Il risultato delle elezioni Usa sarà dirimente nel definire la strada del Paese sull’impegno ambientale, in Europa la partita si gioca sul piano regolatorio e delle politiche fiscali. Ne parla Mangilli di IMPact Sim
Dario Mangilli, head of sustainability di IMPact Sim
La prossima partita sulla sostenibilità si gioca a livello politico. Negli Stati Uniti, dove il risultato delle elezioni presidenziali avrà un impatto dirimente e sancirà se sarà o meno possibile, a livello globale, raggiungere i target degli Accordi di Parigi; in Europa, dove non solo l’Ue mira a diventare l’area leader mondiale per il rispetto dell’ambiente, ma a livello di politica fiscale ci si aspetta un forte boost per la transizione energetica e a livello regolatorio potrebbe arrivare una spinta decisiva per gli investimenti sostenibili; e anche in Cina, oggi il più grande produttore di CO2, ma già impegnato in una trasformazione che potrebbe cambiare la strategici di interi settori. A spiegarlo a FocusRisparmio è Dario Mangilli, head of sustainability di IMPact Sim.
Qual è il quadro politico entro il quale si inseriscono i trend della finanza sostenibile e quali sono le variabili che potrebbero influenzarli?
I trend della finanza sostenibile, ormai diventati mainstream – vanno osservati nelle tre regioni con maggiore impatto in termini di volume di investimenti e dinamiche politiche: Usa, Europa e Cina.
Partiamo dall’area in cui le idee su come muoversi sono più chiare, cioè l’Europa, che ha assunto una posizione di leadership nell’annunciare l’intenzione di essere la prima area al mondo a raggiungere la carbon neutrality – cioè in cui la produzione di CO2 sarà interamente compensata dalla capacità di assorbimento – entro il 2050. Questo tipo di ambizione apre uno scenario potenzialmente rivoluzionario, che impone straordinarie trasformazioni in diversi settori.
Il cambiamento climatico è uno dei problemi principali che minaccia il pianeta oggi assieme alla pandemia, cui si aggiunge il problema del lavoro, in un contesto in cui sia l’impatto della crisi sia l’aumento dell’automazione faranno crescere la disoccupazione. È in questo contesto che la finanza sostenibile sta prendendo sempre più piede.
Sul fronte del cambiamento climatico, per raggiungere i target degli Accordi di Parigi – limitare l’aumento medio della temperatura mondiale ben al di sotto di 2°C nel lungo termine – gli incrementi di capacità di generazione di energia elettrica dovranno essere prodotti esclusivamente con rinnovabili. Sulla mobilità saranno necessari grandi sforzi sulle emissioni di auto e mezzi pesanti, che contrariamente a quanto si pensa (di solito si dà la colpa ad aviazione e trasporto marittimo) rappresentano una quota importante dell’inquinamento prodotto. Sarà necessario che prenda piede anche l’idrogeno come tecnologia per la mobilità – soprattutto per i mezzi pesanti, per i quali la strada dell’alimentazione elettrica rischia di non essere la scelta più efficiente. L’idrogeno come tecnologia chiave della transizione energetica è ancora all’inizio del suo sviluppo, ma le potenzialità di crescita sono molto significative.
E sul fronte normativo?
Il trend normativo sarà importante per creare un terreno di gioco in cui i flussi di capitale possono essere reindirizzati verso la transizione energetica. In questo quadro gioca un ruolo chiave la tassonomia europea, che definisce formalmente che cos’è un investimento sostenibile e punta a evitare il cosiddetto greenwashing.
Queste dinamiche creeranno opportunità su tutti i settori posizionati su climate change, su adaptation e mitigation, gestione delle risorse idriche, economia circolare, prevenzione dell’inquinamento, protezione della biodiversità e degli ecosistemi.
Per quanto riguarda il quadro regolatorio, dal 2015 la direttiva sulla non financial disclosure spinge tutti gli operatori finanziari a chiarire come integrano i rischi di sostenibilità nei propri processi di investimento, e anche se la pandemia ha un po’ sparigliato le carte questo trend non farà che rafforzarsi.
In questo quadro si inserisce anche la pandemia, e con essa le iniziative di politica fiscale. Quali sono le conseguenze di questa situazione sul fronte della sostenibilità?
Sì, all’emergenza ambientale si è aggiunta negli scorsi mesi la pandemia, che ha portato l’accelerazione di alcuni trend sottostanti già presenti e ha letteralmente stravolto interi settori, che rischiano di non poter mai più recuperare la struttura pre-pandemica. In Italia prevedo una situazione catastrofica, soprattutto per i giovani, una volta che verrà rimosso il blocco dei licenziamenti. In generale, occorrerà investire molto per poter rilanciare l’Europa lungo una traiettoria di crescita sostenibile, sia dal punto di vista ambientale sia sociale, con una ridefinizione del mercato del lavoro.
E la Cina?
La Cina è il più grande produttore di C02, e vuole diventare carbon neutral entro il 2060: un obiettivo che comporta uno stravolgimento totale della strategicità dei settori. Adesso il Paese sta scommettendo sul controllo verticale di catene del valore che riguardano l’elettrificazione a livello globale.
Passando a un tema di scottante attualità, c’è anche l’incognita del voto Usa per le presidenziali. Dove tutti si aspettano una vittoria di Biden, ma già in passato si sono verificati dei colpi di scena…
Negli Usa siamo a un bivio, e il risultato delle elezioni sarà dirimente, anche se la decentralizzazione e le scelte delle amministrazioni locali potrebbero ridurre l’impatto del risultato sulla traiettoria legata alla transizione energetica.
