Euro-dollaro, quota 1.50 è tutt’altro che impossibile
Il calo degli ultimi mesi è in linea con la teoria del "sorriso del dollaro". E per Ubp significa che c'è ampio spazio per un rally della moneta unica
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Sempre più giù. Il dollaro, tra i protagonisti assoluti degli ultimi mesi, continua anche oggi la sua discesa rispetto alla maggior parte delle valute, a causa soprattutto dei bassi rendimenti dei Treasury che stanno minando il fascino dei titoli a reddito fisso a stelle e strisce. L’Ice Dollar Index è sceso dello 0,4% a 91,83 dopo aver toccato 91,79, il livello intraday più basso dalla metà del 2018, mentre nel dettaglio dei principali cross, oggi l’euro/usd tratta poco sopra quota 1,19, a 1,1988, il massimo da aprile 2018, l’usd/yen è sotto 106 a 105,65 e il gbp/usd viaggia sopra 1,34 a 1,3412. Ma quanto durerà? Gli analisti non sono concordi, ma sono comunque in pochi a credere che per la divisa americana sia arrivato il momento del requiem.
Secondo gli analisti di Unicredit, la sterlina e l’euro stanno guadagnando terreno dopo che il vicepresidente della Federal Reserve, Richard Clarida, ha lasciato la porta aperta a un utilizzo del controllo della curva dei rendimenti e ha detto che i tassi di interesse non aumenteranno solo perché il tasso di disoccupazione è in calo. “È probabile che il dollaro rimanga debole a causa di una posizione della Fed molto accomodante – precisano – quindi è probabile che l’euro/usd sferrerà un assalto più concreto a quota 1,20 e oltre”.
Anche per gli esperti Pimco nei prossimi mesi la valuta statunitense con tutta probabilità si indebolirà ancora a causa dei bassi tassi d’interesse e del proseguimento di una politica monetaria accomodante. Tuttavia, è possibile che lo shock economico della pandemia ne limiti il ribasso. “Finché esiste l’incertezza legata al virus è probabile che il rallentamento della crescita globale riduca l’entità e l’ampiezza di un eventuale suo declino”, affermano Gene Frieda e Sachin Gupta, rispettivamente global strategist e responsabile del team di gestione di portafogli globali.
“La relativa attrattiva delle valute alternative dipende dalle variabili economiche e varia notevolmente da regione a regione. È altamente probabile, ad esempio, che qualsiasi calo generalizzato del dollaro porti all’apprezzamento dell’euro, il secondo blocco valutario più grande del mondo”, proseguono gli esperti, secondo cui l’accordo sul Recovery Fund, insieme al robusto programma di acquisto della Bce, potrebbe far aumentare l’attrattiva della moneta unica come alternativa al biglietto verde. Ma sarà soprattutto la rapidità con cui arriva il vaccino ad avere un’influenza sulla velocità di caduta del dollaro, avvertono da Pimco.
Stessa view per Lyxor Am, secondo cui nel lungo periodo il dollaro frenerà ulteriormente. Per Jean-Baptiste Berthon, senior cross-asset strategist, la continua ripresa economica globale potrebbe continuare a erodere la domanda di liquidità in dollari. “La Fed ha lasciato poi intendere di essere pronta a permettere un superamento dell’inflazione – prosegue -, attraverso obiettivi di inflazione media, mantenendo così bassi i differenziali di tassi, mentre il peggioramento dei deficit gemelli statunitensi manterrebbe un flusso di notizie negative nei prossimi mesi. Infine, l’incertezza politica intorno alle elezioni americane di novembre, che darà agli elettori la possibilità di scegliere tra l’aumento delle tasse interne e l’aumento delle tariffe commerciali, potrebbe frenare la domanda di dollari”. Tuttavia, nel breve la divisa americana potrebbe godere di una tregua, poiché alcuni fattori negativi probabilmente si attenueranno: dai contagi negli Usa, alla sottoperformance dell’economia statunitense, passando per il nuovo pacchetto fiscale del Congresso e i negoziati sulla Brexit, fino ai fattori tecnici.
Ciò che è prematuro, secondo l’esperto di Lyxor Am, è vedere nella frenata della divisa Usa la fine del suo status di valuta di riserva mondiale. “Le preoccupazioni sullo stato delle riserve valutarie del dollaro sono eccessive – avverte -. Le riserve e le transazioni in dollari rimangono dominanti rispetto alle due possibili alternative: l’euro e l’oro. Inoltre, la scarsa attrattiva del dollaro per le tesorerie è compensata dai flussi verso le azioni e le obbligazioni societarie statunitensi. La Russia e la Cina stanno cercando di limitare la loro dipendenza dal dollaro, ma farebbero fatica a sciogliere le loro relazioni profondamente intrecciate. Inoltre, le banche centrali si sforzeranno di impedire qualsiasi significativo apprezzamento dei cambi, che peserebbe sulle loro economie e peggiorerebbe le pressioni deflazionistiche”.
Che succederà quindi? Berthon vede il potenziale di un ulteriore calo del 5-10% del dollaro al massimo, che colmerebbe in larga misura il divario con le valutazioni della parità di potere d’acquisto. “In combinazione con massicce iniezioni di liquidità a livello mondiale, un dollaro più debole faciliterebbe ulteriormente le condizioni finanziarie, soprattutto per le economie dei mercati emergenti esposte al debito estero – conclude -. Anche i prezzi delle materie prime progredirebbero e i ricavi degli esportatori statunitensi aumenterebbero man mano che i loro prodotti diventeranno più competitivi. Sì, gli Stati Uniti importerebbero l’inflazione, ma non abbastanza, per il momento, da far scattare l’allarme”.