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Fida ha analizzato i prodotti di categoria distribuiti in Italia. Rinnovabili meglio nel lungo termine, ma sul breve pagano più le fonti fossili. Infrastrutture il settore ideale per costruire un’esposizione al tema. Ma nel mondo passivo, lo scettro va all’uranio
Non cala l’interesse degli investitori tricolore per il settore energy & natural resources. L’ultima a confermarlo è stata Bain & Company Italia, che nel suo ultimo Osservatorio ha mostrato come nella Penisola ci siano 60 fondi che gestiscono oltre 100 portfolio company del comparto per un ebitda pari a oltre 3,7 miliardi di euro. Ma proprio mentre la Cop29 di Baku entra nel vivo, con il dibattito che si focalizzerà giocoforza sull’urgenza di attuare la transizione energetica, crescono gli interrogativi degli addetti ai lavori su quanto solare o eolico siano remunerativi per i portafogli. FocusRisparmio ha quindi passato in rassegna i prodotti dedicati alle energie tradizionali e alternative per capire se la finanza verde sia matura anche sul fronte delle performance finanziarie. Un’analisi che ha messo a confronto non solo asset class diverse ma anche strumenti con opposti stili di gestione: fondi attivi e ETF.
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Sul breve meglio le energie tradizionali
A circoscrivere l’universo d’osservazione è stata Fida (Finanza Dati Analisi), azienda di sviluppo applicazioni software per i servizi finanziari e di analisi dati nel risparmio gestito, che ha passato in rassegna gli andamenti realizzati fino al 5 novembre 2024 dai prodotti della categoria. Un lavoro condotto con l’ausilio degli indici proprietari FIDA FEI e FIDA FFI, che offrono una panoramica proprio sulle performance dei fondi e degli ETF specializzati sia nell’energia tradizionale sia nelle energie alternative.

Come spiegato da Monica Zerbinati, financial analyst della società, il primo gruppo ha fatto registrare una performance positiva sia con riguardo ai prodotti attivi che all’interno dell’universo passivo. “FIDA FEI ha registrato un rendimento del 5,90%”, ha detto, “mentre FIDA FFI ha ottenuto un incremento del 5,57%”. Si tratta di risultati che riflettono la resilienza di petrolio e gas, un fenomeno ricondotto dall’esperta sia alla ripresa economica post-pandemica sia alle maggiori tensioni geopolitiche. Le energie alternative hanno invece registrato una performance negativa, influenzate dall’aumento dei tassi di interesse e da una certa disillusione degli investitori riguardo ai tempi di recupero degli investimenti. “La nostra metrica dedicata ai prodotti attivi ha riportato un rendimento del -2,81% e quella sui passivi ha mostrato un calo del 6,61%”, è stata la conclusione di Zerbinati.
Ma il lungo periodo gioca a favore delle fonti green
Lo spaccato per le fonti tradizionali non cambia neppure ampliando gli orizzonti a un periodo di tre anni. In questo arco temporale hanno infatti generato rendimenti robusti, con l’indice dedicato agli ETF che è salito del 57,49% e quello incentrato sui fondi attivi in crescita del 41%. Un andamento che, per Zerbinati, testimonia come i prezzi elevati delle risorse fossili abbiano garantito buoni ritorni agli investitori e ne confermino il ruolo di asset chiave per portafogli orientati all’energia. Stesso discorso per le ‘cugine’ alternative, che continuano a caratterizzarsi per la presenza del segno meno: FIDA FFI Az. Sett. Energie Alternative ha perso il 21,05% mentre FIDA FEI Az. Sett. Energie Alternative ha lasciato sul terreno il 41,07%. Questa volta la performance sembra figlia delle difficoltà riscontrate dal settore, compresa l’elevata volatilità e la lentezza dei profitti nei progetti di energia rinnovabile in scia alla maggiore sensibilità ai tassi di interesse. I primi segnali di recupero arrivano però sui dieci anni, con il comparto che registra un aumento di rendimento del 106,23% nella categoria fondi e uno del 66,07% in quella ETF. “Nonostante le sfide a breve e medio termine”, spiega l’esperta di FIDA, “il settore delle rinnovabili ha dimostrato un significativo potenziale di crescita nel lungo periodo”. E per l’analista, gli investimenti in innovazione e la crescita della domanda globale di soluzioni sostenibili potrebbero sostenere questa tendenza anche in futuro.
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Da eolico, solare & Co un’opportunità per il lungo periodo
Secondo Zerbinati, la differenza di prestazioni delle due categorie sui diversi orizzonti temporali rappresenta la prova che diversificare rimane la parola d’ordine per gli investitori interessati al settore. “In un contesto geopolitico teso come quello attuale”, spiega l’esperta, “le fonti tradizionali offrono stabilità e rendimenti costanti nel breve-medio termine mentre quelle rinnovabili rappresentano un’opportunità di crescita nel lungo termine grazie alla transizione energetica globale”. In sostanza, dal suo punto di vista, la volatilità e le sfide attuali potrebbero scoraggiare chi cerca profitti immediati da eolico o solare ma forniscono un’opzione interessante per chi ha un orizzonte temporale esteso e una maggiore tolleranza al rischio. Va poi considerato che la correlazione tra le due assets class non è fissa e dipende da una serie di fattori economici, politici e di mercato. “Spesso tende a essere negativa in contesti di alta volatilità delle commodities e costo del denaro in crescita”, ha concluso l’analista, “ma può essere positiva in momenti di stabilità e di crescita economica”.
Le classifiche

