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L’indebolimento del dollaro e il maggior stimolo fiscale in Cina avranno un effetto positivo. Ma gli investimenti devono essere selettivi. I casi di Turchia e Argentina
Fed e guerra commerciale sono le variabili che decideranno l’andamento dei mercati emergenti nella seconda parte dell’anno. “Da inizio anno a oggi la performance dei mercati emergenti in valuta forte è stata sostenuta dalla posizione più morbida della Fed e dalla forza dei fondamentali di questi Paesi– dice Francesco Lomartire, responsabile di Spdr Etfs per l’Italia – A fornire sostegno nel secondo semestre del 2019 potrà essere in primis l’atteggiamento più accomodante della Fed. Attualmente il mercato sta scontando un’elevata probabilità di taglio dei tassi da parte della Fed a fine luglio e la guidance del Fomc sembra ispirata alla pazienza in attesa della pubblicazione dei prossimi dati economici. Questa posizione più accomodante ha offerto supporto alle asset class più rischiose, inclusi i paesi emergenti, e dovrebbe perdurare perché la crescita statunitense mostra segni di rallentamento, da un lato, e di indebolimento dell’inflazione, dall’altro”.
L’altro fattore rilevante è la possibilità di un accordo nella guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. “È indubbio che il clima di tensione degli ultimi mesi ha certamente influito sul sentiment in merito ai mercati emergenti– spiega Lomartire – Il nostro team di ricerca Macro & Policy ritiene tuttavia che il raggiungimento di un accordo sia ancora possibile nel 2019: in particolare ci sarebbe un 65% di possibilità che si verifichi uno scenario che abbiamo definito pained deal, dove gli attuali dazi resterebbero in vigore, ma senza ulteriori escalation. Una volta raggiunto un accordo e alcuni progressi su questioni non legate ai dazi, questi ultimi potrebbero essere aboliti. La portata e il livello di dettaglio dell’accordo sarebbe probabilmente inferiori a quanto previsto in precedenza, ma riteniamo che questo dovrebbe essere un risultato positivo per gli investimenti nei mercati emergenti”.
Ma se invece l’escalation proseguisse, potrebbe per effetto di diverse dinamiche portare effetti positivi per molti paesi emergenti nella seconda metà dell’anno. Lo afferma Angelika Millendorfer, head of equities, Cee & Global Emerging Markets di Raiffeisen Capital Management: “È probabile che il governo cinese sostenga l’economia con ulteriori stimoli fiscali e monetari e, in caso di dubbio, preferirebbe adottarne un po’ di più che troppo pochi. Non solo per ridurre l’impatto negativo sulla propria economia, ma anche per migliorare la propria posizione negoziale nei confronti di Trump con un’economia solida. Di conseguenza, anche l’economia globale e soprattutto molti paesi emergenti dovrebbero beneficiare di tali stimoli. Nonostante gli sviluppi politici negativi delle ultime settimane e molti indicatori congiunturali globali al momento ancora deboli, rimaniamo quindi ottimisti anche per il resto dell’anno”.
E, aggiungono da Raiffeisen Capital Management, anche l’indebolimento del dollaro Usa nei prossimi mesi potrebbe, “unitamente al calo dei rendimenti delle obbligazioni Usa, stimolare le obbligazioni e le azioni dei Paesi emergenti. Un rischio per questa prospettiva è il pericolo di un conflitto militare tra Usa e Iran, finora ampiamente ignorato dai mercati”. Intanto, rileva che alcune economie emergenti abbiano seguito un trend opposto a quello del mercato a maggio, quando l’Msci Em ha ceduto oltre il 7% e i mercati sviluppati il 6%: Russia e India, hanno segnato un guadagno netto”.
Come al solito quando si parla di mercati emergenti è necessario fare molti distinguo e selezionare attentamente. Persino in economie compromesse come quelle di Turchia e Argentina, in cui a fronte di una delle più alte volatilità attese nei mercati emergenti, “ci sono crediti individuali che offrono un buon valore”, secondo Alejandro Arevalo, gestore della strategia Emerging Market Debt di Jupiter Asset Management, che fa della gestione attiva la regola per beneficiare di questo valore: “Deteniamo una posizione in obbligazioni sovrane turche, che sono liquide e possono essere efficacemente coperte attraverso i credit default swap. Deteniamo una posizione limitata sul debito corporate turco, in quanto non è possibile mitigare così facilmente i risultati negativi; le valutazioni societarie sembrano elevate in considerazione del recente rally e preferiamo avere cautela, dato che la scatola nera della spesa sconosciuta della Turchia probabilmente non sarà una notizia positiva per gli asset rischiosi. Questo approccio conservativo di detenere debito sovrano liquido significa che possiamo beneficiare dei rally all’interno della Turchia, ma siamo abbastanza vicini alla “porta di uscita” in caso di volatilità”.
Per quanto riguarda l’Argentina, il cui Pil è calato del 2,5% nel 2018 e l’inflazione si è attestata a un mirabolante 47,6%, Arevalo suggerisce un posizionamento opportunistico “nell’ambito dei corporate bond che possano offrire un carry interessante a valutazioni inferiori rispetto all’indice più ampio. Dati i rischi idiosincratici, ci aspettiamo che i titoli di Stato siano vulnerabili alla volatilità valutaria, quindi non siamo esposti al Peso. A differenza del nostro posizionamento in Turchia quindi, crediamo che i corporate bond in Argentina siano meglio posizionati per resistere alla volatilità. Preferiamo le società difensive come i servizi pubblici e gli aeroporti; gli aeroporti internazionali dell’Argentina, ad esempio, beneficiano di bassi livelli di indebitamento e di entrate generate in dollari, che fungono da copertura contro la volatilità della valuta locale”.