Secondo l’head of advidory della casa di gestione, per le reti è centrale essere supportati dall’asset manager, anche con strumenti per comunicare correttamente con il cliente finale. Quanto alle ricette per affrontare i mercati, oggi prevale l’approccio “back to basic” per riuscire a proteggersi dall’inflazione
Federico Domenichini, head of advisory Italy di T. Rowe Price
Geopolitica, disfunzioni della supply chain, reshoring ci hanno riportato a un contesto di mercato che non si vedeva da anni, dominato dall’inflazione e da una dinamica in rialzo sui tassi d’interesse. Cambiamenti così evidenti rispetto alle condizioni dell’ultimo decennio da produrre ulteriore pressione su asset manager e collocatori. In questo contesto, spiega Federico Domenichini, Head of advisory Italy di T. Rowe Price, è essenziale che gli asset manager siano in grado di fornire servizi a valore aggiunto alle reti, in particolare fornendo ai consulenti gli strumenti per confrontarsi con i clienti.
Quali sono le maggiori sfide che gli operatori finanziari si trovano ad affrontare, in particolare in tema di distribuzione e consulenza, in una fase come quella attuale?
Nell’attuale scenario di mercato si profilano importanti sfide, e credo che la più importante sia capire come le attuali strategie possano proteggere gli investitori dall’inflazione. Veniamo da una fase in cui l’inflazione non superava il 2%, quando oggi è al 10%. Anche in ottica di una discesa, non torneremo allo scenario precedente e quindi non ci troviamo di fronte a un problema strutturale anche in un orizzonte temporale più ampio. È importante capire strategicamente come affrontare un periodo in cui a causa di geopolitica, collo di bottiglia e reshoring vedremo un’inflazione più alta di quella sperimentata negli ultimi 10 anni.
Il secondo tema riguarda la circostanza per cui, a causa dell’attuale situazione di mercato, ci sono investitori che si ritrovano con perdite del 15% o addirittura del 30% anche con portafogli estremamente prudenti. Si tratta di un tema molto sentito da parte di consulenti e private banker, oggi impegnati nel capire come far sì che gli investitori possano intraprendere un percorso di recupero, in un contesto non facile.
La terza sfida riguarda la centralità del servizio. In un mondo in cui i prodotti finanziari sono percepiti a volte come una commodity, il valore aggiunto lo si ottiene sui servizi. Se occorre scegliere se comprare dall’asset manager A o dall’asset manager B, a meno che uno dei due non abbia un prodotto davvero unico e indistinguibile la differenza lo fa il servizio alla rete.
Cioè? Quali sono questi servizi a valore aggiunto?
Guardando a cosa i consulenti chiedono agli asset manager, mi viene in mente sicuramente lo storytelling. Tanti fanno bene e producono risultati superiori, ma è anche importante saperli raccontare. L’altro aspetto fondamentale è che l’asset manager deve essere una sorta di “facilitatore” per il consulente. Questo significa che il consulente si aspetta che l’asset manager gli dia una storia di investimento rielaborata che sia digeribile sia per il consulente sia per il cliente, cioè vuole che gli fornisca strumenti che lo aiutano meglio a confrontarsi con il cliente finale. Su questo fronte per fortuna c’è stata un’evoluzione positiva negli ultimi anni, ma a volte quello che manca ancora è sapere come partire da un’informazione molto complessa e renderla sintetica e semplificata, in modo da consentire al consulente di proporla nel modo migliore al cliente.
E dal lato dei clienti? Quali saranno i temi di mercato che terranno banco nei prossimi mesi e che maggiormente li preoccupano?
I clienti sono essenzialmente preoccupati dall’inflazione. Sul fronte dei mercati un altro tema molto rilevante, che può essere oggetto di una riflessione di lungo periodo, è la Cina, ma in questo momento preoccupa soprattutto gli addetti ai lavori: oggi la domanda che si fanno molti consulenti finanziari, vista l’ecatombe sui mercati, è cosa fare degli investimenti cinesi in portafoglio.
Qual è l’approccio giusto sugli investimenti per affrontare una fase così delicata come quella attuale?