In testa alla classifica dei fondi attivi incentrati sulle energie tradizionali figura due volte Goldman Sachs, che conquista la medaglia d’oro per rendimento year-to-date con il suo North America Energy & energy infrastructure (+19,74%) e il secondo gradino del podio con Goldman Sachs Global Environmental Transition Equity (+10,09%). La prima è una strategia di investimento da 65 milioni di dollari di patrimonio totale che investe principalmente in azioni di società energetiche nordamericane, con particolare attenzione ai player attivi nel comparto infrastrutturale (cosiddetto midstream). La seconda è una soluzione articolo 8 che mira a battere lo MSCI ACWI focalizzandosi sui titoli di aziende dall’alto impatto ambientale ma che stanno passando a un’impronta ecologica più bassa: estrazione e generazione di energia ma anche manifattura, trasporti e consumo alcuni dei settori attenzionati. Da segnalare la presenza al terzo posto di una casa italiana, Mediolanum, capace di realizzare il 7,7% da inizio anno con un fondo azionario globale che alloca parte delle proprie risorse anche all’universo dei servizi pubblici e delle utility.
Più contesa la top 5 relativa alle energie alternative, dove Smart Energy Equities di Robeco (+9,11%) viene seguito dai prodotti di quattro asset manager diversi tra i quali Pictet e Invesco. Un menzione merita in questo caso il focus sviluppato da CPR Invest Hydrogen, che mira a sovraperformare i mercati azionari globali nel lungo periodo (minimo cinque anni) investendo in azioni di società internazionali impegnate in qualsiasi fase dell’economia dell’idrogeno.

In testa alla classifica degli ETF incentrati sulle energie tradizionali c’è Alerian Midstream Energy Dividend (+35,59%), che mira a fornire un’esposizione diversificata alle società energetiche midstream coinvolte nella filiera del petrolio e del gas naturale nei mercati statunitense e canadese. Anche in questo caso compare Invesco, che si posiziona sul terzo gradino del podio con un prodotto dedicato nello specifico al mercato USA. Tra le soluzioni con focus sulle rinnovabili, spica invece il primato del fondo sull’uranio di VanEck: si tratta infatti di una commodity che nei primi mesi del 2024 è stata protagonista di un inteso rally di mercato in scia all’attivazione di importanti programmi di investimento pubblici sul nucleare.
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