Private market, bond e gestione attiva: i family office rivoluzionano l’asset allocation
Per l’Ubs Global Family Office Report 2023, tensioni geopolitiche, tassi e inflazione stanno causando nei portafogli “il più grande cambiamento mai registrato”
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Mentre i mercati iniziano a paventare un’inflazione più persistente, anche per effetto dei tagli alla produzione di petrolio decisi dall’Opec+, notizie poco rassicuranti per l’Eurozona arrivano dai Pmi di marzo. L’indice per il settore manifatturiero si è infatti attestato a quota 47,3, in calo rispetto al 48,5 punti di febbraio, toccando i minimi da quattro mesi. Nonostante il dato definitivo sia in miglioramento rispetto alla stima preliminare di 47,1, si conferma dunque la difficoltà dell’industria del Vecchio Continente, sul cui stato di salute è pesato in particolare l’indice dei tempi di consegna dei fornitori, schizzato a livelli record. Un quadro generale in cui, però, spicca il dato sulla tenuta dell’Italia.
Nel dettaglio dei singoli Paesi, il manifatturiero tedesco ha accusato un nuovo arretramento. L’indicatore, calcolato da Ihs Markit, è infatti risultato in calo a 44,7 punti dai 46,3 di febbraio. Un’ulteriore contrazione del settore, che resta in territorio di decrescita (è 50 il valore minimo dell’indice per poter parlare di espansione) e sotto le attese per 44,4 punti formulate dagli economisti. Lucie e ombre invece per Francia e Italia. Nel nostro Paese, le condizioni dell’industria sono migliorate per il terzo mese consecutivo grazie all’aumento della produzione, dei nuovi ordini e dell’occupazione: l’indice Pmi si è infatti confermato al di sopra della soglia cruciale di 50 (51,1 punti per la precisione), seppur in discesa dal massimo decennale toccato in febbraio (52). In lieve calo anche il dato francese, che ha segnato 47,3 punti dai 47,4 del mese precedente.
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“Il settore manifatturiero dell’Eurozona continua a trovarsi in una situazione problematica, con le fabbriche che hanno registrato un calo della domanda di beni per l’undicesimo mese consecutivo a causa dell’aumento del costo della vita, della politica monetaria più restrittiva, del passaggio al destoccaggio delle scorte e della scarsa fiducia dei clienti”, ha spiegato Chris Williamson, chief business economist presso S&P Global Market Intelligence. Anche se la produzione è rimasta sostanzialmente stabile negli ultimi due mesi, l’esperto ritiene che l’attuale livello non sia sostenibile e giudica “inevitabile un indebolimento della produzione nei prossimi mesi a meno che il volume dei nuovi ordini non ricominci a crescere”.
Secondo Simona Mocuta, chief economist di State Street Global Advisors, le prospettive 2023 dell’Eurozona non appaiono rosee. Dopo un 2022 di performance impressionanti, con una crescita che ha toccato il 3,5%, nettamente superiore a quella degli Stati Uniti, l’esperta vede un aumento del Pil di appena lo 0,7%: si tratta di un dato ancora lievemente al di sopra del consensus ma non più in modo significativo. “Il ritardato effetto negativo dell’elevata inflazione si traduce in una crescita ridotta della spesa per i consumi per quest’anno, anche se non prevediamo una contrazione totale. I flussi legati al turismo dovrebbero contribuire a limitare i danni”, spiega Mocuta, precisando che la spesa per gli investimenti sta subendo un rallentamento analogo.
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Anche se il peggio è passato, per l’esperta il tema del carovita continua a essere centrale. “Stimiamo che l’inflazione headline rallenterà, passando dall’8,4% dell’anno scorso a circa il 5,5% per quest’anno, prima di subire una brusca decelerazione fino a meno del 3% nel 2024”, spiega, precisando che “persistono le preoccupazioni legate a una risposta tardiva alla spirale prezzi-salari, anche se finora gli accordi salariali che entreranno in vigore sono stati rassicuranti in tal senso”. A suo dire, la stretta della Banca centrale europea non sembra ancora essere giunta al termine, ma la fine dei rialzi è comunque vicina. “Prevediamo un ulteriore incremento di 25 punti base entro la metà dell’anno, seguito da un lungo periodo di stasi, a patto che le condizioni di mercato lo permettano. Si potrebbe ragionevolmente pensare che la Bce debba intervenire un po’ di più, ad esempio con ulteriori incrementi di 50 punti base, ma alla luce dei rischi nel settore bancario sembra più opportuno un approccio più cauto”, conclude.
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