo che la natura degli shock a cui l’economia europea è sottoposta sia diversa, poiché sono tutti esterni. Dieci anni fa, gli shock subiti dall’economia europea erano legati alla struttura dell’unione monetaria o alle politiche economiche degli Stati membri. Oggi non è più così e questa è una differenza sostanziale. Inoltre, non c’è un’eccessiva frammentazione, soprattutto sul mercato dei titoli di Stato europei. L’allargamento degli spread della prima metà di giugno è uno dei consueti sviluppi nei periodi di mercato ribassista. Non c’è nemmeno frammentazione a valle della catena di finanziamento. Le Pmi europee non registrano deficit di finanziamento, godono di ampio accesso ai prestiti bancari e ottengono finanziamenti a tassi che, a seconda del paese di origine, sono 2,5 volte più bassi rispetto al 2012. Insomma, la differenza è notevole. L’Eurozona è più coesa, il gap di competitività dei costi si è ridotto, soprattutto grazie all’aumento dei salari in Germania, ma per via di alcune riforme strutturali, come quelle introdotte in Francia e Spagna. Le politiche monetaria e fiscale collaborano di più e quindi la loro influenza non è divergente. Si pensi che dieci anni fa Mario Draghi voleva stimolare l’economia mediante la politica monetaria, limitando quella fiscale. Oggi non è più così e questa è un’altra sostanziale differenza. Infine, l’Europa oggi dispone di strumenti per prevenire il rischio di frammentazione finanziaria che 10 anni fa non aveva.
Sul fronte della politica monetaria, la flessibilità concessa ai reinvestimenti del PEPP, le TLTRO, le procedure con piena assegnazione e le OMT sono tutti potenziali barriere contro il rischio di frammentazione. Sul piano del bilancio, la Next Generation EU funge da meccanismo redistributivo a vantaggio delle economie più fragili. Inoltre, la sospensione delle regole di bilancio dell’UE consente agli Stati membri di assorbire gli shock. Ciò significa che la situazione attuale è molto diversa da quella di 10 anni fa.
In cosa e quanto è cambiato lo scenario di investimento rispetto a 10 anni fa, rispetto alle scelte di politica monetaria attuate dalle banche centrali?
Il contesto di mercato è profondamente cambiato negli ultimi dieci anni. I costi per gli emittenti sovrani e per gli emittenti del settore privato sono più bassi. Le emissioni obbligazionarie sono aumentate, c’è stato un forte incremento di nuovi emittenti con rating speculativo, il contesto di default è ridotto e stabile e la volatilità sui mercati azionari è minore. Se si considera l’aumento delle emissioni obbligazionarie, dal 2002 al 2011 la media annuale di emissioni totali di corporate bond europei è stata di circa 500 miliardi di euro. Nei dieci anni successivi tale media è salita a quasi 800 miliardi di euro: una differenza enorme. Gli emittenti con rating speculativo hanno contribuito in larga misura a questo aumento, soprattutto nelle fasce di rating “B” e “CCC”. L’emissione totale di obbligazioni con rating speculativo è quasi raddoppiata su base annua tra il 2012 e il 2013 e il livello è rimasto costante e il contesto di default è più contenuto e stabile. Nell’ultimo decennio, dopo il discorso “Whatever It Takes”, il tasso di default europeo con rating speculativo si è attestato stabilmente intorno al 2,1%, rispetto al picco del 10% durante la crisi finanziaria globale. Anche il picco di default che si è verificato nel 2020 durante la pandemia è stato molto più contenuto rispetto a quelli precedenti: un picco del 6% nel 2020 contro un picco del 10% nel 2009 e del 14% nel 2002. Per quanto riguarda la volatilità dei mercati azionari, negli ultimi dieci anni abbiamo riscontrato in media una volatilità inferiore di 5 punti rispetto al VSTOXX40, rispetto al periodo del Whatever it Takes. Non tutti questi cambiamenti dei mercati sono riconducibili alla politica monetaria non convenzionale adottata dalla BCE. Anche l’economia europea e quella globale si sono trasformate con l’incremento della globalizzazione e poi abbiamo avuto la Grande Moderazione. La politica monetaria ha però svolto un ruolo determinante nella trasformazione dei mercati: solo per fare un esempio, i rendimenti dei Bund tedeschi a 10 anni sono in media 230 punti base più bassi oggi rispetto a 10 anni fa. Il QE ha probabilmente contribuito a ¼ di questo calo e l’eccessiva liquidità iniettata nel sistema bancario ha avuto un impatto analogo. Quasi la metà dei cambiamenti osservati nei prezzi di mercato può essere attribuita alla politica monetaria non convenzionale della Bce.
