Azionario value, puntare su un approccio Esg
Simar (NN IP): “In una fase di rallentamento, gli investitori devono concentrarsi su azioni di buona qualità e a basso rischio”
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“Le immagini delle mazzette di banconote praticamente prive di valore dello Zimbabwe o del Venezuela necessarie per acquistare prodotti di base come il pane e la carne che spesso sono comparse sui social media sottolineano chiaramente l’importanza della governance nelle economie dei mercati emergenti. Ma cercare di scoprire i segnali che indicano come stanno cambiando le condizioni, se in meglio o in peggio, è difficile”.
Così Mary-Therese Barton, head of emerging market debt di Pictet Asset Management, descrive la situazione attuale dei Paesi in via di sviluppo, richiamando l’importanza di un’integrazione dei fattori Esg da parte anche dei gestori obbligazionari: “A complicare ulteriormente le cose ci sono le dimensioni sociali e ambientali che potrebbero svolgere ruoli altrettanto critici nelle scelte di investimento. Per esempio, la deforestazione in atto ad Haiti e la Primavera araba hanno prodotto come conseguenza drammatica la totale svalutazione delle rispettive valute. Ma gli investitori hanno fatto molta fatica a valutare le caratteristiche ambientali, sociali e di governance dei Paesi in modo onnicomprensivo o sistematico, soprattutto nei mercati del reddito fisso”.
Una ragione per cui gli investitori in obbligazioni sovrane sono stati notevolmente più lenti rispetto a quelli azionari nella capacità di riconoscere l’importanza dei fattori Esg è una relativa mancanza di informazioni di qualità. Mentre i fattori Esg vengono sempre più quantificati a livello di aziende e utilizzati per l’’investimento in azioni e credito, ci sono state meno ricerche sul modo in cui tali parametri influiscono sul merito creditizio degli Stati.
“Recentemente, tuttavia, i servizi di consulenza e le agenzie di rating hanno risposto alla crescente domanda di analisi Esg basata sui titoli sovrani – argomenta Barton – Si tratta di una tendenza che è destinata a crescere, in quanto gli investitori vedono la diretta dimostrazione della correlazione tra il punteggio dei Paesi in base a diversi criteri Esg e la performance delle loro obbligazioni”. Per esempio, è sempre più evidente la correlazione tra una buona governance e un minore rischio di insolvenza sovrano e l’andamento degli spread. Un altro recente studio ha evidenziato che mentre il cambiamento climatico ha aumentato il costo medio del debito dei Paesi emergenti di 117 punti base, coloro che hanno investito in adeguamento sociale sono riusciti a ridurre i costi di 67 punti base.
“Ma anche se i rating delle agenzie aiutano, non sono un rimedio magico – puntualizza ancora l’esperto di Pictet Am – L’analisi dei criteri Esg per Paese non è una scatola nera in grado di emettere responsi inequivocabili. Innanzitutto, alcuni criteri Esg non cambiano molto o spesso. In secondo luogo, questi fattori possono avere effetti variabili sulle economie”. Vale a dire che alcuni contano più di altri; dipende tutto dalle circostanze particolari di ciascun Paese. E tutti necessitano di un approccio delicato per l’integrazione dei fattori Esg con criteri di valutazione più tradizionali.
“L’approccio più redditizio all’investimento Esg nel debito governativo potrebbe essere un approccio che riguardi l’intero settore – continua Barton – Dato che i fattori Esg tendono a evolvere su orizzonti temporali più estesi, la loro inclusione nei processi di costruzione dei portafogli richiede un coinvolgimento di lungo termine da parte degli istituti che investono. Ciò comprende, senza esservi limitato, il contatto diretto con mutuatari sovrani, un rapporto continuo con i ministri del Tesoro attraverso incontri di persona, lettere, questionari mirati e domande relative ai criteri ESG nel corso di roadshow – conclude – A volte può anche voler dire spiegare a dipendenti pubblici cosa sono gli Esg e perché sono importanti”.