Auto, i dazi di Trump fanno tremare i mercati: la view dei gestori
La Casa Bianca ha annunciato tariffe del 25% su tutte le importazioni del settore. Per gli analisti, l’impatto non risparmierà nessuno, neppure gli USA. Ma le opportunità non mancano
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Per la prima volta da giugno 2021, l’inflazione di Eurolandia è scesa sotto il target BCE del 2%, rafforzando le scommesse dei mercati su un nuovo taglio dei tassi già al termine del meeting del 17 ottobre. A settembre, infatti, l’indice dei prezzi dell’Area si è attestato all’1,8%, in calo dal 2,2% di agosto e sotto il consensus che aveva previsto un +1,9%. Intanto, i PMI manifatturieri dell’Area mostrano un’economia ancora stagnante e confermano il quadro tratteggiato davanti al Parlamento europeo dalla presidente dell’Eurotower, Christine Lagarde, che ha parlato di prezzi verso l’obiettivo e ripresa a rischio, aprendo a una sforbiciata tra due settimane.
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Secondo la stima preliminare di Eurostat, sulla discesa dei prezzi ha inciso in particolare il calo dell’energia (-6%, dopo il -3% di agosto). I rialzi maggiori continuano invece a registrarsi nei servizi, che hanno messo a segno un aumento del 4%, ma in diminuzione rispetto al +4,1% del mese precedente. Proprio il rallentamento di questa componente ha permesso all’indice core di scendere al 2,7%, dal 2,8%, facendo meglio delle attese (+2,8%). Tra i singoli Paesi, i valori più alti si registrano in Belgio (4,5%) ed Estonia (3,2%), i più bassi in Irlanda (0,2%) e Lituania (0,4%). Il carovita in Italia è allo 0,8%.
Lagarde ha precisato all’Europarlamento che “l’inflazione potrebbe aumentare temporaneamente nel quarto trimestre, perché i precedenti bruschi cali dell’energia non saranno più considerati nei tassi annuali”. Ma ha assicurato che c’è fiducia nel fatto che “tornerà tempestivamente al target”. A giugno 2021 l’indice dell’Area era all’1,9%; a ottobre 2022 aveva raggiunto il suo picco al 10,6%, e a settembre 2023, quando Francoforte ha aumentato per l’ultima volta i tassi, era calato di oltre la metà al 5,2%.
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Se la cura BCE sta quindi dando i suoi frutti sui prezzi, Eurolandia deve però fare i conti con gli effetti collaterali sull’economia. A settembre il PMI manifatturiero dell’Area è sceso ancora a causa del forte calo della domanda, nonostante le fabbriche abbiano tagliato i prezzi. L’indice ha così toccato quota 45 punti dai 45,8 di agosto: il livello più basso degli ultimi nove mesi, sebbene il dato sia comunque migliore delle attese che erano per un arretramento ancora più marcato a 44,8. Anche la Germania, prima economia del blocco, ha superato le aspettative, ma la situazione resta comunque nera: il PMI manifatturiero è infatti arretrato da 42,4 a 40,6 punti. Meglio ha fatto Parigi, il cui indicatore è passato da 43,9 punti a 44,6, contro i 44 previsti, mentre la Spagna resta prima della classe con 53 punti, dai precedenti 50,5 e contro i 50,2 previsti.
Secondo Hcob, che rileva gli indici, la produzione industriale della Zona euro probabilmente diminuirà di circa l’1% nel terzo trimestre. E con gli ordini in arrivo in rapida diminuzione, c’è da aspettarsi un’altra flessione entro fine anno. “La BCE sarà lieta di vedere che i prezzi di acquisto sono scesi a settembre, soprattutto dopo tre mesi di aumenti”, ha commentato Cyrus de la Rubia, capo economista di Hamburg Commercial Bank, precisando che i cali del petrolio e del gas naturale hanno contribuito a ridurre i costi di produzione delle aziende, che hanno poi trasferito parte dei risparmi ai clienti. “Ma non mettiamoci troppo comodi: queste flessioni dei prezzi potrebbero non durare”, ha avvertito l’esperto, secondo cui “con la situazione in Medio Oriente che si sta surriscaldando, c’è sempre la possibilità che l’energia possa aumentare nuovamente”.
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Per i mercati ci sono quindi pochi dubbi che il board di Francoforte sarà costretto a tagliare di nuovo il costo del denaro tra due settimane. La possibilità di una sforbiciata da 25 punti base è infatti data oltre l’85%, contro appena il 25% della scorsa settimana. A favore di un intervento si è schierato anche il governatore della banca centrale finlandese, Olli Rehn, secondo cui dopo i dati Eurostat “ci sono più motivi per abbassare i tassi nella nostra riunione di ottobre”. “Il recente indebolimento delle prospettive di crescita della Zona euro fa pendere la bilancia nella stessa direzione”, ha sottolineato.
Secondo Matthew Ryan, head of market strategy di Ebury, il dato Eurostat di settembre ha di fatto sancito il taglio di ottobre. “Oltre a un’inflazione in continua discesa, l’economia dell’Area sembra aver praticamente registrato una stagnazione nel terzo trimestre dell’anno, almeno stando ai dati PMI”, osserva. Per questo, l’esperto è convinto che una sforbiciata di 25 punti base sia ormai certa questo mese. “Lagarde probabilmente manifesterà una maggiore fiducia riguardo all’inflazione e metterà in guardia sullo stato dell’economia del blocco. Questo potrebbe far pensare a una terza riduzione consecutiva nella riunione di dicembre, ormai pienamente prezzata dai mercati”, conclude.
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