Quali sono a vostro avviso le principali ricadute per gli investitori obbligazionari?
Abbiamo rendimenti inferiori su molte asset class con lo stesso vincolo di garantire tali rendimenti agli investitori retail e istituzionali, per cui la principale ripercussione per gli investitori obbligazionari è stata la caccia al rendimento. Al contempo, il rischio è diminuito, soprattutto per la liquidità, che era abbondante. Un’altra ripercussione importante riguarda il fatto che le banche centrali – e forse la BCE più di altre – si sono evolute fino ad essere grandi protagonisti dei mercati obbligazionari; e abbiamo un forte tasso di redemption del flottante del debito pubblico, grazie al QE. Parliamo di un’espansione di 6.000 miliardi di euro del bilancio della BCE in dieci anni. Questo capitale non scomparirà rapidamente, pertanto il ruolo delle banche centrali sui mercati obbligazionari non si esaurirà presto. La BCE potrebbe impiegare un decennio per normalizzare il proprio bilancio, nel caso in cui si affidi esclusivamente al mancato reinvestimento delle obbligazioni in scadenza. Per ora la BCE non ha fornito alcuna indicazione sulla sua volontà di intraprendere in futuro una stretta quantitativa “attiva”, ovvero vendendo obbligazioni a titolo definitivo. Se la BCE continuerà a perseguire il Quantitative tightening passivo, potrebbe rimanere un player importante sui mercati obbligazionari sia governativi che corporate per i prossimi dieci anni.
Qual è la vostra opinione sui primi anni di operato di Lagarde e cosa pensate della comunicazione delle ultime riunioni e del provvedimento detto “scudo anti-spread”?
Christine Lagarde ha avuto un’influenza molto positiva sulla BCE in un contesto estremamente difficile – e probabilmente le difficoltà per lei sono appena iniziate. Nella riunione di giungo è già emersa chiaramente la volontà della banca centrale di aumentare i tassi sia a luglio sia a settembre. Sarà interessante vedere come la BCE gestirà questa situazione nella riunione di domani e se si deciderà per un rialzo di 25 punti base a luglio per poi annunciare un aumento più consistente per settembre, o se ci sarà un’inversione di rotta. Se la BCE deciderà di non rispettare l’indicazione del mese scorso dovrà fare i conti con un impatto negativo sulla propria credibilità, quindi probabilmente non si scosterà dall’impegno preso e verranno annunciate nuove misure a settembre. In merito al nuovo strumento anti-frammentazione, il cosiddetto Transmission Protection Mechanism (TPM), non vedo una frammentazione eccessiva in questo momento e il rischio che essa si concretizzi è piuttosto contenuto. Sarebbe poi forse preferibile che la BCE non bypassasse il meccanismo di pricing del mercato per mantenere vivo lo spirito del “Whatever it Takes” – non si tratterebbe di una normalizzazione della politica monetaria, se continuiamo a seguire l’assioma del “Whatever it Takes”. La BCE proporrà nuove misure e questa settimana o a settembre avremo maggiori dettagli, ma le opzioni di cui la banca centrale dispone per sviluppare questo strumento anti-frammentazione sono poche. Un programma di acquisto di obbligazioni a titolo definitivo volto a limitare gli spread sul mercato dei titoli di Stato europei solleverebbe questioni tecniche e legali. Ma non è vero che gli aspetti tecnici siano più facili da affrontare di quelli legali. Dal punto di vista tecnico, per la BCE equivalerebbe a controllare la curva dei rendimenti su 18 mercati obbligazionari e significherebbe anche che la BCE dovrebbe porre un limite al prezzo dei titoli di Stato. Ma in base a quali criteri? La BCE è una banca centrale, non un’istituzione eletta, sarebbe quindi un percorso molto difficile. E dal punto di vista legale, è difficile che un simile programma di acquisto di obbligazioni rispetti le disposizioni del Trattato Europeo sul finanziamento non statale. In ogni caso, la BCE potrebbe disporre di altri strumenti: ad esempio, rivedere le condizioni legate alle Outright Monetary Transactions (OMT) per creare incentivi all’utilizzo delle OMTs da parte dei Paesi a rischio di frammentazione, contribuendo così ad adeguare tali condizioni agli obiettivi politici fissati dalla Next Generation EU, oppure decidere il quarto ciclo di TLTRO, contribuendo così a mantenere le condizioni del credito bancario e a proteggere la catena di finanziamento a valle da un eventuale allargamento degli spread sul mercato dei titoli di Stato europei. Vedremo quale sarà la decisione della Bce.
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