India, con i cambiamenti climatici a rischio il 2,8% del Pil
E in molti settori stanno nascendo interessanti occasioni d'acquisto. I casi di Marico, Ultratech e Titan Company
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La domanda globale di energia continua ad aumentare. Lo rivela la ventunesima edizione del World Energy Markets Observatory, report annuale realizzato in collaborazione con De Pardieu Brocas Maffei e Vaasa ETT, secondo cui nel 2018 si è registrato un ulteriore incremento, che ha fatto salire anche le emissioni di gas serra. Si allontana quindi il raggiungimento degli obiettivi della lotta al cambiamento climatico.
Nonostante la continua crescita delle fonti di energia rinnovabili e il calo dei loro relativi costi, carbone, petrolio e gas restano il fulcro del crescente consumo di energia. La transizione energetica è inoltre minacciata da tensioni geopolitiche e commerciali e dal calo degli investimenti in energia pulita. Di conseguenza, con la mancanza di misure più audaci che vadano al di là delle attuali politiche di transizione energetica, è molto probabile che non si riescano a raggiungere gli obiettivi fissati dall’accordo di Parigi.
Stando al report, gli sforzi per ridurre le emissioni di gas serra hanno raggiunto una fase di stallo nel 2018, con un incremento del 2% nelle emissioni, rispetto al +1,6% nel 2017 e a un blocco nel periodo 2014-2016. Le emissioni sono aumentate del 2,3% in Cina, del 3,4% negli Stati Uniti e del 6,4% in India. Questi incrementi sono stati trainati dal boom del consumo energetico, che nel 2018 è cresciuto del 2,3% a livello globale, quasi il doppio del tasso di crescita medio annuale riportato dal 2010. Quasi il 75% di questo incremento (la percentuale più alta dal 2013) è dovuto al consumo di petrolio, gas e carbone. A livello mondiale è stato registrato un aumento del 4% nel consumo di carbone, con una crescita significativa della produzione di energia da esso generata.
Le energie rinnovabili hanno mantenuto il loro status di fonte energetica in più rapida crescita a livello mondiale, registrando un +14,5% nel 2018. Le fonti di energia rinnovabile continuano a essere sempre più economiche, con un calo del 13% nei prezzi del fotovoltaico e dell’eolico onshore, insieme a una riduzione dell’1% nel prezzo dell’energia eolica offshore. Si sta tuttavia assistendo a un calo degli investimenti in energia pulita, che nella prima metà del 2019 si sono attestati a 217,6 miliardi di dollari, il 14% in meno rispetto allo stesso periodo del 2018. La diminuzione è stata particolarmente drastica in Cina (-39%), mentre negli Stati Uniti e in Europa è stata più moderata (rispettivamente del 6% e del 4%). In India, invece, gli investimenti sono aumentati del 10%, raggiungendo i 5,9 miliardi di dollari.
Il report evidenzia che, entro il 2040, tecnologia e digitale porteranno a trasformazioni significative. I costi delle energie rinnovabili continuano infatti a diminuire, ma i soft costs (spese di architettura, ingegneria, finanziamento e legali e altre spese pre e post costruzione) e i costi di intermittenza e distribuzione dell’energia al momento rappresentano un ostacolo alla piena competitività di queste tecnologie rispetto alla maggior parte delle fonti di produzione di energia elettrica programmabili. Non ci si aspetta l’industrializzazione di innovazioni tecniche in campo energetico prima del 2040, ma il miglioramento delle tecnologie esistenti continuerà a portare a una riduzione nel costo di energie rinnovabili, batterie elettriche, veicoli elettrici e reattori nucleari modulari di piccole dimensioni. L’idrogeno per stoccaggio e mobilità, così come la superconduttività, dovrebbero inoltre essere in fase di sviluppo ed è anche cresciuto il numero di centrali di produzione di energie rinnovabili ibride.
“La quota variabile nella produzione di energia rinnovabile dovrebbe aumentare grazie a tecnologie digitali come sensori, oggetti connessi, strumenti per la raccolta di dati, intelligenza artificiale, smart grid diffuse su larga scala e demand-response, migliorando le previsioni e l’efficienza operativa – spiega Marco Perovani, energy and utilities director di Capgemini Business Unit Italy -. L’unione di tecnologie digitali e di settore rende i confini di separazione tra i player sempre meno netti e ogni mese assistiamo all’ingresso di nuovi attori sul mercato, fattore che sta spingendo gli operatori tradizionali a reinventarsi e proporre nuovi modelli di business attraverso ecosistemi”.
A guidare la transizione verso un mondo a basse emissioni di carbonio è l’Europa. Il Vecchio Continente si sta infatti dimostrando finora la regione più efficace nella lotta al cambiamento climatico e nell’attuazione della transizione energetica. La crescita della domanda energetica è stata nettamente inferiore a quella del resto del mondo, registrando uno 0,2% nel 2018 rispetto al livello globale del 2,3%. La Germania è il paese più all’avanguardia, con una riduzione nella domanda del 2,2%.
