Draghi saluta il parlamento EU e avverte: “Senza riforme non si cresce”
Una ricetta che il presidente uscente della Banca centrale va ripetendo da circa otto anni. “Servono riforme strutturali, da sola la politica monetaria serva a ben poco”
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Cosa si deve provare a essere Mario Draghi oggi? Otto anni alla guida della Bce in cui è successo di tutto, dalla crisi dei debiti sovrani alla scampata deflagrazione dell’euro, passando per il default greco e la Brexit.
Otto anni nel solco del “Whatever it takes” pronunciato durante la Global Investment Conference della British Business Embassy il 26 luglio 2012, in cui il capo dell’Eurotower sottolineò con forza l’irreversibilità dell’euro. “Faremo tutto il possibile. E credetemi, sarà sufficiente”, affermò l’ex dirigente di Bankitalia. Detto, fatto: otto anni dopo, il quotidiano francese Le Monde in prima pagina non esita a definirlo “salvatore dell’euro”.
“Durante gli otto anni del suo mandato ha interpretato il ruolo di presidente della Bce in un modo più attivo rispetto ai suoi predecessori, annunciando e mettendo in pratica misure innovative ed efficaci, ponendo le basi per una maggiore integrazione tra i Paesi membri”, osserva Paolo Bernardelli, responsabile fixed income & FX di Eurizon.
I fondi obbligazionari Eurozona nell’era del «Whatever it takes»
L’operato di Super Mario, come è stato ribattezzato dalla stampa di tutto il mondo, ha avuto la sua manifestazione più concreta sul mondo obbligazionario. L’azione espansiva della Bce in questi anni ha livellato i rendimenti delle obbligazioni governative degli Stati europei schiacciandoli a ridosso o sotto lo zero.
Le conseguenze di quest’azione sono state principalmente due: la crescita del bilancio della Banca centrale e il rally delle obbligazioni governative europee, sia periferiche (Grecia, Portogallo, Spagna) che core (Germania su tutti).
Grafico 1: andamento del bilancio della Banca centrale europea negli otto anni di presidenza di Mario Draghi. Fonte: Bloomberg LP
Dal lancio del primo quantitative easing (QE) nel gennaio 2015 la liquidità immessa nel sistema Eurozona dalla Bce ha assicurato ai Paesi di stabilizzare i livelli di fiducia verso la moneta unica e al contempo ha prodotto un rally delle obbligazioni di cui hanno potuto beneficiare gli investitori, istituzionali e non.
Grafico 2: benchmark obbligazionari dell’area euro a confronto. Si tratta del Bloomberg Barclays EuroAgg Government Total Return Index (in arancio) e del JPM GBI EMU TR (in giallo). Fonte: Bloomberg LP
Qui proponiamo una classifica, basata su dati estrapolati dal database Morningstar Direct, con i migliori 20 fondi focalizzati sull’obbligazionario governativo dell’Eurozona.
Fonte: Morningstar Direct. Sono state considerate solo le share class più anziate e quelle riservate agli investitori retail italiani.
Pur in un ambiente dove il concetto di attività risk-free è stato completamente stravolto, i fondi comuni d’investimento focalizzati sull’obbligazionario Eurozona hanno portato a casa rendimenti annualizzati interessanti, che grazie a una corretta diversificazione tra Paesi, pur con un bias per i bond della cosiddetta «periferia», hanno permesso agli investitori di portare a casa rendimenti annualizzati superiori al 5% nel caso dei primi cinque fondi per rendimento.
Core e periferia, rischio e rendimento: attenzione all’equazione
Come possiamo vedere dalla tabella, il fondo top performer è Anima Tricolore (+6,24% annualizzato), investito in prevalenza in titoli di Stato italiani, ma a fronte di una volatilità più elevata che ha eroso lo Sharpe ratio a 3 anni allo 0,33 offrendo quindi una remunerazione corretta per il rischio più bassa rispetto al secondo fondo in classifica, il DWS Invest Euro-Gov Bonds FC (+5,47% annualizzato) che come suggerisce il benchmark Markit iBoxx EUR Sovereigns TR è investito anche in titoli europei core.
“Le maggiori opportunità dal punto di vista degli investimenti si sono viste sulla periferia. Noi abbiamo mantenuto posizioni lunghe sulla Grecia, un Paese il cui debito prima degli interventi di Draghi era considerato spazzatura. Oggi i titoli greci sono ancora HY rated, ma nel corso di questi 8 anni di «Whatever it takes» i rendimenti dei titoli ellenici hanno abbandonato la doppia cifra; in alcuni casi la Grecia ha concluso delle emissioni con yield negativo”, afferma Alberto Gallo, head of global macro strategies di Algebris.
Ma i benefici non hanno riguardato solo la parte periferica. Secondo Giancarlo Sandrin, country head Italia di Legal & General IM, degli effetti del «Whatever it takes» hanno beneficiato tutti i Paesi europei – inclusa la Germania – e non solo l’Italia: “Se non ci fosse stato Draghi, i Btp e i fondi che investono in titoli di Stato italiani non avrebbero registrato quei numeri, ma probabilmente non avremmo neanche avuto tassi così negativi in Germania”, spiega Sandrin.
“Ricordiamo comunque che la ricchezza degli italiani garantisce una solvibilità del Paese che a mio parere ci avrebbe comunque consentito di sopportare una situazione di crisi”, precisa l’esperto, che riflette anche sugli effetti molto positivi per il mercato di Francoforte, dove si annidano parecchi dei falchi ostili alla colomba Draghi.
“Volendo parlare di paradossi potremmo arrivare a dire che il bund potrebbe rischiare anche l’estinzione”, sottolinea Sandrin, spiegando che “in un contesto di inflazione non alta, ma neanche negativa, e nel momento in cui la Germania intende comunque mantenere un surplus di bilancio a tassi negativi, lo stock di debito tedesco finisce per assottigliarsi anche con nuove emissioni. In un contesto simile, come ha evidenziato una nostra recente analisi, il Paese di questo passo potrebbe arrivare a raggiungere un rapporto debito/pil del 30%”.
Ancora a inizio anno, molti gestori si domandavano se avesse senso mantenere posizioni in bond governativi europei con i tassi così bassi. “Poi Draghi ha spinto i tassi in territorio ulteriormente negativo e ridotto ulteriormente i rendimenti con l’annuncio del Qe2, e questo ha aiutato tutta la parte obbligazionaria europea, non soltanto il Btp che comunque ne ha beneficiato in modo particolare”, precisa Sandrin.
Ciononostante, Draghi lascia una Bce mai così divisa. “Se una parte del mondo finanziario tedesco lo critica di lassismo, infatti, numerosi economisti e leader politici in Europa o negli Usa lo salutano come uno dei banchieri centrali più brillanti della sua generazione”, osserva Le Monde nel suo editoriale.
Oggi l’ultimo direttivo, l’ultima conferenza stampa e poi la settimana di transizione fino al 1° novembre 2019, data a partire dalla quale il timone dell’Eurotower passerà nelle mani di Christine Lagarde.