Non darei per scontata la vittoria di Joe Biden. Il candidato democratico è favorito, ma il noto big data analyst Nate Silver, che solitamente vanta un grado di precisione più elevato rispetto alla media degli altri sondaggi, dà la probabilità di una sua vittoria a 6 a 1, più bassa di quanto stimato da altri. Vediamo tra i fattori in grado di influenzare il voto l’iniezione di incertezza data dal Covid-19 e il recentissimo nuovo aumento dei contagi in alcuni stati chiave del Midwest, in particolar modo la Pennsylvania, che con l’Ohio è uno degli stati in cui Biden è favorito ma in cui il rischio di possibili sorprese non è trascurabile. Tra gli abitanti della Sun Belt – prevalentemente working class, bianca, tra quelli che meno hanno beneficiato della globalizzazione – la preferenza dovrebbe andare a Trump. Anche l’affluenza potrebbe essere un elemento importante, perché ci sarà la più grande partecipazione elettorale vista dal 1908 in poi, ma non è ancora chiaro chi andrà a votare, e se alla fine la bilancia penderà per Biden o per Trump.
Se vincesse Trump si rischierebbe di perdere altri anni preziosi, alimentando ulteriormente l’incertezza sul raggiungimento degli obiettivi degli Accordi di Parigi, quasi impossibile senza il contributo degli Stati Uniti.
Biden invece ha preso posizioni abbastanza chiare sulla transizione, sicuramente con l’impegno a ridurre la dipendenza dai combustibili fossili, sebbene vada ricordato che il settore impiega molte persone e gioca un ruolo fondamentale in molti swing state. In caso di transizione verso rinnovabili molti americani potrebbero perdere il lavoro e questo non è un problema secondario.
Questo problema, in modo diverso, potrebbe porsi anche in Europa…
In Europa, il Recovery Fund è il piano di rilancio più verde mai concepito, un vero piano Marshall ecologico: dei 750 miliardi sul tavolo, il 30% ha un vincolo di utilizzo per la transizione energetica. Ma va ricordato che l’industria del carbone e del gas conta ancora molto in Europa in termini di occupazione, per cui probabilmente si procederà in un’ottica di compromesso, ragionando non per obiettivi nazionali ma per obiettivi complessivi a livello europeo, consentendo ad alcuni stati di non dover assumere iniziative troppo dannose per l’occupazione. Dovrà essere una transizione ambientale ma socialmente inclusiva, e su questi due macro problemi si giocheranno, in generale, le strategie di sviluppo economico dei principali Paesi avanzati nei prossimi anni.
Quali opportunità emergeranno dal quadro appena delineato?
In termini di opportunità per noi la direzione è chiara: noi ci posizioniamo già su titoli con una forte componente di sostenibilità, anche per la vocazione sociale del nostra società. Ma la nostra è anche una scommessa sul fatto che a tendere i modelli di business stessi delle imprese, finanziarie e non, dovranno diventare sempre più capaci di dare spiegazioni complete non solo su come generare valore ma anche su come contribuire sulla transizione in atto.
La mia personale visione è che in questo momento di incertezza si debba ampliare l’orizzonte temporale e puntare sulle tecnologie pulite e sulle società che prestano molta attenzione alle relazioni con i propri dipendenti: sono questi, secondo me, i due filoni principali da monitorare.
Come già accennato, la digitalizzazione comporterà una perdita di posti di lavoro, quindi si dovranno monitorare anche i settori che genereranno occupazione, e quelli che si posizionano sulla transizione energetica, e in particolare, appunto, le energie pulite, secondo me rientreranno in questa categoria. Da questo punto di vista sono da tenere d’occhio anche i settori socio-sanitari e assistenziali, che non potranno che crescere, anche per dinamiche demografiche. In generale, tutte le società che stanno riadattando i modelli di business per affrontare il problema della transizione energetica – in vari modi – saranno favorite.
Avete qualche titolo che reputate particolarmente interessante?
Tra i titoli interessanti è da segnalare Enel, una società che da qualche anno a questa parte si sta impegnando per diventare un leader globale dell’energia pulita.
E la tecnologia?
Sulle tecnologie c’è da fare una precisazione. Anche se stanno vincendo la partita sul piano delle performance finanziarie, dal punto di vista della sostenibilità sono spesso indietro: molte hanno avuto problemi sul piano della privacy, sono state messe nel mirino per problemi di antitrust, e questo ha abbassato i loro punteggi Esg.
Un tema interessante in materia di Esg è anche quello dei parametri di valutazione. Come orientarsi per capire quale tipo di investimento sia davvero sostenibile in un panorama in cui si rilevano diversi sistemi divalutazione dei parametridi sostenibilità?
È emersa chiaramente l’esigenza di misurare i rischi di sostenibilità e il grado di materialità di questi rischi rispetto alla performance finanziaria, e questo ha favorito la nascita di tanti provider di analisi Esg, ma non c’è ancora una standardizzazione tale da garantire una coerenza delle analisi. Sono processi per cui ci vuole tempo: la misurazione del rapporto rischio/rendimento è partita nel secondo dopoguerra, perché prima si pensava che i rischi non fossero misurabili e pienamente confrontabili. Accadrà lo stesso con l’Esg. E gli sforzi dell’Ue in questa direzione dovrebbero aiutare: la tassonomia costringerà ad adottare un modello chiaro che potrebbe perfino diventare uno standard globale.
Il processo di investimento del fondo Best Business Models Sri si fonda su analisi delle società nelle varie fasi del loro ciclo di vita e nella verifica rigorosa degli impatti su ambiente e società
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