Banche, meglio del previsto il bilancio 2020
Ma non mancano i punti interrogativi: la pandemia deve ancora tradurre i suoi effetti sui conti degli istituti di credito. Per il futuro la parola d'ordine è M&A
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Il tema caldo è sempre quello: le norme Eba in tempo di Covid. E così l’Abi torna ad esortare, in sintonia con le altre associazioni bancarie europee, la modifica delle regole dell’autorità Ue per consentire di “aiutare le imprese in difficoltà temporanee attraverso ristrutturazione e finanziamenti”. Stavolta la richiesta è arrivata dal direttore generale dell’associazione, Giovanni Sabatini, che nel suo intervento al convegno Credito al Credito ha sottolineato come tale capacità, fondamentale per la fase di uscita dalla crisi, sia “fortemente compressa” e determini rischi di default a catena per le aziende proprio a causa delle norme Ue.
“Preoccupa il rischio – ha evidenziato Sabatini – di anticipare i nuovi crediti deteriorati attraverso un set di regole, la nuova definizione di default e il calendar provisioning, che per effetto di un’applicazione automatica possano accelerare la situazione di difficoltà delle imprese, dimenticando invece che in questa fase, in occasione di una crisi che colpisce in modo asimmetrico, è necessaria sì la gestione del credito attenta e prudente ma in base ad analisi fatte caso per caso”. Per il direttore generale Abi, la preoccupazione delle istituzioni europee per l’ondata dei nuovi Npl sta infatti portando a un’anticipata rimozione di quella flessibilità prima consentita.
“È fondamentale in questa fase una gestione del rischio di credito per evitare il cliff effect, l’esplosione crediti deteriorati, evitando l’applicazione di norme automatiche. Valutiamo gli effetti delle regole, valutiamo l’opportunità di modifiche e di sospensioni temporanee”, ha quindi auspicato, aggiungendo che la durata della pandemia si sta rivelando superiore alle iniziali previsioni. Occorre dunque rafforzare il sostegno alle imprese, continuare con le misure emergenziali, prevedere una uscita graduale da queste misure “e intervenire sul quadro regolamentare affinché le banche possano svolgere pienamente il loro ruolo a supporto del piano di rilancio dell’Italia”.
Le istituzioni europee, ha ricordato l’Associazione bancaria, hanno consentito ampi margini di flessibilità per rispondere all’emergenza sanitaria: ad esempio con la modifica delle regole sugli aiuti di Stato (Temporary Framework), che ha consentito interventi straordinari in favore delle imprese danneggiate dalla pandemia, e con l’iniziativa dell’Eba che ha permesso alle banche una maggiore flessibilità nel trattamento prudenziale delle moratorie. A tal fine, Abi e Associazioni d’impresa hanno chiesto alla Commissione europea “l’estensione della durata dei finanziamenti coperti da garanzia pubblica nel quadro delle regole sugli aiuti di Stato; il periodo di ammortamento di questi finanziamenti è infatti troppo stretto per consentire a imprese, così duramente provate dalla pandemia, di rimborsare i prestiti e, allo stesso tempo, rilanciare la propria attività”.
I numeri delle moratorie e delle domande al Fondo di Garanzia Pmi mostrano “un lavoro immenso” che non va fermato perché “la domanda di credito rimane elemento prioritario a sostegno della ripresa”, ha sottolineato a questo proposito Francesco Giordano, vicepresidente Abi. “Registriamo il desiderio tornare a investire anche se con timidezza – ha aggiunto – C’è preoccupazione ma anche fiducia per le nostre imprese. Il sistema deve lavorare in sinergia in direzione della crescita”.
Sulla stessa lunghezza d’onda Emanuele Orsini, vice presidente per il credito di Confindustria, secondo cui l’aumento dell’indebitamento delle imprese non consente oggi di pensare ad una restituzione dei prestiti ottenuti con il Decreto liquidità nell’arco dei sei anni previsti. Se si vuole preservare la capacità di “fare il Pil e l’occupazione”, ha avvertito, le regole andranno modificate. A seguito della pandemia il debito delle imprese e’ cresciuto dell’8,5% e la capacità di rientro, stimata dall’ufficio studi di Confindustria, dai 2,2 anni ante Covid èbalzata in media a 5,4 anni con alcuni comparti, come l’ospitalità e il commercio in forte difficoltà.
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