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Bruxelles propone di finanziare una parte del RePowerEu mettendo all’asta i permessi di emissione di Co2 non utilizzati. Ma secondo alcuni potrebbe essere un problema
Liberarsi dalla dipendenza dal gas russo e mettere il turbo alla transizione energetica. È l’obiettivo dell’ambizioso piano RePowerEu presentato dalla Commissione europea, che per finanziare le riforme e gli investimenti necessari mette a disposizione dei Ventisette i circa 220 miliardi di euro di prestiti non ancora utilizzati del Next Generation Eu, parte dei fondi della Pac e della politica di coesione e altri 20 miliardi provenienti da Ets, il sistema europeo di compensazione per l’emissione di anidride carbonica nei processi produttivi.
Una scelta, quest’ultima sui cosiddetti certificati verdi, non proprio azzeccata secondo alcuni osservatori. Il sistema per lo scambio delle quote di emissione (Ets sta appunto per Emissions Trading System), creato nel 2015, è il principale strumento dell’Unione per contrastare i cambiamenti climatici e ridurre in maniera economicamente efficiente le emissioni di gas a effetto serra. Ma già di partenza non è esente da problemi.
“Non tutte le aziende sono state in grado negli ultimi anni di investire abbastanza velocemente nella transizione energetica e di conseguenza la gran parte di esse compra certificati sul mercato”, spiegavano a marzo in un report dedicato ai certificati versi gli esperti Kairos, evidenziando come il prezzo dei certificati e quello del gas siano correlati.
“Nel contesto attuale – si legge -, anche per le tensioni geopolitiche, il prezzo del gas è uno dei fattori che sta spingendo al rialzo il prezzo dei certificati. Il sistema Ets rende conveniente per le imprese tornare a produrre a carbone e comprare i certificati sul mercato, piuttosto che produrre direttamente a gas. Questo alimenta ancora di più la salita dei prezzi, in quanto sul mercato ci sono molti più compratori che venditori”.
Un ulteriore problema legato al prezzo dei certificati, secondo Kairos, è la spinta inflattiva che, insieme agli aumenti dei costi delle materie prime, contribuisce all’aumento dei prezzi finali dei prodotti. “Se guardiamo infatti al prezzo dei certificati – continua il report -, questo è più che triplicato negli ultimi 3 anni e più che decuplicato negli ultimi 10. Al 24 febbraio 2022 valgono circa 87 euro a tonnellata. Una salita dei prezzi così repentina non era preventivata né dal mercato né dal regolatore. Per cercare di calmierare i prezzi, il 16 febbraio 2022, Peter Liese, capo legislatore del Parlamento Europeo, ha proposto una riforma del mercato degli Ets, permettendo all’Europa di emettere più certificati se i prezzi dovessero salire troppo velocemente”.
La proposta finale di questa riforma è ancora allo studio dalle istituzioni e il voto è in agenda per giugno, ma intanto secondo l’Iea, l’Agenzia internazionale dell’energia, per raggiungere l’obiettivo delle emissioni nette zero entro il 2050, dovrebbe esserci un sistema Ets per ogni Stato del mondo e contemporaneamente raggiungere, entro l’anno target, un prezzo dei certificati molto più elevato dei livelli attuali.
“La stima del prezzo è di 250 dollari a tonnellata nei Paesi sviluppati e 200 a tonnellata per i quelli più grandi in via di sviluppo come Cina, Russia, Brasile e Sud Africa. Questo perché più il prezzo dell’inquinamento è elevato, più le imprese e gli stati saranno incentivati a decarbonizzare più velocemente”, concludono da Kairos, ricordando che per evitare che una società abbia un incentivo a delocalizzare la produzione in Paesi dove il costo dei certificati è inferiore o addirittura inesistente, e poi importare merci e prodotti finiti nel Paese originario, entra in gioco il Cbam (Carbon Border Adjustment Mechanism), meccanismo attraverso il quale l’Europa intende tassare la ‘Co2 importata’ da fuori confine. Questo per evitare politiche anticoncorrenziali con le imprese che producono solo all’interno dello schema Ets europeo.
Tornando al RePowerEu, mentre la pressione dei prezzi dell’energia è al centro dell’attenzione dei governi, e continuano i preparativi per affrontare la possibilità di un embargo anti Mosca, la Commissione ha proposto appunto tra le soluzioni per finanziare gli investimenti quella di vendere una parte delle quote di emissione di carbonio non utilizzate e attualmente conservate nella Market Stability Reserve.
“Questa soluzione non ci convince”, commenta Gilles Moëc, group chief economist di Axa Im, secondo cui le imprese e le istituzioni finanziarie hanno bisogno di un chiaro segnale di prezzo per poter allocare accuratamente il capitale verso la decarbonizzazione. “Creare l’impressione che i permessi di emissione siano visti dalle autorità pubbliche più come una fonte di finanziamento che come un modo per creare i giusti incentivi per una produzione più pulita potrebbe distorcere questo segnale di prezzo”, avverte infatti l’esperto.
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