Le ricette che sono state suggerite dai consulenti finora sono in realtà moto coerenti con il contesto attuale. C’è sempre stato il tema di difendere il patrimonio dall’inflazione, che in passato spesso non riusciva a fare breccia considerati i bassi livelli dell’inflazione, ma oggi a maggior ragione diventa centrale. Il tema della generazione di income è essenziale, per cui oggi si può pensare, per esempio, di comprare high yield non solo per non avere liquidità in portafoglio ma anche perché è un modo intelligente di difendersi dall’inflazione, anche dal punto di vista reale, grazie ai rendimenti elevati.
Un altro aspetto importante che terrà banco nel 2023 sarà il considero “back to basic”. In passato abbiamo visto molte storie di investimento con tematiche molto popolari e un forte storytelling, che però a guardar bene tendevano ad avere sottostanti molto simili. Così, quando il mercato ha stornato, molti di questi strumenti sono risultati fortemente correlati e hanno sofferto. Credo che ci sarà una tendenza a tornare su strategie tradizionali più semplici. Per esempio, con un bilanciato tradizionale si possono avere rendimenti importanti sulla parte obbligazionaria nel momento in cui storna l’equity, ma è importante un’asset allocation corretta con un gestore che non si sposta troppo velocemente, perché il rischio p di mancare il market timing e perdersi eventuali rimbalzi.
Abbiamo compiuto un’analisi sugli anni in cui sia il mercato dei titoli di stato americani sia l’azionario americano siano stati entrambi negativi, edall’inizio dello scorso secolo è avvenuto solo in quattro occasioni, di cui l’ultima nel 2022 (l’unico anno con cali a doppia cifra su entrambi). Quindi nella storia del mercato Usa un portafoglio bilanciato 60-40 avrebbe avuto entrambi i blocchi negativi solo in quattro anni.
Come stanno cambiando l’identikit e le esigenze degli investitori?
C’è una maggiore attenzione alla sostenibilità, soprattutto sulle fasce più giovani, ed è anche per questo che ormai la stragrande maggioranza dei nostri fondi è articolo 8. Ma soprattutto con l’ascesa della generazione dei Millennial c’è un importante tema di cambiamento degli intermediari al passaggio generazionale, che in America sfiora il 90% e in Italia si attesta su cifre più basse, intorno al 50%. Anche per questo motivo, è essenziale stare vicino ai clienti nei momenti più importanti.
In quale modo voi come T. Rowe Price vi state muovendo per venire incontro a queste mutate esigenze e in questo mutato contesto di mercato?
Ci sono alcuni macrotemi per noi cruciali. Il primo macrotema, di cui ho già accennato, è il back to basic: meno strategie tematiche “di moda” e più sostanza.
Il secondo macrotema riguarda il mercato americano, che per noi è un mercato di riferimento e sul quale siamo riconosciuti come grandi player. Faremo una campagna molto importante su questo fronte, per la quale intendiamo lanciare anche un sito dedicato.
Ma soprattutto, intendiamo continuare a stare vicini ai nostri clienti. Per esempio con la video call del venerdì, che abbiamo lanciato nel 2020 ma poi abbiamo mantenuto anche successivamente, un impegno che ci ha caratterizzato e che oggi vede la partecipazione di circa 800 consulenti finanziari a puntata e quest’anno ha registrato 3000 visitatori unici. Occorre dare un messaggio sintetico ma non banale, che si può poi raccontare ai clienti per supportarli in una fase complessa come questa.
Sono sempre più numerosi ma spesso non vengono scelti in base alle competenze nè sono autorizzati. Ecco perchè, in molti casi, finiscono per distruggere ricchezza. E tra le Autorità di vigilanza cresce l'apprensione
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Il settore è solido ma occorrono approcci nuovi e più advisory. Per Passera (Illimity), “sarà l'innovazione a fare da spartiacque”. Geertman (Banca Ifis) “Superata la sfida del fintech”. E su quella delle big tech Belingheri (Bff) intravede un tema regolatorio. Credit crunch? “Non ci sarà”
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