Tutto questo fa sì che l’Europa sia sulla buona strada per raggiungere due dei tre obiettivi climatici fondamentali fissati per il 2020: ridurre del 20% le emissioni di gas serra rispetto al 1990 e garantire che le energie rinnovabili rappresentino almeno il 20% del consumo energetico. I governi nazionali hanno recentemente confermato i piani di riduzione delle emissioni di carbonio, con la Francia che intende cessare la produzione di energia elettrica proveniente dal carbone entro il 2022 e produrre il 50% dell’elettricità da fonte nucleare entro il 2035. La Germania, invece, vuole eliminare completamente tutte le centrali a carbone – che l’anno scorso rappresentavano il 37% della produzione di elettricità del paese – entro il 2038. Sembra tuttavia difficile il raggiungimento degli obiettivi fissati per il 2030 e per gli anni successivi.
Pesano però le tensioni geopolitiche, che si rivelano essere sempre più interconnesse con le preoccupazioni in ambito energetico. Sia Stati Uniti che Cina hanno infatti sfruttato la crescente posizione dominante sul mercato dell’energia a loro vantaggio nelle questioni geopolitiche. La crescita della produzione di shale ha permesso agli Stati Uniti di non essere più dipendenti dal Medio Oriente: entro il 2025 si prevede che questo combustibile rappresenterà oltre la metà della crescita globale nella produzione di petrolio e gas (rispettivamente 75% e 40%). Questa nuova indipendenza per quanto riguarda il greggio ha permesso all’amministrazione di inasprire i rapporti con alcuni paesi dell’OPEC, come Iran e Venezuela. La Cina, invece, produce il 95% dei metalli rari necessari per accelerare la transizione energetica, un grande vantaggio strategico per il paese.
Quanto a Cina e India, grandi consumatori e produttori di CO2, questo due Paesi hanno posizioni molto diverse sui mercati dell’energia. La Cina ha consolidato la sua posizione di leadership come uno dei principali mercati sviluppati, dove l’energia viene fornita a tutti gli abitanti grazie allo sviluppo di centrali a carbone, una quota del 70% sul mercato mondiale, e alla capacità delle batterie installate (61%).Pechino è leader nella fornitura della maggior parte delle tecnologie correlate (ad esempio per quanto riguarda i combustibili fossili, le energie rinnovabili e lo stoccaggio, 7 dei 10 maggiori fornitori mondiali di apparecchiature sono cinesi). Mentre i pannelli solari cinesi a basso costo si stanno diffondendo, il report evidenzia che la Cina potrebbe in futuro diventare anche un leader nella tecnologia nucleare, con due Epr (reattori nucleari ad acqua pressurizzata) già connessi con successo alla rete. Pechino si occupa inoltre della fornitura del 95% della domanda globale di metalli rari, utilizzati in applicazioni high tech. L’India invece si concentra maggiormente su come fornire l’elettricità a tutti i suoi abitanti (ad esempio con il programma “24/7 Power for all”). Entrambi i paesi saranno fortemente dipendenti dalle centrali a carbone per almeno altri due decenni al fine di soddisfare la crescente domanda interna di energia e resteranno grandi produttori di CO2.
Insomma, c’è ancora molto da fare per raggiungere gli obiettivi climatici. Dalle conclusioni del report emerge infatti che, alla luce degli attuali trend di consumo, gli obiettivi esistenti in materia di cambiamento climatico sembrano irraggiungibili. Tuttavia, per creare un impatto significativo, i governi devono andare oltre le misure di transizione energetica già in vigore. Il report raccomanda di: aumentare i prezzi del carbone in modo da stimolare investimenti in fonti di energia carbon-free; incrementare l’uso e la dipendenza da energie rinnovabili; sviluppare infrastrutture di ricarica dei veicoli elettrici; aumentare i finanziamenti per sviluppare soluzioni per la cattura, l’uso e lo stoccaggio del carbonio; promuovere tecnologie pulite per la combustione del carbone nelle centrali elettriche; dedicare il 100% del gettito delle imposte ambientali a progetti di transizione energetica (dall’attuale livello inferiore al 50%); avviare la ristrutturazione degli edifici per renderli più efficienti dal punto di vista energetico; promuovere la collaborazione tra istituzioni pubbliche e finanziarie per il raggiungimento degli obiettivi; avviare programmi che favoriscano il cambiamento dei comportamenti dei singoli individui.
“I dati del report sono un campanello d’allarme per il mondo intero – conclude Perovani – . Con l’aumento della domanda globale di energia e il consumo di combustibili fossili, gli obiettivi dell’accordo di Parigi sembrano più lontani che mai. Va sottolineato il fatto che stiamo assistendo a questi trend abbastanza preoccupanti anche se le fonti di energia rinnovabile diventano sempre più accessibili e predominanti. Nel breve termine abbiamo bisogno di misure e politiche più coraggiose al fine di ridurre le emissioni ed evitare di allontanarci sempre di più dagli obiettivi dell’accordo di Parigi, a cominciare dall’impegno che ogni dollaro raccolto dalle tasse ambientali andrà a favore di progetti di transizione energetica”.