Bhushan (ARK Invest Europe) non ha dubbi: le politiche governative influenzeranno ritmo e priorità del settore, ma la strada della transizione energetica è ormai segnata da economia, tecnologia e consumatori
Comunque vadano le elezioni presidenziali americane, per i titoli della transizione energetica sarà un successo. Non solo in caso di vittoria della democratica Kamala Harris. Anche se dovesse tornare alla Casa Bianca il repubblicano Donald Trump, infatti, la rivoluzione green non si fermerà, perché ormai profondamente radicata nelle dinamiche di mercato, nella domanda degli investitori e nell’innovazione. Parola di Rahul Bhushan, global head of index di ARK Invest Europe, secondo cui le politiche governative influenzeranno ritmo e priorità del settore, ma non cambieranno le dinamiche economiche sottostanti, divenute resistenti ai mutamenti del sostegno federale.
“Il passaggio alle energie rinnovabili si è evoluto da un approccio guidato dalla politica a uno saldamente ancorato all’economia”, spiega Bhushan, facendo notare come il solare e l’eolico ormai spesso raggiungano o battano il costo dell’energia tradizionale. E come il calo dei costi dell’accumulo abbia reso queste fonti sempre più redditizie. “Gli investimenti di capitale nell’energia pulita sono oggi guidati più dalle dinamiche di mercato che dalle politiche governative, con i fondi istituzionali fortemente posizionati su asset ESG-friendly”, sottolinea. Insomma, si tratta di qualcosa di ben più solido di una tendenza temporanea: “è un cambiamento strutturale nei mercati energetici”.
Prova ne è il fatto che le principali aziende a stelle e strisce hanno già inserito l’energia pulita nelle loro strategie a lungo termine. “Utilities come NextEra e giganti tecnologici con ambiziosi obiettivi Net Zero stanno sottoscrivendo PPA per assicurarsi energia rinnovabile per anni, e questo non solo per motivi ambientali, ma anche per la necessità di rimanere competitivi”, argomenta l’esperto. E a spingerle sono gli stessi consumatori, dipendenti e investitori che sempre più si aspettano venga data priorità alla sostenibilità. “L’energia pulita è passata da un ‘nice-to-have’ a un imperativo strategico a lungo termine”, evidenzia Bhushan.
In caso di vittoria democratica, secondo l’esperto, le aziende che operano nei settori del solare, dell’eolico, delle batterie e dei veicoli elettrici potrebbero godere di un proseguimento del sostegno federale, che comprende crediti d’imposta e incentivi per rendere le rinnovabili più accessibili. “Aziende come Tesla, Sunrun e First Solar, che hanno allineato le loro strategie ai sussidi federali, continuerebbero a trarre vantaggio dalla probabile continuazione da parte di Harris della traiettoria politica di Biden”, chiarisce. Precisando però che i titoli azionari del settore petrolifero e del gas hanno spesso registrato performance positive sotto le amministrazioni democratiche. E che sotto Biden gli Stati Uniti hanno raggiunto il picco di produzione di idrocarburi, rappresentando ora il 20% della produzione globale.
Perché Trump non è una minaccia
Cioè che più spaventa il settore è però un possibile Trump 2.0. Tuttavia per Bhushan è difficile che un’amministrazione repubblicana si opponga apertamente all’energia pulita: piuttosto potrebbe enfatizzare una strategia ‘all-energy’ che includa il nucleare, il gas naturale e le fonti rinnovabili, per promuovere l’indipendenza energetica degli USA. “La posizione di Trump si è evoluta verso una visione più inclusiva, considerando l’energia pulita come una componente essenziale della futura economia americana, dato il suo ruolo nella creazione di posti di lavoro e nell’innovazione tecnologica”, spiega. Chiarendo che il sostegno del presidente a un mix energetico più diversificato potrebbe quindi rafforzare le imprese a stelle e strisce in tutto il settore, senza escludere le rinnovabili.
Non solo. Anche se un’abrogazione dell’IRA sotto Trump potrebbe creare alcuni ostacoli ai progetti di energia pulita, l’esperto fa notare che Biden ha allocato strategicamente fino al 90% dei fondi entro la fine dell’anno fiscale 2024, rendendo difficile una cancellazione completa e probabilmente proteggendo il settore da grandi battute d’arresto. Al contrario, per Bhushan l’orientamento al libero mercato del tycoonpotrebbe favorire invece indirettamente le tecnologie energetiche pulite, concentrandosi sulla competitività e sull’efficienza. “È probabile che il capitale privato continui a confluire in questi settori per i loro vantaggi intrinseci, anche se gli incentivi federali espliciti vengono ridimensionati”, sostiene.
Il ruolo dei governi statali e locali
Infine, per l’esperto non bisogna dimenticare il potere che i governi statali e locali hanno nella politica energetica. “Stati come la California e New York hanno fissato obiettivi climatici ambiziosi che hanno spinto gli investimenti nelle rinnovabili anche quando le politiche federali tendevano alla deregolamentazione”, fa notare. Aggiungendo che oltre la metà dell’economia statunitense è rappresentata nell’U.S. Climate Alliance, che si impegna a ridurre le emissioni in linea con l’Accordo di Parigi. “A livello internazionale, inoltre, la domanda di energia pulita rimane forte. Le aziende USA comprendono il vantaggio di posizionarsi all’interno di questa nuova economia verde, e probabilmente si adatteranno a prescindere dai cambiamenti delle politiche federali”, assicura.
Insomma, Bhushan non ha dubbi sul fatto che la transizione green abbia oggi uno slancio di mercato abbastanza resiliente rispetto ai cambiamenti politici. “L’innovazione nei settori dell’idrogeno verde, dell’accumulo di batterie, del solare e dell’eolico sta trasformando l’energia globale al di là di ciò che ogni singola amministrazione può influenzare”, afferma. Che arrivi un’amministrazione Harris a raddoppiare il sostegno federale o un’amministrazione Trump 2.0 a porre l’accento su un mix energetico più ampio, “la strada da percorrere è ormai segnata dall’economia, dalla tecnologia e dalla domanda dei consumatori, per cui l’energia pulita continuerà a prosperare”, conclude.
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